You There

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Lo guardavo mentre si allontanava furioso, indifferente, freddo. Lo vedevo dal suo modo di avanzare a passo svelto e dal suo modo di scuotere la testa verso destra e verso sinistra. Rimasi immobile al mio posto, non azzardai neanche a chiamarlo. Lo fissavo, nient'altro.

Johannah, però, urlò il nome del figlio.

"Louis, dove vai?! Torna qui!"

Con le vene sul collo, Johannah era fuori di sé. Mi si avvicinò con gli occhi iniettati di sangue e appoggiò pesante una mano sul mio braccio.

"Gabrielle, che cos'è successo?"

Aveva il respiro corto e il sudore a scendere lungo la fronte. Istintivamente incrociai i suoi occhi e rimasi in silenzio per altri pochi secondi prima di rispondere incerta.

"Quello era il mio professore di psicologia e non so, si è comportamento in modo strano. A Louis deve avergli dato molto fastidio quello che ha detto"

"E che cosa ha detto?"

Non avevo terminato ancora di pronunciare l'ultima sillaba che Johannah mi precedette con quella domanda che dovevo aspettarmi.

Osservai il pavimento cercando di riformulare tutto ciò che era successo una mezz'oretta prima.

"Nulla di importante, era ubriaco. Forse non sapeva neanche quello che stava dicendo. Ci chiedeva se fossimo fratelli o amici"

"E voi? Che cosa avete risposto?"

Gli occhi di Johannah si illuminarono all'interno di quella stanza dove le ombre delle lampade erano le uniche a creare luce; quel poco che bastava per vedere. Si illuminarono al punto di sembrare più grandi di quanto non fossero in realtà, e mi incenerirono. Bloccarono il mio respiro e la mia mente.

Quasi come pietrificata continuai a sostenere quello sguardo fin quando, ormai sfinita, riportai la mia attenzione al pavimento.

"Niente"

Risposi, con un filo di voce talmente sottile che credevo non avesse udito. Ma invece lo aveva afferrato pienamente e ora eravamo in due a guardare quel suolo buio e con qualche schizzo di sangue.

Lei si portò una mano alla bocca prima di raccogliersi i capelli dietro le spalle. Accarezzò le mie.

"Gabrielle, è meglio se torni a casa. Louis, sai come è fatto, quando è incazzato non c'è niente da fare. Ti chiamo appena torna e lo vedo più calmo. Tranquilla"

Mi sorrise, infine.

Uno dei sorrisi più falsi che io avessi mai visto.

Ma c'aveva ragione. Louis era una testa dura, un orgoglioso dalla punta dei capelli al mignolo dei piedi. Lo era stato e lo sarebbe stato per sempre. Quando era incazzato con qualcuno o per qualcosa non parlava più con nessuno, nessuno. Si allontanava, andava chissà dove per poi ritornare quando la rabbia si era ormai dissolta del tutto o quasi.

E quando ritornava i suoi occhi erano terribilmente vuoti, quasi mancasse qualcosa. E la sua pelle era rigida come la pietra. Parlava a tratti e poco e si gettava sul letto per diverse ore.

Mi spaventava tanto e a volte provavo anche a corrergli dietro, spinta da una coraggio che non ero neanche in grado di spiegare. Ovviamente tutto era inutile. Perché Louis quando scappava, non scappava semplicemente, ma spariva. Sembrava sparisse come le foglie nel vento. Non lasciava traccia, non lasciava un segno. Un fantasma.

Con il tempo tutti ci rassegnammo a questa condizione e lo lasciammo al suo modo di sfogarsi. Tanto insolito quanto incredibile.

Sapevo che anche quella volta, alle parole di Johannah, dovevo rassegnarmi. Provare a dormire e a gettare una parte di quella sera alle mie spalle.

Ropes (Louis Tomlinson)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora