XXXIII - It's All Good What Does Not End

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I polmoni stavano per scoppiarle. Le gambe le dolevano atrocemente. Il fiato era corto, i battiti del cuore impazziti, così potenti da farle temere che il cuore le sarebbe uscito dal petto.

Aveva corso per tutta la collina, senza curarsi della fatica, della stanchezza, del fatto di non essere minimamente allenata, aveva iniziato a correre, e non aveva più smesso.

Attorno a lei c'era solo il caos, quel caos che già aveva avuto modo di ascoltare; i centurioni urlavano ordini, sgolandosi per tentare di sovrastare gli strilli dei mostri; i ragazzi si chiamavano, gemevano di dolore, lanciavano grida di battaglia, mulinando le armi lucenti contro gli aggressori. Greci e romani, per una rara volta uniti a fare fronte comune, tentavano in tutti i modi di difendersi dal poderoso, distruttivo attacco delle Arpie.

Era successo di nuovo. Com'era possibile, che le Arpie fossero riuscite a penetrare nel campo non una, ma ben due volte? E com'era possibile che i semidei apparissero così tragicamente impreparati?

Queste sarebbero state le domande che sarebbero frullate nella mente di Selena, se avesse avuto il tempo di farsele. Ora, però, la semidea si stava dirigendo con tutta la velocità che le permettevano le sue gambe affaticate verso la Casa di Afrodite.

Era scattato qualcosa, dentro di lei, quando aveva visto Octavian sparire dalla sua vista, quando aveva sentito tutti quegli strepiti. Un'orrenda sensazione si era impadronita del suo petto, e il suo corpo si era mosso da solo, quasi con un riflesso condizionato, e l'aveva portata verso il posto a cui teneva di più in tutto il Campo.

Sperava solo di sbagliarsi.




Leo avrebbe giurato di essere andato in autocombustione. E, considerato il suo dono, non andava bene.

Quando aveva sentito le prime urla si trovava nella sala macchine, come al solito. Nemmeno il tempo di rendersi conto di che cosa stesse succedendo, e due arpie avevano sfondato il solaio, facendo irruzione nell'edificio. Si era liberato dei primi due mostri con relativa facilità, ma sapeva che era presto per cantare vittoria; e infatti, non appena aveva sferrato il colpo di grazia alla seconda, altre cinque si erano introdotte nella sala, creando un'orrenda eco con i loro strilli sgraziati.

Aveva suonato il campanello di emergenza che si trovava vicino all'entrata, e in poco tempo era stato raggiunto da altri figli di Efesto e Vulcano, desiderosi di aiutarlo.

Ora stavano combattendo fianco a fianco, chi con spade e asce, chi con pesanti attrezzi di meccanica, con pezzi di lamiera come scudi improvvisati. Anche lui aveva estratto dalla sua cintura il suo fido martello, e negli intervalli che gli servivano per ricaricarsi fra una scarica di fuoco e l'altra si dava da fare con quello.

Non capiva. Non capiva assolutamente. Cosa stava succedendo, al campo? Se le Arpie potevano entrare con quella facilità, avrebbero dovuto aspettarsi di peggio a breve?

Schivò un coltello che era volato nella direzione sbagliata. Bè, considerò, di peggio mi pare abbastanza difficile.

-Frank, occhio alla tua destra!- urlò Reyna, schivando un'artigliata tagliando in tutta fretta le zampe di un'Arpia.

Il mostro strillò dal dolore, e la ragazza ne approfittò per assestarle un colpo in pieno petto, uccidendola una volta per tutte.

Si girò verso il suo collega, che fronteggiava tre Arpie tutto da solo, e si lanciò in suo aiuto.

Non era possibile. Non-era-possibile. Doveva essere una riunione del Senato. Una semplice, pallosissima riunione del Senato, di quelle che durano un sacco e che non vedi l'ora che finiscano, ma in cui il pericolo maggiore é quello di crollare addormentati mentre un senatore sta facendo il suo i intervento.

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