Piansi.
Piansi per davvero, per Louis, per la prima volta.
Era tutto così assurdo mentre continuavo a guardarlo fisso con il fiato sospeso e sempre più difficile per via di tutta la tensione e la rabbia che si stava accumulando dentro di me. Lui indietreggiò di qualche passo e tirò un respiro profondo, forse era turbato quanto me o forse no, ma io non riuscivo più a reggere quella situazione. Singhiozzante corsi via, trascinando con me quelle sue orribili parole, ancora rimbombanti nella mia testa. Accelerai il passo più che potevo per quelle strade movimentate dove le luci dei lampioni creavano scene a dir poco spettrali. Non sapevo cosa stessi facendo o dove stessi andando eppure un'unica certezza riecheggiava nei miei pensieri: Louis è un vigliacco, un opportunista, un essere spregevole. Ad ogni mio passo questi aggettivi si susseguivano, fornendo una descrizione più che pessima a quell'essere capace di rendermi più fragile del più indifeso animale. Tuttavia una parte della colpa la davo a me, incapace di una difesa adeguata al suo cospetto, incapace di rimanere forte nonostante le sue affermazioni di sfida. Più volte mi ero interrogata su come fosse possibile e mai, come allora, la risposta a questo mio dubbio mi sembrò necessaria.
Ad un tratto mi fermai. Con le spalle appoggiate ad un muro, strinsi le braccia intorno al petto e provai a riflettere su chi potesse aiutarmi, con chi potessi confidarmi. Alzai il volto e quasi come se fosse il volere del destino, spuntò davanti i miei occhi l'immagine di una mia carissima ma vecchissima amica, un'amica che non vedevo da tanto tanto tempo. Mi resi conto che gli anni di lontananza che ci separavano erano ormai troppi ma, nonostante tutto, mi andava di fare un tentativo. Per mia fortuna casa sua distava pochi isolati e, con quanto più coraggio avessi, mi diressi verso di essa.
La ricordavo esattamente così.
Il tempo l'aveva sfiorata solamente al suo esterno. I muri, infatti, erano corrosi per via dell'alternarsi continuo delle stagioni e il ferro dei balconi arrugginito dalle abbondanti piogge ma la sua struttura era rimasta quella di un tempo. Cinque enormi finestre sulla facciata frontale, due su quella laterale, il tutto completato da un' imponente porta d'ingresso. Meraviglioso era, poi, il giardino. Ricco di innumerevoli fiori e piante. Con estrema calma mi addentrai nel cancello e picchiettai sulla porta. Dopo pochi attimi, Alexandra era realmente dinanzi a me. Mi osservò per un paio di secondi, per poi: "Gabrielle, sei davvero tu?", con gli occhi tremanti, sul punto di scoppiare a piangere per la seconda volta in quel giorno, risposi: "in carne ed ossa". Si portò le mani sulle labbra e in un attimo le sue braccia mi avvolsero in un caloroso abbraccio, stentavo a respirare.
"Non posso crederci, ma quanto tempo è passato?"
"Troppo"
"Già..dai, entra!"
Mi invitò all'interno, esattamente al suo fianco. Ci ritrovammo nel salotto, una stanza in cui avevo passato i migliori pomeriggi della mia infanzia e della mia adolescenza. Ricordavo ancora il profumo dei dolcetti al limone che gentilmente sua madre ci preparava e quello delle rose che avvolgeva la camera, quest'ultimo era rimasto intatto. Se n'era aggiunto, però, anche un altro, uno che io conoscevo piuttosto bene: quello del fumo.
"Siediti pure"
Mi fece accomodare sul divano, con lei di fronte.
"Allora, cosa ti porta qui?"
Quella posizione e la luce che ci circondava mi permetteva di guardarla perfettamente in viso. Alexandra era sempre stata bella e gli anni l'avevano migliorata: due enormi occhi blu pesantemente truccati, due piccole labbra rosse con un paio di piacevoli fossette e dei lunghi capelli neri. Eppure c'era qualcosa in lei di diverso. La pelle era secca e capii il perché quando, tra una parola e un'altra, si accese una sigaretta portandola con una notevole spensieratezza alle labbra. La ragazza che ricordavo io era rigida sul fumo e mi domandavo cosa l'avesse portata a sconvolgere tutti i suoi principi. Tant'è che non mi preoccupai di interromperla ed essere sfacciata con la domanda: "Da quant'è che fumi?" Lei si fermò, cacciò la nube di fumo che aveva aspirato l'attimo prima e mi guardò, per poi sgretolare la sigaretta nel portacenere.
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Ropes (Louis Tomlinson)
Fanfiction"Io credo negli inizi che non trovano una fine. Credo negli sguardi destinati ad incrociarsi e mai più a lasciarsi. Credo nella pelle che si confonde e sente di non averne mai più abbastanza. Credo nelle affinità di cuore e di mente, nelle affinità...