3 capitolo

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Quella sera mangiai appena un'insalata leggera e un po' di pane. Non avevo molta fame. La mia acutissima sensibilità mista a troppa curiosità di scoprire qualcosa in più su quel tizio mi aveva letteralmente chiuso l'appetito. Di lui sapevo solo il nome, Jonh se non mi sbaglio. Anzi no, no era Josh. Bellissimo nome, adatto ad un dio come lui. I suoi occhi verdi divennero il mio pensiero fisso per il resto della serata e non facevo altro che portarmi le mani sul viso e sulla nuca come per cercare di bloccare tutti quei piccoli flash back che mi balenavano in mente. Il suo volto divino, i suoi occhi, i capelli, la bocca rosea, il corpo perfetto, il suo odore, la mia espressione, la mia stupida figuraccia, le sue parole. Eh si, bhe come si dice, mi stavo proprio facendo i film mentali. Tutta la notte mi passó così, finché verso le mattinate non mi addormentai stringendo forte il cuscino.

La mattina dopo un grosso paio di profonde occhiaie mi accerchiavano gli occhi, un buon inizio direi. Nonostante le poche ore di sonno ero tutto sommato in forma e molto dinamica. Mi lavai velocemente sotto un getto d'acqua ghiacciata e mi vestii.

Scelsi una camicietta leggera senza maniche e un pantaloncino, senza mai dimenticare le mie adorate vans.

Scesi in veranda e con un abbraccio profondo e dolce diedi il buongiorno a mia madre, che stava deglutendo pian piano una tazza di latte caffè fumante.
Lo faceva ogni mattina, ormai da sola, forse anche in ricordo di mio padre, che, anche se era stato un bastardo a fuggire, era il primo amore di mia madre, la prima scintilla. Forse un po' come josh per me.

Basta. Mi stavo bloccando troppo su una persona di cui non sapevo assolutamente nulla. Poteva essere chiunque, qualsiasi persona.

Ritornai in me e mi sedetti nell'atrio con il computer sulle ginocchia. Stavo finendo un progetto da presentare a settembre per l'ammissione all'università, e l'idea di una nuova vita negli alloggi mi entusiasmava un casino.

Persi circa due orette, finché non decisi di smettere, i miei occhi reclamavano così come la testa a causa dello sforzo.

Mi accorsi però che era ancora troppo presto anche per pranzare, così dopo attimi di decisione, decisi di farlo. Afferrai macchina fotografica e bicletta e partii.

Non sapevo nemmeno perché lo stessi facendo, ma qualcosa mi spingeva a superare i miei limiti, non riflettere su quello che stavo facendo e buttarmi, come andava andava. Non me la sentivo di portarmi dietro tutta la vita i rimpianti. Non volevo rimpiangere il fatto di non averci nemmeno provato.

Stavo farneticando troppo, basta. Il paesaggio era bellissimo, suggestivo. Mi lasciai distrarre dal venticello, dalle fronde dei salici che sembravano danzare, dal rumore delle onde, dal verso delle pernici, dal gracidare delle rane. Chiusi gli occhi un attimo per assaporare il tutto, ma quando li riaprii, il mondo mi cadde addosso, dinuovo.

"Ferma, che cosa fai!"
Furono le ultime cose che sentii, prima dello schianto.
Il manubrio della bici mi sfuggì dalla presa, la ruota si impennó su dei sassolini ed io volai dal sellino. Cercai di evitare l'inevitabile. Caddi con la faccia a terra, praticamente ai suoi piedi.

Non solo ero caduta, ma proprio davanti all'ultima persona al mondo a cui avrei preferito farmi vedere ridotta in quello stato. Lui era la. Fermo. Almeno lo scansai. mi cadde il mondo addosso letteralmente.

Una volta che realizzò che mi ero davvero fatta male, corse da me e aiutò a mettermi seduta. Mi pulí le ginocchia che sanguinavano leggermente sfregandovi delicatamente i palmi sopra, poi mi guardó in viso ed i nostri occhi si incrociarono. Il momento più intenso ed imbarazzante della mia vita.

Mi avvicinò lentamente le dita al viso e mi asciugó le poche lacrime causate dal dolore.

Fremetti. Forse a causa della troppa ansia.

"Shhhh, tranquilla, dove ti fa male? Hai fatto un bruttissimo volo."

Mi sorrise per rassicurarmi.

Guardai la caviglia gonfia e gliela indicai, così lui prese a fissarla.

La tastó delicatamente, finché dalla mia bocca non uscí un mugolio di dolore.

"Credo sia slogata, se non addirittura rotta, vieni ti porto a casa, credo che sia meglio così."

Mi cinse le spalle con un braccio, mentre con l'altro mi alzò le gambe da terra. Sentí la sua pelle sfiorare dolcemente la mia, due corpi in contatto talmente uniti da sembrare indivisibili.

"Abito in fon..."
Non finí la frase che lui mi interruppe.

"Shhhh, so dove vivi tranquilla, ora pensa alla tua caviglia, è conciata male."

Il mio cuore si bloccò e perse battiti. Come faceva a sapere dove vivevo?
Alla fine scelsi di fare come diceva lui, di rilassarmi, il dolore non mi permetteva di pensare.
Appoggiai il capo sui suoi pettorali, sentendo i suoi muscoli contrarsi di volta in volta.

due perfette imperfezioni.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora