Dotata o umana?

118 13 7
                                        

-Avanti, Connor! Muoviti!
Sono ferma in mezzo alla palestra. La voce del mio mentore, Joe, riecheggia severa tuonandomi nelle orecchie. Sono tutta sudata, l'aria entra come lama nel petto. E sono stanca. Sono qui da due ore e non sono riuscita a combinare nulla. Non ne posso più.
-CONNOR!
Sobbalzo leggermente e provo con tutte le mie forze a concentrarmi, a fare qualcosa, qualunque cosa; ovviamente non ce la faccio.
-Basta così. Nel mio ufficio. -tuona lui sbuffando sonoramente.
Lo seguo sollevata. So cosa mi aspetta: una lunga ed infinita serie di rimproveri che sono gli stessi da almeno quattro anni. Entriamo nella micro-stanza che viene chiamata ufficio e Joe, un uomo sulla quarantina, alto con lo sguardo perennemente seccato ed altezzoso, si siede dietro al piccolo tavolino decisamente in netto contrasto con la sua corporatura robusta. E via con i rimproveri.
-Così non va, Connor! Da quanti anni ci alleniamo? Tre? Quattro anni? E a che punto stiamo? Al punto...
-...di partenza. Ma che vita sedentaria che conduciamo. -continuo io prima di tenere a freno la lingua. Cavolo. Stupida, stupida!
C'è un momento di silenzio in cui rimaniamo a guardarci, io che vorrei sprofondare nel sottosuolo.
-Già, Connor. -risponde lui con un tono di voce forzatamente pacato ma non per questo meno freddo. -Se fossi capace ad usare il tuo dono come lo sei a usare la lingua, non avrei modo di mettere in dubbio ciò che sei. Una come noi o... un'umana. Certo hai il marchio ma potrebbe benissimo essere un trucco, non so se mi spiego... -mi guarda di sottecchi, in attesa.
So che le sue sono parole provocatorie, ma il tono è talmente accusatorio ed io sono così fisicamente e mentalmente provata, stressata ed impaurita dal perché non riesco ad usare il sono che ho che reagisco esattamente come lui si aspetta.
-Io non sono un'umana. Io ce l'ho, il dono. -dico più a me stessa che a lui.
-Vedi Connor, alcuni umani sono più... -si ferma per cercare il termine adatto, prendendosela con calma, giusto per accrescere la mia irritazione. -...sviluppati di altri. Possiedono... mmh, sfumature di doni, diciamo così. Potresti rientrare in questa categoria.
-No! -esclamo in fretta, il panico che s'impossessa di me alla sola vaga idea di quello che potrebbe accadermi se così fosse. Non può essere, non io, non con questo dono.
-Dimostramelo.
Io mi limito a guardarlo. Lui mi fissa a sua volta. Poi alla fine schiocca la lingua e dice:
-Domani. Alle 16. Ti voglio qui.
-Va bene. -bofonchio infastidita, prendo le mie cose e me ne vado sbattendomi la porta alle spalle.
Fuori dalla palestra il vento mi colpisce con così tanta forza da togliermi il respiro. Mi stringo le braccia intorno al corpo e inizio a camminare in fretta, decisa a dimostrare a tutti che non sono umana. Ma come?
È da quando ho memoria che mi sento dire di avere un dono importante, utile, magnifico, potente. Ho vissuto sotto lo sguardo attento di persone che non vedevano l'ora che glielo mostrassi e, per quanto i miei genitori non abbiamo mai proferito parola al riguardo, so che anche loro hanno provato indirettamente a stimolarmi e tirarmelo fuori. Il punto è che questo dono ha dato segni della sua esistenza solo un paio di volte fino ad ora e mai durante le visite di controllo effettuate dallo Stato. Ed entrambe le volte il risultato è stato appena accennato. Ho sperato per anni che mi lasciassero in pace visti i risultati, che si arrendessero dall'essere costantemente in attesa così da poterlo usare a proprio piacimento, ma sono state speranze invano. Da quando ho compiuto 13 anni, però, lo Stato ha deciso di non poter più aspettare pazientemente che si manifestasse da solo, ed è sempre più risoluto a tirarmelo fuori, volente o nolente, "perché serve".  Il risultato sono 4 anni fino ad ora di allenamenti intensivi, stressanti è poco produttivi che hanno avuto come risultato la scomparsa anche della minima traccia della presenza del dono. Come se fossi davvero un'umana...
Mentre sono immersa nei miei pensieri autocommiserativi mi rendo conto di essere vicino al lampione dove ho trovato Occhi-Grigi. E se lui invece fosse umano? I problemi che insorgerebbero al riguardo sarebbero infiniti, oltre il rischio che io e la mia famiglia corriamo di essere immediatamente esiliati dalla città.
Mi fermo a guardare il bosco che qualche settimana prima ha sputato fuori questo ragazzo debole e malnutrito. Naturalmente non s'intravede altro che il verde scuro degli alberi folti e alti, il silenzio quasi spettrale che emana, il senso di pericolo che grava attorno ad esso. È tutto come sempre. Eppure c'è qualcosa lì, qualcosa che lo Stato ci tiene nascosto.
-Katie!
Mi giro di scatto, spaventata da un uomo a pochi passi da me. È un amico di papà, uno dei sostenitori più accaniti dello Stato. Non l'ho nemmeno sentito avvicinarsi.
-Salve, signor Barrey. -rispondo cercando di assumere una voce tranquilla.
-Cosa stavi guardando? -domanda camuffando il sospetto con un tono puramente curioso.
-Oh, mi piace guardare i colori del cielo a quest'ora e il loro contrasto con il verde degli alberi è magnifico.
Barrey scruta prima il cielo poi il bosco. -Sì è vero, non l'ho mai notato. Ottima osservazione! Ti serve un passaggio?
-No, grazie. Arrivederci.
-Ciao, Katie. -mi saluta finalmente tenendomi comunque d'occhio fino a quando non raggiunge la sua macchina.
Io mi giro, gli sorrido e m'incammino verso casa, ringraziando la mia buona stella per il lampo di genio, di solito sono una frana nel mentire.

