La casa bruciata

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"Sai forse dovresti parlarci."
Guardo mio fratello e gli dico di andarsi a fare un giro, o una chiaccherata da qualche altra parte e lui, docile, va a salutare Patrick con finto slancio.
Da quando siamo usciti dallo stadio Michael non fa altro che girarmi intorno e dirmi cose come: "Dovresti parlarci" o "Non essere geloso". Come se avessi scritto in fronte che sono geloso di Frank.
In ogni caso un po' mi disturba il fatto che Jamia lo abbia abbracciato, certo, era quello che volevo fare anche io, ma solo io avrei dovuto farlo. Non lei.
Eppure lo ha fatto e, mentre andiamo verso la pizzeria consigliata da Lindsey per passare "un buon pranzo", non riesco a toglierle gli occhi di dosso. Lei cammina tenendo Frank per un braccio, come se fossero una vecchia coppia di anziani signori che vanno al parco a dare le briciole di pane ai piccioni. Billie continua a lanciarmi sguardi carichi di domande. So che è preoccupato per me, più per la caduta che ho fatto davanti a mezza scuola, che per l'abbraccio fra Jamia e Frank. L'unico lato positivo è che nè Brendon nè Patrick e tantomento Alex mi hanno infastidito durante tutta la giornata. Penso che invitarli, in fondo in fondo ma veramente in fondo, non sia stata una cattiva idea. Brendon e Patrick hanno legato un sacco e stanno per le loro, mentre Alex ha parlato un po' con tutti, tranne che con me ovviamente. È proprio un colpo di fortuna.
"Ehi ladro!"
"Come non detto." dico fra me e me. Neanche il tempo di pensare al fastidio che mi hanno evitato non considerandomi, che Alex appare al mio fianco trotterellando come un cagnolino felice, che quasi gli spunta una coda scodinzolante dalle chiappe.
"Avrei un nome." dico.
"Infatti ho detto ladro."
Sospiro e scuoto la testa. È veramente snervante sentirsi chiamare ladro da un ragazzino alto un metro e uno sputo, soprattutto se quel ragazzino entra di notte nella scuola per suonare uno stupido pianoforte, come se non fosse un'effrazione, o che so io.
"Mi faresti il piacere di chiamarmi Gerard?"
Lui mi guarda e infila la mano nella tasca del giacchetto, con gli occhi sbarrati. Poi tira fuori quel maledetto portachiavi di peluche a forma di pesce e me lo sbatte in faccia.
Giuro che uno di questi giorni glielo brucio.
"Questo è un tonno giusto?" mi chiede con un'espressione corrucciata.
"Non lo so" dico io "per me è solo un pesce giocattolo."
Lui scuote la testa: "È un tonno!"
"Va bene, va bene! E allora?"
"Come lo chiami un tonno?"
Rimango per un momento perplesso, perchè proprio non capisco dove vuole arrivare con questo discorso. Voglio dire, gli ho solo chiesto se gentilmente potrebbe chiamarmi con il mio nome di battesimo.
"Allora? Come lo chiami un tonno?"
"Tonno lo chiamo! Come dovrei chiamarlo?!"
"Esattamente!" dice lui togliendomi il tonno da davanti la faccia.
"E allora?!" chiedo, la mia pazienza sta per finire, non è come lo stomaco dei piccioni del parco.
Lui sospira esasperato, come se quello che sta dicendo fosse la cosa più palese di questo mondo.
"E allora, un tonno lo chiami tonno, mica Genoveffa!"
Adesso sono veramente senza parole, perchè quello che sta dicendo non ha davvero senso. Non avrebbe senso neanche se qualcuno si mettesse in testa di fargli avere senso ad ogni costo, ecco.
"Nessuno ha mai chiamato un tonno Genoveffa." dico, intenzionato a concludere al più presto questa conversazione senza senso.
"Non hai capito." dice "Chiamare un tonno Genoveffa è come chiamare te Gerard."
"Ma non ha senso!" esclamo.
"Si invece! Tu sei un ladro e ti chiamo ladro, questo è un tonno e lo chiamo tonno!"
"E tu sei uno stupido, ma mica ti chiamo stupido, no?!"
Alex mi guarda in silenzio e poi rotea gli occhi, mettendo il suo amato tonno nella tasca dei pantaloni.
"Lasciamo perdere." borbotta.
Per fortuna, non sopporterei un altro secondo di questa conversazione.
"Senti un po' Gerard." dice "Ma Frank e Jamia stanno insieme?"
Mi fermo per un attimo in mezzo di strada e faccio finta di bere una tazza di caffè immaginario.
"Cosa stai facendo?"
Alzo una mano e continuo a fingere di bere, poi sputo il finto caffè che stavo bevendo. Alex mi guarda senza capire, mentre io mi stringo nelle spalle e rinizio a camminare.
"Questo è quello che sarebbe successo se avessi avuto del caffè in bocca." dico "E comunque no, non stanno insieme."
Alex annuisce e mi mette una mano sulla spalla. Dico una mano perchè è troppo basso per cingermi completamente le spalle.
"So che sei geloso." dice, sempre annuendo con un'aria esperta. Come se fosse un uomo vissuto.
Lo allontano quanto più delicatamente possibile, cercando di trattenere l'irritazione e lui si ferma.
Io vado avanti sperando che lui mi segua, ma sembra che non abbia alcuna intenzione di farlo.
"Alex?" lo chiamo.
Si è fermato proprio davanti alla vecchia casa bruciata e la sta fissando con la faccia contratta in una maschera di terrore.
Mi avvicini a lui con cautela e provo a chiamarlo di nuovo, questa volta più gentilmente.
Lui non si volta, continua a guardare le rovine della casa e poi inizia ad indietreggiare.
"Alex che succede?"
Non mi risponde, continua ad indietreggiare, sempre più spaventato.
Mi volto a guardare la casa, nel punto che sta fissando lui, ma non vedo niente. Non capisco cosa sta guardando, magari è impazzito.
"Alex..." lo chiamo ancora e provo ad avvicinarmi di nuovo, allungando una mano verso di lui. Quando gli tocco il braccio con la punta delle dita, si gira finalmente contro di me. Apro la bocca per chiedergli nuovamente cosa ha visto, ma lui sposta bruscamente il braccio dal mio tocco e corre via.
Urlo il suo nome e mi ricordo che non eravamo da soli, vedo gli altri, molto più avanti di noi, che si girano tutti a guardarmi. Senza neanche pensarci parto all'inseguimento del ragazzino col tonno, mentre Billie mi urla dietro qualcosa come: "Gerard cosa sta succedendo? Gerard!"
Ma io non lo ascolto e continuo ad inseguire Alex.

Ikigai (Frerard)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora