"Crisis."

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Sentii il rumore di un motore e vidi l'auto di mio padre allontanarsi accelerando sempre di più, per poi svoltare l'angolo e scomparire dietro una casa color pesca. Mi rigirai verso la finestra su cui era affacciato Brent e lui, al contrario di me, non aveva distolto un attimo lo sguardo da me. Era come perso nei suoi pensieri, fisso solo su di me e forse risultavo anche io così ai suoi occhi. Ora i nostri occhi era gli uni negli altri ed era come se ci stessimo dicendo le milioni di cose che non eravamo riusciti a dirci prima di essere separati, in quel bagno d'ospedale, stesi a terra.

Vidi che era abbastanza scosso, che stava sudando ed era impallidito. Non riuscivo più a sopportare la situazione: mi mossi di scatto per cercare di aprire la finestra ma era chiusa, bloccata. Quell'uomo mi aveva davvero rinchiusa. Brent scosse il capo per cercare di riprendersi non appena mi vide agitarmi disperatamente nel tentativo di rompere la serratura. Non avevo energie, non avevo muscoli, come potevo pretendere di poter fare qualcosa?

Mi allontanai lentamente, continuando a fissare la serratura; ero intrappolata lì dentro. Come pensava di potermi far guarire intrappolandomi come un carcerato? Anzi no. I carcerati hanno la loro finestrella, aperta.

Inaspettatamente ebbi un attacco di panico. Il cuore inizio a battermi forte, così tanto da farmi mancare il respiro e dovetti portarmi una mano al petto per il dolore che stavo provando. Alzai un secondo la testa per guardare Brent in cerca di aiuto, ma lui non c'era più, era corso verso la porta della mia stanza e sperai con tutto il cuore che sarebbe venuto da me.

Tutto intorno a me si stava facendo più nitido e il respiro mancava sempre di più, era come se una persona mi stesse strangolando pian piano sempre più forte, aumentando ogni secondo la pressione. Mi appoggiai alla testiera del letto, ma non servì poiché le mie gambe non potevano reggere tutto quello. Caddi a terra in posizione fetale e tutti i rumori all'esterno iniziarono a farsi sempre più bassi; mi concentrai sulla mia respirazione, ma tutto quello che feci fu peggiorare le cose perché il cuore iniziò a battere più forte e il panico misto ad ansia riempivano ogni centimetro del mio corpo.

Chiusi gli occhi nella speranza di calmarmi, ma l'unico mio pensiero era che ero condannata, chiusa in quattro mura da un uomo spregevole che avevo paura mi avrebbe fatto di nuovo del male.

Quando li riaprii per vedere se Brent fosse arrivato, la mia vista era molto nitida, ma nonostante ciò, riuscii a distinguere una figura dai capelli scuri che, fortunatamente non era Harold. E sorrisi al pensiero che Brent fosse accorso subito per me.

***

BRENT'S POV

Lei era lì, era lì di fronte a me. Non stavo sognando, la mia Loraine era proprio ad un passo da me, che mi guardava, che faceva incontrare il nostro sguardo. Suo padre aveva fatto credere a me e ad Effy di avercela portata via e invece in quel momento la stavo guardando con i miei occhi, stavo assaporando con lo sguardo ogni centimetro di lei e le sembrava fare lo stesso. Ci stavamo toccando con un semplice sguardo, come se fossimo uno affianco all'altra nonostante il vuoto che ci separava.

Sentii un leggero prurito sulle braccia e sulle gambe, ma non ci feci caso: avevo davanti a me Loraine, ed era tutto quello di cui avevo bisogno in quel momento. Pian piano però, il prurito si fece sempre più forte e nello sforzo per trattenermi iniziai a sudare freddo e sentii ogni muscolo del mio corpo indolenzirsi.

Dopo aver visto Loraine bucarsi il braccio con quella maledetta siringa, e poi cadere a terra affianco a me solo per colpa mia, decisi che non avrei mai più dovuto fare una cosa del genere; io non dovevo fare quelle cose, non dovevo farmi del male, io dovevo solo stare affianco a Loraine e aiutarla, ma con l'eroina in corpo mi sarebbe risultato difficile.

Non ce la facevo più, mi guardai il braccio e vidi, tra il mio pallore improvviso e la pelle d'oca, le vene pulsanti e un forte senso di nausea mi pervase. Alzai per l'ultima volta lo sguardo verso la finestra da cui ero riuscito a vedere pochi secondi prima la mia ragazza, ma vidi che si era allontanata. Non riuscivo a capire, tra la confusione nella mia testa e il mio stato fisico era tutto più difficile.

La vidi per l'ultima volta quasi piegata in due e un istinto protettivo si attivò dentro di me. Uscii correndo da quella stanza da cui era cominciato tutto quell'inferno e feci per avviarmi giù per le scale, ma la nausea e la debolezza aumentarono così dovetti andare nel bagno.

Vomitai la bile che saliva acida per il mio esofago e mi sembrò di buttare fuori anche tutto lo stomaco e le viscere. Ma non volevo mollare, sapevo che le stava accadendo qualcosa e non andava mai bene quando capitava. Mi alzai, ma i giramenti di testa si impadronirono di me e lentamente le gambe non le sentii più. Dovetti accasciarmi a terra, piegato in due per il dolore allo stomaco che mi procurava delle fitte lancinanti. Volevo urlare e buttare fuori tutto quel dolore, volevo alzarmi e correre da lei, volevo proteggerla e dirle che sarebbe andato tutto bene, ma non potevo.

Mi arrabbiai con me stesso, sentendo il sangue ribollire nelle vene, ma questo peggiorò le cose.

Ero sdraiato a terra ormai, accucciato in posizione fetale con il dolore che continuava ad aumentare, senza lasciarmi un secondo. Stavo per chiudere gli occhi e arrendermi a quella crisi, quando vidi qualcuno correre verso di me. Per un attimo mi illusi che potesse essere Loraine, ma sapevo in  fondo che non poteva essere lei; lei non stava bene e io ero lì, disteso a terra, senza fare nulla per aiutarla, di nuovo.

Quella era una ragazza, lo capii dai capelli lunghi, ma non capelli qualunque. Capelli del colore del mare.


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