Quando arrivo a casa non c'è nessuno. I miei staranno sicuramente da qualche vicino per poter elogiare lo Stato in compagnia. È l'argomento preferito della gente, dopotutto. I miei non sono accaniti come il signor Barrey ,ma rispettano lo Stato e ne approvano ogni scelta. Non che i cittadini nelle scelte abbiano voce in capitolo ma sono contenti se lo Stato si interessa della loro opinione, si sentono più partecipi e considerati.
I miei devono essere usciti da poco, non lasciamo mai Occhi-Grigi da solo. Mi precipito in camera mia. È sveglio.
-Ciao. -dico entrando, un sorriso che prende forma sul mio viso senza che io me ne accorga.
Lui mi guarda e alza piano una mano. È qui da 2 settimane e si sta riprendendo. Piano, ma lo sta facendo. Non è più pallido come prima e riesce a stare sveglio per un po' di tempo, è più collaborante e riesce anche a camminare per qualche metro senza stancarsi.
-Stai bene? -gli domando sedendomi sul bordo del letto.
Lui annuisce stringendosi di più le coperte addosso. So bene che l'eccessiva diminuzione di distanza tra noi gli crea disagio, non penso abbia paura di me ma forse si sente più tranquillo se le coperte gli coprono il corpo e se tra noi c'è una buona fetta di distanza. Eppure io il suo ampio ed esagerato spazio lo invado lo stesso, pretendendo che si trovi nella mia stanza, sul mio letto, fingendo pure a me stessa che non ci sia nessun altro motivo.
-Hai fame?
Affermativo.
-Torno subito. -dico alzandomi e andando in cucina dove trovo il solito vassoio con un bigliettino sopra: Per quando si sveglia.
Quando ritorno lui si è messo seduto e si sforza di apparire indifferente a ciò che ho in mano; peccato che non ci riesce. Sorrido porgendogli tutto. Lui mangia piano e io lo guardo, i capelli folti e lucidi, così scuri da sembrare innaturali, la pelle chiara e liscia, un leggero accenno di barba, le dita lunghe ed affusolate che maneggiano nervose le posate, la sua immagine che si offusca piano, lui che mi guarda e tutto che inizia a sembrare un po' irreale e solo dopo mi rendo conto di essermi addormentata dall'altro capo del letto.

I Doni immortali Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora