diciottesimo capitolo.

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Sfioro con un dito le venature del grande tavolo bianco perfettamente apparecchiato.
Dal centro sbucano due margherite arancioni, molto eleganti e belle.
Due piatti da portata bianchi e quadrati sono posizionati uno di fronte all'altro, ma sono felice di non vedere nessuna candela, renderebbe tutto troppo intimo e al momento preferisco vederla come una cena tra due persone che si stanno conoscendo.

Mi sembra di sentire la voce di Josh che prende in giro l'amico per le troppe smancerie, e non nascondo che anche io sono rimasta stupita da tanta eleganza, sembra brutto da pensare, ma non mi immaginavo potesse esistere una versione di Grant cosí fine. Dopotutto l'ho conosciuto ad una festa tra tanta gente ubriaca.

Mi sfilo la giacca a vento e lui mi fa cenno di posarla su un puff nero all'angolo della stanza, poi mi scosta la sedia ed io sorrido leggermente, spiazzata da questo gesto cosí cordiale ma allo stesso tempo un po' formale.

"Spero ti piaccia la cucina italiana, mi sono dilettato tutto il pomeriggio tra i fornelli!"
Sorride e mi scoperchia una portata di ravioli che emana un odore magnifico.
Una scintilla mi attraversa gli occhi e non vedo l'ora di poter assaggiare tutto.

Devo ammettere che se la cava alla grande, è anche un buon cuoco, oltre che un ragazzo dolce e affascinante. Durante la cena, mi parla del calcio, che è la sua passione, e della sua casa sul lago, dove vive d'estate.
Mi torna in mente una scena, io con le gambe incrociate e la macchina fotografica appesa al collo, i suoi occhi verdi piú delle fronde dei salici, la sua moto nera e lucida...

"Che ne pensi?"
La voce di Grant mi risveglia dai miei pensieri, ricordarmi che non devo permettere al mio subconscio di giocarmi brutti scherzi.

Dannazione. Cosa stava dicendo?

"Ehm... si, penso che... penso che sia davvero un'ottima idea."

Lui ride e si morde il labbro per trattenersi dal continuare.

"Pensi che sia un'ottima idea sperimentare la droga sui cani?"
Capisco che ho comminato un casino, come al solito, e rido imbarazzata non sapendo che altro fare.

"No! Cioè no, sarebbe terribile... scusa, non stavo ascoltando."
Abbasso lo sguardo e lui continua a ridacchiare.

"Non ti preoccupare..."
si asciuga le labbra con un tovagliolino,
"ti va se ci spostiamo in veranda? Fuori si sta bene."
Continua poi.
Annuisco e mi alzo, riavviando i capelli dietro l'orecchio.

Lo seguo fuori e rimango spiazzata nel vedere quanto il giardino, quando non è gremito di gente che balla e biccheri rossi pogiati su ogni ripiano libero, possa sembrare ampio e ordinato. Si richiude la porta-vetro alle spalle e rimaniamo da soli nella veranda, riducendo il mio campo visivo ad un paio di divanetti e un tavolino di banano.

Si posiziona davanti a me e stappa una bottiglia di vino rosso.
Mi chiede il permesso con lo sguardo ed io annuisco, cosí mi riempie il calice informe del liquido rosso.
Brindiamo e lo sorprendo a fissarmi, mentre porto le mie labbra al bordo del bicchere e sorseggio lentamente.
In bocca è dolce e fresco.

"Parlami di te."
Esordisce all'improvviso, poggiando i gomiti sulle ginocchia.

Io mi guardo intorno e, prima di aprir bocca, butto giú un altro sorso di vino.

"Bhe, sono nata e cresciuta a Washington, in un quartiere modesto di periferia, vicino ad un magnifico laghetto. La vedevo piú le piante e gli uccelli che le persone. Casa mia era situata in un punto dimenticato da tutti, e tutto sommato mi piaceva vivere nel mio piccolo mondo."

Accavallo le gambe e faccio ruotare ció che resta del vino.
Lui non perde tempo e riempie nuovamente i calici, smettendo un attimo di fissarmi.

due perfette imperfezioni.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora