La gabbia

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KATIE
Rimaniamo in silenzio per parecchio tempo,guardando ognuno in punti diversi. Mia madre il lago,mio padre il cielo azzurro,Jem la coperta sulla quale stiamo seduti e io Jem. James Christopher Olson. Un ragazzo che ha sofferto troppo per avere solo diciott'anni. Vorrei fare qualcosa per lui ma la verità è che per quanto possa sforzarmi,non riuscirò mai a farmi un'idea plausibile di ciò che ha passato. Non avevo mai sentito una storia così. Nessuno mai mi ha detto la verità:che ci sono state altre guerre,che gli umani vengono rinchiusi e sfruttati in un edificio ad appena un paio di chilometri dalla città. E chi avrebbe dovuto dirmelo?,mi domando. Sono nauseata. Migliaia di persone vengono sfruttate,torturate e uccise in questo preciso momento appena al di là del bosco mentre noi stiamo seduti comodamente sull'erba. A goderci il bel tempo che gli umani lì dentro neanche se lo immaginano più. È una vergogna. Qualcosa dentro di me si accende,simile ad una fiamma ma io penso ad altro. Ce l'ho con lo Stato,con me stessa per aver osato avere dei pregiudizi su Jem,con i dotati perché non si sono mai interessati realmente a ciò che il bosco nasconde. Sono arrabbiata.
-Katie,basta.
La mia famiglia mi sta fissando. Sono circondata da ramoscelli e foglie secche. Arrossisco violentemente:dare nell'occhio è l'ultima cosa che voglio fare.
-È che sono...
Non c'è bisogno di continuare. Ad un tratto un pensiero mi sfiora la mente come un fulmine,veloce e spaventoso. La mia testa scatta verso Jem.
-Nessuno si sta interessando a noi. -mi risponde,evidentemente la mia espressione dice tutto.
-Dici?
-Katie,finché ci comportiamo in modo normale,nessuno ci presterà attenzione. So che stiamo rischiando,ma questo ragazzo non sedeva all'aria aperta da anni!
Guardo mio padre. Tre mesi fa non sarebbe stato così disposto a rischiare per un umano,infrangendo una delle regole più importanti dallo Stato,e cioè Non avere alcun rapporto con gli umani. O sì? Cosa nasconde?
-Non voglio che Jem venga preso. Solo questo. E qui,all'aria aperta,è troppo esposto. La gente non lo conosce,chiunque si accorgerebbe che non è un cittadino.
Una bici in lontananza inizia a vibrare,attratta da me.
-Katie-sussurra mia madre. -Tuo padre ed io ci abbiamo già pensato. Disegneremo un simbolo sul suo avambraccio,lo faremo passare per un lontano parente,se necessario. Non lo prenderanno.
-Non preoccupatevi troppo. -interviene Jem con tono calmo. -Ho intenzione di andarmene da questa città,mi sento come un topo in trappola. Vi sono debitore a vita per avermi salvato,ma appena troverò il modo di uscire me ne andrò.
Spalanco la bocca. Questo è un colpo basso,non pensavo che la conversazione prendesse questa piega. Non pensavo che lui volesse così intensantemente andarsene. E che cosa ti aspettavi,stupida? Lui,qui,è in trappola. Lui non è come te.
Ma io non voglio che se ne vada. Egoista.
I miei occhi incrociano quelli di Jem. È solo quando vedo la tristezza e la paura nei suoi,che capisco che qui non potrà mai stare. Che questa è una gabbia per lui,per noi. Perché anche noi dotati siamo tenuti dentro,ignorando quello che sta succedendo al di là dei confini.

