Il doppio gioco

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KATIE
Una calda giornata estiva. Un'altalena legata al ramo di un grosso albero e io che ci dondolo sopra gridando a mio padre di spingermi più su,più su. Sento il vento che mi scompiglia i capelli,mi accarezza le guance e mi ritrovo a ridere.
Accanto alla mia si unisce un'altra,di risata. Dolce e molto familiare. Mi volto e vedo che a spingermi non è più mio padre ma un ragazzo dai capelli neri. I contorni del viso sono molto sfocati,non riesco a mettere bene a fuoco.
Il ragazzo continua a ridere spingendomi troppo forte. Io cerco di rallentare facendomi prendere dal panico,il ramo non è poi così robusto e sono ad un'altezza spaventosa da terra. Mi giro di nuovo verso il ragazzo che so di conoscere e noto che si trova molto sotto di me.
Non ride più.
Spalanca la bocca senza contorno e grida: Aiutami!
Mi sveglio di soprassalto scostando il groviglio di lenzuola che ho addosso.
-Oddio-sussurro inspirando profondamente per calmarmi.
Mi tremano le mani e non per il grido che ancora ho in testa ma per quella strana e fastidiosa sensazione di conoscere quel ragazzo. So di conoscerlo. Ha i capelli neri...e poi? C'è altro.
Mi spremo le meningi e alla fine dirigno i denti frustrata. Non riesco a ricordarmelo.
Mi alzo e infilo con forza le scarpe. Apro la porta ed esco dalla camera che mi è stata assegnata,incurante del fatto che sto camminando con scarponi e pigiama.
Mi hanno assegnato la stanza oggi,dopo la lotta. È piccola,con solo un letto e un comodino,una piccola finestra in alto per garantirmi un minimo di cambio d'aria. Ad ogni modo preferisco questa alla camera condivisa con Carl e i suoi discepoli.
Il corridoio è abbastanza buio,illuminato solo dalle luci di emergenza ed è leggermente inquietante,avvolto com'è in un silenzio tombale.
Mi avvio un po' a caso alla ricerca di una finestra,la mano che tocca il muro,gli occhi ben spalancati.
Mi sono calmata,anche se quella fastidiosa sensazione non se n'è ancora andata.
Continuo a camminare ma ho la sensazione di stare andando nella direzione sbagliata. Forse è meglio se torno indietro.
Mi giro e sto per riprendere a camminare quando una mano mi afferra la spalla stringendo con forza sovrumana.
-Dove sta andando,soldato?-mi domanda una voce metallica alle mie spalle.
Sono come un pezzo di legno. È uno Stratega di Guerra,porca miseria.
-Io volev...-sento che mi sta infilando qualcosa nel fianco,un ago?
Sto per dire qualcosa ma affogo nel buio incapace di reagire.

MATTHEW CONNOR
-Devo vedere mia figlia. -dico al soldato di guardia di fronte a me.
È la seconda volta che glielo dico e sono disposto a rimanere qui per tutto il giorno.
Con un sospiro ben udibile,il soldato borbotta un 'Torno subito' e mi lascia ad aspettare davanti al cancello.
È passata una settimana. Sono venuto qui tutti i giorni e non me l'anno mai fatta vedere. Mi manca. Vorrei solo poterla rivedere,stringerla a me ed accarezzarle la cascata di cioccolata che le scende lungo le spalle,dirle che sua mamma è in pensiero per lei,assicurarla che va tutto bene e che la tirerò fuori di qui.
Il soldato ritorna e mi invita con un breve cenno del capo a seguirlo. Mi riprendo velocemente e lo seguo,ansioso.
Mi conduce all'interno del grande edificio ricordandomi circa ogni due minuti di non allontanarmi per nessuna ragione al mondo. Vorrei dirgliene quattro a questo giovane arrogante ma temo che cambierà idea sul farmi vedere Katie. Perciò mi mordo la lingua e lo seguo in silenzio.
Entro in una stanza tutta bianca ma la cosa non mi infastidisce:è tutta la vita che ho a che fare con oggetti bianchi e blu.
Il soldato se ne va e io osservo le pareti nude. So di essere osservato come minimo da venti persone ma mi trattengo dal mostrare loro un sorriso divertito,significherebbe solo sfidarli e mia moglie non ne sarebbe per niente contenta. Dice che Katie ha ereditato il suo spirito ribelle proprio da me.
Eccola che arriva. Sento i suoi passi che producono tonfi sordi sul pavimento bianco,riuscirei a riconoscerli anche in mezzo ad una folla. Il mio sistema nervoso sta rilasciando un'enorme quantità di adrenalina che mi accelera il battito cardiaco in maniera incontrollabile. Quando entra nella stanza vado verso di lei e la abbraccio più forte che posso. La mia piccola.
Non so per quanto tempo rimaniamo così,il tempo necessario per rendermi conto che in lei c'è qualcosa di diverso,comunque.
-Padre -saluta quando allontano il mio corpo dal suo.
Padre? Non mi ha mai chiamato padre.
La fisso in silenzio. È cambiata. Il viso ha dei tratti leggermenti più severi,negli occhi non c'è traccia della sua gentilezza. Tutta la dolcezza è stata sostituita da uno sguardo duro,severo e orgoglioso.
Anche il suo corpo non è più così gracile com'era prima e non mi è sfuggita la mancanza di calore che ha avuto quando l'ho abbracciata.
-Come stai?- dico calmo,cercando di nascondere il dolore che questa nuova Katie mi sta dando.
-Mai stata meglio.- risponde con un sorriso affilato.
-Sei diversa.
-Sono un soldato.
Annuisco mentre le sue parole mi lacerano come un vecchio pezzo di stoffa. L'orgoglio,il fiero orgoglio con cui l'ha detto mi fanno capire che ormai l'ho persa. Che l'hanno trasformata in una di loro.
Mi aspettavo una Katie che cercasse di andarsene,di scappare. Di certo non una Katie che si compiacesse dell'essere un soldato.
-Non devi seguire un addestramento per diventare un soldato?-mormoro con la bocca secca.
-Il mio addestramento termina domani. Gli Strateghi di Guerra mi vogliono subito nell'Esercito,dicono che potrei essere uno dei migliori soldati della storia.
-E tu vuoi esserlo? Uno dei migliori soldati della storia?
-Sì.-risponde secca.
-E Occhi-Grigi?-lo so è stato sciocco chiederlo sapendo che ci sono venti persone che ci stanno ascoltando,ma non sono riuscito a trattenermi.
Katie ignora la mia domanda rimanendo impassibile,come se non avessi parlato affatto.
-Mia madre?
-Le manchi.
Non dice niente,non abbassa lo sguardo,non mostra alcuna emozione. -Da quando ci chiami madre e padre,Katherine?
-Un soldato deve essere formale con i suoi familiari.
-Un soldato può essere tale anche mantenendo un lato umano.
-I...lati umani non sopravvivono qui,padre.
Lo dice come se le parole le uscissero a fatica dalla bocca,come se stesse lottando contro qualcosa dentro di lei.
E io mi ritrovo a sussurrarle:
-Che cosa ti hanno fatto?
Lei non risponde,dice solo che se ne deve andare,deve esercitarsi con le armi da fuoco. Mi stringe la mano e se ne va camminando dritta e maestosa,senza traccia della camminata un po' fluttuante della mia bambina.
Chiudo gli occhi cercando di non crollare,di non ripetermi che è stata colpa mia se ho permesso che la tenessero qui per troppo tempo e mi dirigo fuori,nella mente la Katie dolce e ribelle prima di essere accolta nelle braccia dello Stato.

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