You're the color of my blood

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Le emozioni rendono incredibilmente incontrollabile il nostro corpo. Divorano la razionalità e reprimono i gesti, è tutto decisamente irritante e qualunque cosa tu faccia per scacciarle via risulta inutile, anzi a volte un sforzo può solamente peggiorare la situazione. Sentivo come se qualcosa mi stesse consumando dall'interno, sentivo come se le mie forze si sarebbero annullate da un momento all'altro. Chiudevo le palpebre e vedevo nel buio gli occhi di Louis, le chiudevo una seconda volta e vedevo le sue mani: forse stavo impazzendo, ma non capivo se la colpa di tutto ciò fosse mia o sua. Era un dubbio che mi tormentava da tanto tempo ormai e risolverlo era una necessità, anzi, una sfida che non mi sentivo di affrontare.

Erano passati due giorni dall'ultima volta che lo avevo visto. Un'eternità per entrambi. Ci eravamo lasciati con un litigio, è vero, ma succedeva in continuazione eppure quella volta nessuno dei due si fece avanti per mettere fine a quella condizione. Troppo arrabbiati? No, non poteva essere, l'eccesso non faceva parte di noi. Poco interessati? Assolutamente neanche questo. Mi guardavo intorno e cercavo ovunque una risposta, tuttavia il mio inconscio maligno mi suggeriva: "Potresti andare tu da lui, no? E fare finta che non sia successo mai nulla".

Era una soluzione, forse l'unica ma non mi sentivo in grado di fare neanche questo. La paura del rifiuto, di ascoltare nuovamente le sue urla era infinita in me. All'improvviso ebbi un'idea, sicuramente assurda e orribile ma in quel momento mi sembrò d'obbligo. 

Vanessa.

Vanessa era l'unica con cui Louis andava eternamente d'accordo e per questo avevo bisogno del suo aiuto. L'odio doveva farsi da parte e la preoccupazione sarebbe stata sovrana. Presi immediatamente il cellulare e non ci pensai due volte.

Scorsi il suo nome in rubrica e la chiamai.

Tremavo, non posso negarlo. Tremavo per lui non per lei, provavo inquietudine ma non so esattamente perché: era una semplice telefonata, nient'altro, però dietro di essa vi erano talmente tante questioni e problemi capaci di formare un groviglio insuperabile. Due bip e successivamente la voce di Louis. Rimasi per alcuni secondi stranita prima di pronunciare parola.

"Louis?"

"Chi è?"

"Sono Gabrielle"

La sua voce si interruppe e dall'altro lato non si sentiva altro che un inquietante e imbarazzante silenzio. Decisi di farmi coraggio.

"Vanessa dov'è?"

"E' qui con me"

E il cuore prese a fare male: istintivo e vorace, cattivo e incurante. Il mio autocontrollo fu spazzato via in pochissimi istanti e al suo posto apparve il disorientamento, più precisamente il dolore. Era dolore, lo sentivo. Bruciava come il fuoco e prudeva come l'ortica, e come in questi casi reali io non potevo fare nulla.

Era con lei, chissà da quanto tempo, dovevo aspettarmelo. 

"Volevo parlare, non è più necessario"

Riagganciai, gettandomi sul letto e avvicinando le ginocchia al petto. 

Iniziai a piangere.

Preferiva lei a me.

Ero gelosa e infastidita. Dopo tutto quello che avevamo passato, dopo tutti i nostri abbracci soffocati e le chiacchiere infinite preferiva lei, che portata al mio confronto era una vera e propria sconosciuta.

Lo odiavo con tutta me stessa per quello che stava realizzando a se stesso e a me. Sembrava lo stesse facendo apposta, vedere fino a che punto sarei stata capace di sopportare tutto, se in fin dei conti tenevo a lui, vedere fra i due chi fosse il più forte. Da sempre credevo che lo fossi io e in quei momenti capii che non era affatto così. Lui domava con i suoi semplici gesti e con le sue banali parole ed io sopportavo e assorbivo qualunque cosa, trasformando quei movimenti in sofferenze.

Tra mille complessi e strazi passai quel giorno e quella notte.

Alle 7 del mattino seguente mi alzai e mi diressi in bagno.

Osservai il mio riflesso nello specchio e ricominciai a piangere. Il mio volto era scavato dalle lacrime e gli occhi erano circondati da enormi cerchi violacei. La colpa era di lui e di nessun altro. Mi appoggiai al lavandino e decisa iniziai a lavarmi il viso. Mi guardai una seconda volta ed aggiustai i capelli.

"Non hai bisogno di lui, non hai bisogno di lui. Tu sei forte, sei la più forte!"

Iniziai a ripetermi quella frase per le successive due ore, ore in cui mi vestii e mi diressi in università. Mi sentivo decisamente meglio e incurante di tutto proseguii verso la mia aula. La situazione era la stessa di tutti i giorni, alcuni si preoccuparono di salutarmi, altri no. Non avevo molti amici, sentivo di non averne bisogno. D'un tratto il professore Turner entrò e gli alunni si alzarono come soldati in piedi, mi preoccupai di fare altrettanto. Dalla mia settima fila lo intravidi. I capelli erano solitamente perfetti e un sorriso fatto di denti bianchi come il gesso gli spuntava perpetuo sul viso. Ci accomodammo nuovamente sulle nostre sedie.

Fu una semplice lezione di ripetizione su Freud eppure non fu per niente banale. Il professore Turner sapeva fare davvero bene il suo lavoro: sempre sull'attenti, puntava sulla simpatia e con quelle sue battutine e paragoni con le stranezze della vita quotidiana riusciva a conquistare l'attenzione sempre di tutti. A me piaceva parecchio e questo mi permise di distogliere per alcuni momenti la mia attenzione da quei miei orribili pensieri. La lezione terminò cinque minuti in anticipo e decisi di fare una domanda su quel master di cui mi aveva parlato con tanto entusiasmo qualche giorno prima.

Mi avvicinai a lui e con fare timido pronunciai il suo nome.

"Professore Turner, mi scusi"

Si girò e mi guardò dritta in viso. Arrossii ed iniziai a sorridere per un qualche motivo a me sconosciuto.

"Signorina Stock! Mi dica"

"Volevo sapere più o meno quando mi darà delle indicazioni in più per la questione del master"

"Per il momento non so dirle il giorno preciso, ci sono ancora alcune procedure da svolgere, ma sicuramente fra non molto. C'è qualche problema?"

"No no, assolutamente! Ero solo curiosa. Allora le auguro una buona giornata, arrivederci"

"Arrivederci"

Indietreggiai, continuando a tenere lo sguardo su di lui prima di inciampare su di una matita.

"Signoria Stock, stia attenta!"

Si catapultò verso di me e mi tenne strette le braccia, impedendomi di cadere con il sedere per terra. I nostri occhi si incrociarono e un imbarazzo mi circondò. Serrai le palpebre e nel buio vidi per l'ennesima volta un paio di occhi color oceano le cui iridi diventano sempre più luminose.


- SPAZIO AUTRICE

Salve gente! Allora, scrivere questo capitolo è stata un faticaccia. Non che ci abbia messo tantissimo tempo, più che altro perchè avevo tantissime e diverse idee e non sapevo quali scegliere e come ampliarle, ma alla fine ce l'ho fatta. Non so se sia decente, come sempre ci sono delle parti un pò confuse, ma questo perchè la nostra protagonista per il momento lo è! Sicuramente, però, l'ultima scena vi è piaciuta e spero abbia destato qualche "riflessione". Vi lascio ai commenti e grazie come sempre miei carissimi lettori!

Un bacio.

-Manu ♥

p.s. le citazioni e il titolo riprendono la canzone di Ellie Goulding - Love Me Like You Do

Ropes (Louis Tomlinson)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora