(Michael Petronovik)
Gli occhi mi facevano male, come se fossi rimasta tutto il giorno a guardare la televisione senza sbattere le palpebre. Mi sforzai di aprire gli occhi, malgrado li sentissi pesanti e carichi di stanchezza, per scivolare via dal sonno che mi aveva catturata con tanta bramosia.
Mi ritrovai in una stanza completamente oscurata e di certo non era la mia camera. Le pareti erano scavate nella roccia e l'ambiente era vuoto e freddo, come se qualcuno avesse costruito quella prigione soltanto per me. Poteva essere una specie di cantina, ma io pensai immediatamente ad una prigione.
Il completo buio era spezzato da una sola piccola fiaccola rudimentale, distante qualche metro da me. Il fuoco illuminava parzialmente e fiocamente, come se anche lui avesse voluto spegnersi per sempre, abbandonandomi.
I miei occhi girovagarono per un po', provando a cercare qualcosa o qualcuno. Realizzai che ero legata. Mani e piedi erano immobili, legati da serree manette di metallo, spalancate, impalata come una bestia sacrificale ad una Croce di Sant'Andrea. Scossi la testa, muovendomi e ribellandomi, con l'unico risultato di ferirmi.
«Aiuto!» gridai. «Qualcuno mi tiri fuori da qui!»
Qualcuno apparve.
Mi gettai all'indietro, smettendo di respirare. La faccia del mio salvatore portava quella di Dominik: incombeva su di me come sempre, con la sua espressione spavalda. Lo odiai.
Non portava nessuna maglia e la sua pelle era lattea come la porcellana. Le morbide porzioni di muscolo risaltavano nelle braccia e nell'addome, contratti. Dietro i jeans strappati nascondeva qualcosa.
Sorrise e mi invitò con uno sguardo a chiedermi di cosa si trattasse. Io sapevo già che non mi sarebbe piaciuta la risposta.
«Cos'hai lì?» domandai balbettando.
Improvvisamente si batté un frustino sulla coscia energicamente e per lo scatto sobbalzai, stringendomi nelle spalle. Rise, proseguendo verso di me. Non potevo coprirmi e non potevo gridare. La situazione era umiliante.
«Cosa vuoi farmi?»
Lo guardai terrorizzata e lui si fermò davanti a me, esaminandomi, mettendosi le mani sui fianchi. Non si mosse, ma le sue intenzioni erano chiare. Io pregai mentalmente. Ero nuda, sola, legata e alla sua totale mercé.
Scossi la testa. Lui alzò una spalla.
Sollevò una mano e accarezzò la punta del frustino di pelle marrone, venerandolo, dopodiché me lo passò delicatamente sopra un occhio. Lo chiusi per paura. Il mio respiro diventò irregolare e la mia pelle rabbrividì di piacere.
Tracciò la curva del naso, della bocca, fino ad arrivare alle clavicole, ruotandolo, lo fece scorrere nell'incavo tra i seni, sul ventre e si fermò per studiare la mia espressione. Mi morsi furiosamente le labbra e lui mi imitò, sollevando il mento.
Mi guardò nuovamente il corpo e io mi dibattei alle catene, cercando di sfuggirgli. In risposta, schioccò bruscamente il cuoio sul basso ventre, facendomi ansimare. Abbassai la testa per riprendere fiato e lo guardai nei suoi occhi azzurri.
Serrai la bocca e corrugai la fronte. Abbandonò il frustino aprendo la mano e si leccò voracemente l'indice destro. Io lo guardavo ipnotizzata. Sollevò la mano e sentii la sua saliva umida a contatto con le mie labbra e, piano, gli feci spazio. La mia lingua analizzò e assaporò il suo dito.
Lui era orgoglioso.
«Succhia, sorellina» gemette.
Deglutii rumorosamente e, contro ogni probabilità e senno, lo feci. Per lui, come una brava cagnolina a cui piaceva essere al guinzaglio, ubbidii, facendolo venire in un urlo liberatorio.
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Bad Bro - Bluebeard
Mystery / ThrillerSydney, Australia. Chanel Isaac Leeroy non ha voce in capitolo quando la madre, Lacey, decide di fidanzarsi ufficialmente con il finanziere russo Gilbert Petronovik, il quale porta l'intera famiglia sotto lo stesso tetto. Con intenti nobili, il nuo...