(Vìktor Cabrera)
Stavo oramai camminando da delle ore.
Il freddo mi pungeva la pelle come mille aghi acuminati. Sapevo che le mani dei gemelli o peggio, di Gilbert stesso, sarebbero state peggio di un vento gelido. Pensavo a quello e andavo avanti. Ero senza giacca e l'altro maglione, il secondo in cui ero caldamente raggomitolata, mi era stato tolto all'ingresso di Villa Petronovik. Quello, in effetti, fu per colpa mia, ma la considerai una perdita necessaria. Dopotutto ero libera.
Non sapevo dove fossi, all'inizio la paura e la gioiosità avevano preso il sopravvento sugli altri sensi e sulla realtà stessa come una mascherina, ma poi, via dopo via, ora dopo ora, il freddo aveva riattivato il mio cervello. E la realtà era brutta e faceva male.
Erano passate ore, lo sapevo da sola. Il sole, oscurato da grige nubi di passaggio, era alto nel pomeriggio, ora era a metà del suo percorso. I grandi palazzi di San Pietroburgo mi rendevano difficile capire che ore fossero davvero, a volte il sole scompariva dietro gli alti grattacieli.
Volevo solo andarmene via, non sapevo dove, ma per ora allontanarmi dai Petronovik era tutto ciò che desideravo. Sviavo sempre, ad ogni via giravo una volta a destra e una a sinistra, in modo da poter facilmente tornare sui miei passi. San Pietroburgo era una città immensa e per quanto sperassi che prima o poi avrei trovato un cancello con scritto Uscita non trovai nemmeno un'indicazione. Credetti di girare in tondo.
Trascinavo i miei piedi con fatica, le dita erano congelate e di lì a poco la gravità mi avrebbe sorpresa come un giocattolo a molla dentro la sua scatola magica. Però non mi fermai mai troppo a lungo perché a) muovermi mi scaldava, b) avevo paura di incontrare qualcuno che mi riconoscesse e c) il senso di impotenza e la preoccupazione mi avrebbero devastata.
Non volevo pensare ai Petronovik, ma era inutile. Ad ogni passo che facevo mi pareva di udire la voce di Dominik e Michael, furibonde, e nei mille occhi di sconosciuti rivedevo sempre i loro. Erano dei mostri.
L'unica cosa di cui ero certa era che mi trovassi a San Pietroburgo, in una zona chiamata Gostinyj Dvor. Era una via commerciale, ma al suo limitare trovai molte ragazze in tiro, racchiuse in lunghi cappotti bianchi e stivali di cuoio. Qualcuno si fermava a guardare, altri le prendevano per mano e le portavano con sé.
Girai al largo da lì.
C'era molta folla allora ed era difficile capire da che parte andare senza rischiare di cadere per terra o urtare qualcuno. Perlomeno finché restavo in quei quartieri, per i Petronovik sarebbe stato più difficile trovarmi, a meno che non mi avessero impiantato qualche GPS.
Alla fine della via, sotto una fila di luci colorate, trovai finalmente delle indicazioni tradotte. C'erano l'ospedale, la stazione della polizia, due vie che non conoscevo e il canile. Pensai che l'ospedale sarebbe stato un buon posto dove fermarsi a riposare per un po'. Magari avrei trovato qualche bevanda calda e qualcuno con cui parlare, perciò non ci pensai due volte piuttosto che continuare a vagare a casaccio.
Fu allora che qualcuno si aggrappò al mio braccio. Era un ragazzo, non doveva avere qualche anno più dei gemelli, ma mi guardò dall'alto in basso e parlò. Io non capii e lo guardai preoccupata. Mossi il braccio, a disagio, e lui mi trattenne. Parlò più forte.
«Sei straniera? Mi capisci?» parlò lentamente, come se si stesse rivolgendo a qualche animale stupido. Dietro di lui il suo amico ridacchiò. Io annuii. «Be', quanto vuoi?» domandò.
«Come?»
«Ti ho chiesto quanto vuoi. I soldi. Sei una prostituta, no?»
Io ero troppo infreddolita per avere una reazione giusta. «Io... no. Mollami, per favore.»
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Bad Bro - Bluebeard
Mystery / ThrillerSydney, Australia. Chanel Isaac Leeroy non ha voce in capitolo quando la madre, Lacey, decide di fidanzarsi ufficialmente con il finanziere russo Gilbert Petronovik, il quale porta l'intera famiglia sotto lo stesso tetto. Con intenti nobili, il nuo...