Capitolo 13

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Corsi il più velocemente possibile senza mai voltarmi indietro. Il bosco sembrava interminabile: schiere su schiere di alberi si succedevano come un esercito di soldati e non era possibile vedere la fine di quella armata. Boccheggiavo e il rumore dei miei passi affannati copriva quello dei miei pensieri. Non prestavo nemmeno attenzione a dove stavo andando, continuavo solamente a correre dritto davanti a me. Per questo motivo  fui presa alla sprovvista quando la foresta cesso di colpo di estendersi, anche perchè ciò che mi ritrovai davanti fu un inaspettato ed oscuro manto d'acqua. Dovetti aggrapparmi al tronco di un albero per non cadere.

«E questo cosa sarebbe?» domandai a Taika respirando agiatamente.

«Abbiamo raggiunto il confine di Prativi. Da qui in poi i estende il regno di Apas.»

Fantastico. Un immenso mare. Cos'altro potevo aspettarmi di trovare nel regno dell'acqua?
Ci serviva un mezzo per attraversarlo. Non avendo la più mima idea di come rimediare a quel problema, decisi di domandare a Taika che, di sicuro, era molto più esperta di me e sapeva dove trovare un passaggio.

«Non lo so» fu la sua scarna risposta che stroncò ogni mia speranza.

«Come non lo sai!»

«Sono solo una fata del regno della terra. Non sono mai andata oltre i confini.»

Lanciai uno sbuffo di desolazione. Pazienza, ci avremmo riflettuto all'arrivo di Edgar ed Alexander.

Non appena pensai a loro, la preoccupazione invase la mia mente. 

Come mi affliggevo continuando a sperare che stessero bene ed uscissero illesi da quello scontro!

Nulla nella mia vita aveva mai torturato i tale modi i miei nervi. Mi afferrai le braccia con fare irrequieto. Tremavo alla sola idea che Edgar potessero venire ferito. Era un'ansia che si aggrappava all'imboccatura del mio stomaco, che mi irrigidiva gli arti, che mi faceva serrare la mascella. Nonostante Taika ed io ci fossimo fermate da diversi minuti, il mio respiro non si era ancora fatto regolare. Quei bei capelli di fili d'oro imbrattati dal crudo rosso cremisi del sangue, il ghiaccio nei suoi occhi che si scioglieva per sempre, la vita che spirava dal suo corpo. Scossi la testa: dovevo cacciare via dalla mia testa quelle orrende visioni. 

«Arriveranno presto» esclamò Taika con un tono deciso che non le avevo mai sentito pronunciare.

Non riuscii a parlare, potei soltanto fare un piccolo cenno con la testa. Vedendo che non mi ero ancora calmata del tutto, sbatté le sue piccole ali e si portò all'altezza del mio sguardo.

«Tornerà da te» disse posandomi la sua piccola manina sulla guancia.

Corrugai la fronte confusa. Stavo per domandarle cosa volesse esattamente intendere con quelle parole—anche se in realtà lo avevo capito benissimo—ma la mia attenzione fu attirata dal suono di passi frenetici in avvicinamento. Quando lo vidi comparire, mi sentii mancare. La sua era un'apparizione venuta a salvarmi da angosce e tormenti. La mente mi si svuotò completamente e tutto quello che percepii dopo fu solo la mia voce che pronunciò in un grido disperato di sollievo il suo nome.

«Edgar...»

Nemmeno mi accorsi di essermi avvicinata a lui e di averlo abbracciato. Il ragazzo mi avvicinò a sé e fu proprio questo suo gesto a farmi recuperare la lucidità che mi permise di indietreggiare senza però che lui mi lasciasse andare.

«Grazie per la considerazione» fece Alexander con tono ironico.

Ma in quel momento lui per me non esisteva. Ero troppo impegnata ad assicurarmi che Edgar non fosse ferito. Purtroppo, oltre alla ferita sul suo viso, trovai anche diversi lividi e tagli, ma ciò che più mi preoccupò fu una serie di segni rossi che, estesi come fossero rami di un albero, gli salivano dalla mano fino al gomito, dove la manica della camicia era stata strappata.

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