La cena era stata un'ottima scappatoia per liberarmi dalle preoccupazioni e dal pensiero di quello che mi era successo. Mi ero divertita molto con zia Lola e, tra un boccone di paella e l'altro, le raccontai tutti i pettegolezzi della scuola: le nuove coppie formate, quelle che si erano sciolte, gli amori incompresi... tutte informazioni che mi forniva Cath.
Finito di cenare, aiutai la zia a sparecchiare e, prendendo piatto e posate, mi avvicinai al lavello. Aprii l'acqua del rubinetto e feci un enorme sbadiglio che fu subito notato da zia Lola.
«Vai a letto Lydia, qui ci penso io» disse guardandomi coi suoi due grossi occhi scuri che sembravano ebano.
Non avevo bisogno di farmelo ripetere due volte.
«Sicura zia?» le chiesi sperando che lei mi dicesse di sì.
«Ma certo» confermò con parole dolci come il miele. Mi mise una mano sui capelli e li accarezzò prendendo una lunga ciocca e allungandola con due dita fino ad appoggiarmela sul petto
«Buenasnoches.»
Si voltò e cominciò a lavare i piatti.
Rimasi per un momento a fissarla, poi mi girai e mi diressi verso la porta della cucina. Raggiunsi le antiche scale di legno, afferrai il largo corrimano ed iniziai la mia scalata di ben venti gradini scricchiolanti che sembravano spaccarsi sotto il mio peso. Arrivai in cima: il piano superiore non era troppo grande e perciò non ci stavamo mai tranne che per dormire. Tutte le stanze si affacciavano su un corridoio buio abbastanza largo. Lo percorsi oltrepassando la prima porta, che nascondeva la camera di Zia Lola, poi passai anche la seconda, il bagno, fino a quando non mi ritrovai davanti ad una porta di legno bianco con attaccata sopra una L di vetro. Quella era la mia stanza. Afferrai la maniglia e, spingendola verso il basso, aprii la porta per entrare nella camera. Non era nulla di speciale: era semplice e sobria, in stile francese. Le pareti erano di un rosa delicato e ai muri erano appesi immagini di ballerine di danza classica, attività che io adoravo. Senza accendere la luce, mi spogliai dei miei vestiti e li gettai con poca cura sulla sedia di fianco alla soglia. Presi poi il pigiama da dietro il cuscino del letto—una camicia da notte di quando ero piccola e che ormai mi arrivava molto sopra il ginocchio—,aprii le lenzuola lilla e mi stesi sul materasso sistemando la testa il più comodamente possibile sui due cuscini che usavo per dormire. Trovai subito una posizione confortevole: girata sul fianco destro con la testa rivolta verso la finestra che si affacciava sul fiume. Adoravo osservare il Tamigi prima di andare a dormire e perciò lasciavo sempre le tende aperte. Inoltre così entrava un po' di luce, una velatura blu che rendeva visibili i contorni dei mobili della stanza. Il buio completo mi rendeva nervosa; forse perché, non riconoscendo il posto in cui mi trovavo, mi sentivo vulnerabile, o forse perché nel buio vedevo immagini spaventose, cose che non volevo vedere, rimembranze dell'incidente... Era passato davvero molto tempo da quel giorno ma il ricordo era impresso nella mia mente come un marchio da fuoco che a volte ancora bruciava. Continuavo a fare incubi, era inevitabile. Talvolta accadeva però qualcosa di stravagante: quelle visioni orribili si trasformava in sogni abbastanza... particolari. Vedevo un mondo strano, misterioso, bello; un posto familiare dove potevo scappare, che conoscevo solo io. O almeno era così che me lo descrivevano le mie sensazioni: tutte le mattine, quando mi risvegliavo non ricordavo nulla di concreto del mio sogno. Avevo solo delle immagini nella testa che roteavano confuse, schizzi di colore su una tela completamente nera.
Ma quella notte fu tutto diverso.
Non mi resi nemmeno conto di essermi addormentata e quando apri gli occhi, invece di ritrovarmi nel mio letto, notai che ero sdraiata su un immenso spiazzale verde circondato da un fitto bosco di alti alberi simili a sentinelle. Come prima mossa, mi misi a sedere, poi tentai di rialzarmi, ma la testa mi faceva troppo male e tutto girava. Non riuscivo che a mettermi a quattro zampe ed ogni mio tentativo di rizzarmi sulle gambe era ripagato con una caduta. Sembravo un bambino alle prime armi con i suoi primi passi. Mi accasciai di nuovo a terra esausta. Chiusi gli occhi per riposarmi, ma quando li riaprii fui colta da un'altra sorpresa: un ragazzo si trovava davanti a me. Capelli color del sole gli contornavano il viso e gli ricadevano sulla fronte; i suoi occhi freddi erano come il ghiaccio. Indossava un elegante abito con una giacca nera più lunga sul di dietro che si abbinava ad un pantalone ed ad una camicia chiara. Nella mano sinistra teneva un bastone scuro e con l'altra mano mi porgeva il suo aiuto. Un po' diffidente, lo accettai e con indecisioni afferrai la sua mano. Stringendola, percepii la delicatezza di quelle mani avvolte in guanti bianchi morbidissimi. Sia per l' aspetto che per le maniere, quel ragazzo sembrava un gentiluomo vittoriano a tutti gli effetti. Una volta in piedi, guardai istintivamente a terra, come se fossi appena scampata da chissà quale pericolo. Poi ritornai con lo sguardo sul ragazzo. Feci per ringraziarlo, ma lui rapidissimamente, prima che potessi aprir bocca, mi cinse con le sue braccia e con forza mi strinse a sé.
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The Woodwhisperer
FantasyI libri non sono semplici oggetti usati per riempire una libreria. È questo quello che ha imparato Lydia. Dopo la morte dei suoi genitori, ha deciso che i luoghi, le persone e la vita sono migliori nei libri. Per questo ha scelto loro come suoi unic...