*

JEM
Dalla finestra entra un vento leggero. Sporgo la faccia per sentire l'aria,per permetterle di colpirmi il viso. La mia mente è un turbinio di pensieri e ho un bisogno disperato di riordinarli.
-Jem. -sussurra Katie entrando nella stanza.
-Ciao,Katie.-mi giro a guardarla. Ha il viso arrossato. -Hai pianto?
-No.
Peccato che non me la bevo. La guardo,in attesa.
-È solo che...ho provato a mettermi nei tuoi panni. E...io...odio piangere. -sbuffa.
Mi si avvicina e io vorrei dirle che non è da deboli piangere,che non deve vergognarsi di farlo,ma rimango in silenzio.
-Mi dispiace,Jem.
-Non hai nessuna colpa.
-Mi dispiace comunque. Non solo per la tua storia.
Capisco che mi sta chiedendo scusa per il fatto dei pregiudizi. Di nuovo. Ma questa volta è veramente sincera. Sposto lo sguardo verso la finestra,imbarazzato. Non so davvero cosa mi stia prendendo:voglio fare tante cose ma non riesco a fare altro che rimanere immobile.
Ad un tratto Katie mi butta le braccia al collo,cogliendomi di sorpresa. È solo dopo che esco dallo stato di pietrificazione che la abbraccio anch'io. Lei mi stringe forte,incurante della mia quasi anoressia,della mia debolezza. E io sento i miei occhi inumidirsi. Perché? Perché solo una persona mi ha abbracciato così,mi ha trasmesso così tante emozioni:mia madre. Però l'abbraccio di Katie è diverso:sentirla contro di me,adesso,mi provoca tante emozioni forti,nuove e belle. Emozioni a cui non so dare il nome,per ora.
La mia mano le afferra la nuca e prende ad accarezzarle i capelli. E io inizio a stringerla a me,forte così come sta facendo lei. Mi stupisco della perfetta aderenza tra il suo corpo e il mio,di come lei stia riuscendo a riempire seppur di poco,il vuoto che c'è in me.
-Non voglio che te ne vada. -mormora contro il mio petto.
-Dovrò farlo.
-Jem?
-Sì?
-Sappi che quando lo farai verrò con te.
-No.
-Non ti ho chiesto il permesso.
Sorrido tra le lacrime,appoggiando la guancia contro i suoi capelli. So che sta dicendo sul serio,e so anche che non riuscirò a impedirglielo. Ha sempre voluto sapere la verità. E ora che ne è venuta a conoscenza non farà come se niente fosse.
-Voglio imparare ad usare il mio dono.
-Ti aiuterò.
La sento sorridere. "Grazie" mima con le labbra.

*

KATIE
-Quindi fammi capire bene. Vuoi passare al livello successivo dell'allenamento pur sapendo che non sei minimamente in grado di attirare oggetti più pesanti di una pallina da tennis?
Guardo il mio istruttore dritto negli occhi e ripenso alla bici che vibrava l'altro giorno.
-Esatto.
-Non se ne parla,Connor.
-Ho bisogno di essere stimolata! Sono anni che sto ferma a questo livello!
-Non è colpa mia se sei troppo debole per usare il tuo dono!
-IO NON SONO DEBOLE!
E con queste parole scateno il caos. I fogli sulla piccola scrivania iniziano a volteggiare in aria,il cestino cade per terra rovesciando il suo contenuto,le foto appese e in generale tutto ciò che sta nel microscopico ufficio si alza in aria concentrandosi verso il centro,che è il punto in cui mi trovo io. L'istruttore guarda il tutto strabiliato e forse anche spaventato.
-Connor,poni fine a questa cosa.
-Mette ancora in dubbio la mia natura di dotata,signore?
-Connor,smettila.
-Crede ancora che possa essere solo un'umana più sviluppata?
-Finiscila,dannazione!
Cerco di calmarmi,immaginando ogni oggetto tornare al suo posto. Quando riapro gli occhi in aria non c'è più niente;in compenso però,l'ufficio è totalmente in disordine.
-Voglio passare ad un livello più alto. Buona giornata.-  giro i tacchi e me ne vado.
Mentre cammino per tornare a casa ripenso al senso di euforia che si era impadronito di me mentre usavo il mio dono. Un senso di libertà. È stato come se avessi liberato un animale tenuto prigioniero troppo a lungo. Mi sono sentita forte. Ora so di potercela fare,se lo voglio. E lo voglio. Per Jem. Non c'è bisogno che mi chieda come mai sto riuscendo ad usare il dono. È scattato qualcosa dentro di me da quando ho incontrato Occhi-Grigi. Non so davvero spiegarlo,ma ho la sensazione di aver appena iniziato la mia grande avventura. E non ho la minima intenzione di tirarmi indietro.

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