Capitolo 46

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Beh, insomma, le valigie erano pronte ed erano state appoggiate accanto alla porta d'ingresso, noi eravamo pronti per dirigerci all'aeroporto, pronti per partire. Ci eravamo trattenuti soltanto per qualche minuto per salutare mia madre ma di lì a poco saremmo andati via.
Continuavo a sentirmi egoista nei confronti di mia madre e in colpa nei confronti di mio padre a partire.
Insomma, che diritto avevo io di andare a divertirmi - o almeno era quello che speravo di fare - con il mio ragazzo, mentre qua c'era gente che stava male?
Però dopo quella chiacchierata con Riccardo mi ero resa conto che lui aveva ragione e che io avevo bisogno di staccare e cambiare aria dopo questi ultimi giorni di stress.
Stava diventando una tortura anche per Riccardo, sopratutto lo stavo diventando io per lui.
Me ne accorgevo, anche se lui diceva di no.
Non lo ammetteva per non ferirmi, ma sapevo benissimo di averlo trascurato molto e di averlo sommerso con i miei problemi.
La cosa che mi piaceva era che lui sembrava sopportare. Non aveva fatto cenno di andarsene e questo mi dimostrava ancora una volta quanto mi amasse quel ragazzo.
E Dio, se io amavo lui. Non pensavo nemmeno fosse possibile un amore in quel modo.

"Francesca, allora noi andiamo".
"Certo, fate buon viaggio, divertitevi e prenditi cura della nostra bambina".
"Mamma, non sono più tanto una bambina, sono abbastanza cresciutella e posso benissimo badare a me stessa. E poi lo sai con certezza anche da sola che lui si prende sempre cura di me. Non c'è bisogno di dirglielo, mi vizia anche troppo" dissi io.
Mia madre rise, per la prima volta dopo giorni.
Una risata bella e vera.
E io l'abbracciai.
"E prenditi cura di mio fratello, non agitarti troppo, che a lui fa male".
"Anche tu cerca di rilassarti però! Non voglio che tu torni con più problemi e preoccupazioni di prima".

Prendemmo le valigie e aprimmo la porta, stavamo per uscire quando il telefono di casa suonò.
Risposi io.
"Salve, chiamiamo dall'ospedale, lei è la signora Ferrari?"
"Sono la figlia, è successo qualcosa?"
"Non è che potrebbe passarmi sua madre, se al momento è in casa?"
"Si, certo. Arrivederci" e passai il telefono alla mamma.
Nel frattempo ero sbiancata.
Dentro di me stavo pregando chiunque persona potesse aiutarmi che stesse bene.
E se era peggiorato?
No, magari avevano chiamato solo per la gravidanza di mia madre, infondo avevano voluto parlare con lei.
Decisi di pensare positivo.
Sarebbe andato tutto bene, si, ne ero certa.
Non era nessuno che chiamava per comunicare che le condizioni di mio padre erano peggiorate o peggio.
Non potevo aver fatto niente di tanto brutto in una vita precedente per meritarmi quello.

Mia madre per parlare al telefono si era allontanata da noi, ed erano passati dieci minuti quando tornò da noi.
Aveva un'espressione strana, indecifrabile, quasi incredula. O forse era semplicemente scioccata.
Oh, al Diavolo, stavo impazzendo.
"Mamma?"
"Tesoro, tuo padre..."
Ed eccola la notizia più brutta di tutte, quella che mai avrei voluto ricevere.
"Papà cosa? Mamma parla".
"Papà si è svegliato. È sveglio, e sta chiedendo di noi".
COSA?
"Cosa?"
E poi corsi ad abbracciare mia mamma, la strinsi forte, dopo abbracciai Ric e lui  ricambiò stringendomi forte a se, il mio viso sul suo petto. E fu troppo, non riuscii a reggere le emozioni e non  trattenni più le lacrime. Scoppiai a piangere fra le braccia del ragazzo che mi amava, e che io amavo.
Poi, quando la crisi di pianto fu finita, lo guardai negli occhi e gli dissi di portarmi in ospedale.

So benissimo che è molto corto ma essendo da tempo che non pubblicato ho deciso di scrivere almeno questo. Scusatemi.
Pubblicherò a breve il capitolo successivo, scusate ancora.
Vi amo. :)

Dimmi che vuoi stare con me. (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora