- 3 - I'm Back Home

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(Ryan Sitkowski)

Continuammo a correre a più non posso anche se la polizia non ci aveva neanche notati

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Continuammo a correre a più non posso anche se la polizia non ci aveva neanche notati.
«Fermati!», implorai ansante e piegata in due dalla stanchezza.

«Ok.», acconsentì.
Anche lui aveva il fiato corto, ma al mio contrario sorrideva e forse era addirittura divertito, di sicuro rideva di me perché a suo contrario ero stremata, rossa e messa a novanta.

«Perché cazz-», presi respiro, «Perché ridi? Ti sembra una gita per vedere... L-le caprette?!», chiesi interrotta dal fiatone.
Gli svanì il ghigno e mi disse tra un affanno e l'altro che gli pareva il momento giusto di "festeggiare" la fuga dalle forze dell'ordine.
«Scusa, ma già si prospetta un compleanno tremendo.», mi accasciai sul bordo di un marciapiede malridotto, «Non volevo risponderti male. Che vuoi fare?»

«Mangiare.», rispose fulmineo tentando di regolarizzare il suo respiro.
«E andare d'accordo.», mi rivolse un'occhiata eloquente a cui non badai.

«Dove intendi andare conciati così?», chiesi sconsolata, affidandomi a lui.

«Andiamo in hotel, ci dobbiamo cambiare, mangeremo là... Ah... E dormirai là: è troppo tardi per riportarti a casa e dobbiamo organizzarci.»

«Cosa?!», tornai subito vigile spalancando gli occhi stupita dalla risposta, «Se torno domani i miei mi ammazzeranno, oltre ad insospettirsi. Poi siete tutti ragazzi, non avete abiti femminili e non posso dormire in hotel se non pago.», rifiutai categoricamente.

«Devin si veste da donna. Se proprio vuoi ti può anche prestare un lucida da labbra.», scherzò Ricky riferendosi al bassista della band, il quale adorava i travestimenti al punto di portarseli anche in tour.
«E non devi pagare se dormi in camera mia.»

«No, aspetta, che cosa?», la mia voce uscì strozzata e i miei pensieri si fecero loschi.

«Ehi, ragazzina, calma la fantasia. Non ti molesterò nel sonno.», il suo tono si fece altezzoso, il che mi ferì. Mi ero già abituata ad un Ricky Horror amichevole, seppur infantile e snervante.

«O-ok...», balbettai sommessamente.

«Non ti sarai offesa, vero?», diniegai col capo, mantenendolo chino.
«Ohi, hai capito male. Senti, non intendevo ferirti o altro; è stata una serata scombussolante anche per me. Non prenderla sul personale, ok?»
Adesso le sue mani cercavano le mie, intrecciandosi con esse con fare premuroso, mi guardò con sguardo rassicurante e mi chiese scusa coi suoi occhi vitrei.

«Lo so, cosa vai a pensare, anche tu!», risposi esagerando la mia indignazione e allontanandomi da lui con uno scatto, voltandogli le spalle e iniziando a camminare.

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