Pioggia

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Il fatto che i cimiteri siano inquietanti è una cosa abbastanza nota da chiunque abbia un minimo di integritá psicologica, o almeno credo.
Se vi state chiedendo il perchè di questa semplice delucidazione che mi sono sentito di fare sul carattere umano, o perchè stia parlando in questo modo così, come dire, intellettuale, allora dovete sapere che questa mattina io e i miei due carissimi compagni di sventure, siamo andati a casa di Patrick a parlare con i suoi genitori.

Era una mattina grigia e tempestosa, noi eravamo a bordo della nostra nave, un bellissimo veliero, mentre il vento ci spingeva contro una ripida scogliera dalla quale non avremmo fatto più ritorno...
Scherzi a parte, questa mattina pioveva e tutto il resto e le strade erano così allagate che sembrava di camminare sull'oceano come Gesù. In giro non si vedeva anima viva, soltanto io e Frank stavamo camminando velocemente verso la casa di Patrick, stretti sotto il suo ombrello rosso, che sembrava l'unico punto di colore del mondo quella mattina.
Vorrei poter dire che mi piace la pioggia e tutto il resto, ma davvero, cosa c'è di bello nel camminare in tre metri di acqua fangosa che ti entra dentro le scarpe e ti mezza i calzini così tanto, che quando te li levi vanno dentro la lavatrice camminando da soli.
In ogni caso, Patrick abitava in uno di quei condomini a dieci piani senza ascensore che si trovano alla fine della cittá, quasi in periferia, tanto per rendervi partecipi di quanto abbiamo dovuto camminare io e Frank sotto il diluvio universale, della serie che se mi fossi messo a fare l'autostop sarebbe passato Noè sopra la sua arca con tanto di animali.
Ma in fondo era una bella casa, voglio dire, almeno lá dentro non pioveva.
Così siamo saliti per otto piani fino all'appartamento del ragazzo, l'ascensore c'era stranamente, ma non funzionava per colpa della pioggia, a quanto diceva un cartello, e abbiamo bussato alla porta con su scritto il suo cognome.
Dopo un po' sua madre è venuta ad aprirci, sorpresa.
"Chi siete?"
Io e Frank ci siamo guardati un po' confusi, pensavamo entrambi che Patrick avesse avvertito i suoi genitori della nostra visita, così sembrava un attacco a sorpresa dalle spalle al buio, mentre l'avversario era legato a una sedia e compagnia bella.
"Siamo amici di Patrick." dissi io.
Lei ci squadrò per qualche secondo e poi si mise a urlare il nome di suo figlio, che subito spuntò al suo fianco con la sua solita espressione da tartaruga felice.
"Ciao Gerard -guardò me- Ciao Frank."
Sua madre ci lasciò finalmente entrare ed io lanciai con poca grazia l'ombrello fradicio nel porta ombrelli, mentre lei ci invutava gentilmente a toglierci i giacchetti, che ovviamente gocciolavano.
"Se dovete fare i compiti vi lascio la cucina libera e..."
Patrick la interruppe.
"No mamma, dobbiamo parlare con te."
"Oh..."
Non so se aveva giá capito di cos volevamo parlarle e non so neanche se aveva voglia di farlo, nonostante cercassi di decifrare il suo sguardo, non riuscivo a vedere altro che occhi grigi e inespressivi.
La donna ci condusse in salotto e ci fece accomodare su un divano color porpora, poi ci offrì del caffè che, a malincuore, dovetti rifiutare.
"Ditemi." disse sedendosi su una poltrona davanti al divano, rossa anch'essa.
Io e Frank ci voltammo verso Patrick, perchè a quel punto non sapevamo davvero cosa dire, dopotutto era sua madre ed Emma sua sorella, stava a lui chiarire la faccenda e quel che ne conseguiva.
"So cos'è successo a Emma." disse soltanto.
La donna sussultò leggermente al suono di quel nome e, per un momento, vidi la tristezza nei suoi occhi, che subito scomparì.
"Come fai a saperlo?"
"Perchè non me lo hai mai detto?"
Eravamo i silenziosi spettatori di una discussione familiare, mi sentivo un intruso, un ladro quasi.
"Non volevo che tu soffrissi -disse- Non volevo che tu ricordassi."
"Lei è arrabbiata." rispose Patrick, alludendo al fantasma della sorella.
Solo in quel momento la storia mi parve così assurda da voler uscire correndo come un pazzo da quella casa.
Sua madre corrugò la fronte, confusa, e guardò me come se avessi le risposte a tutte le sue domande.
"Chi è arrabbiato Patrick?"
"Emma."
Adesso era spaventata, anzi, terrorizzata.
Pensai che credesse ai fantasmi ciecamente e che l'idea di sua figlia arrabbiata con lei la spaventasse a morte, come se potesse ucciderla nel sonno.
Poi si calmò e posò il suo sguardo su di me, ancora, e su di Frank.
"È stato gentile da parte vostra venire qua, anche se non capisco il vostro ruolo in questa faccenda, ma adesso devo chiedervi di lasciarci da soli. Ho bisogno di parlare con mio figlio."
Io guardai Patrick, che non ricambiò lo sguardo, e mi alzai. Frank mi bloccò con una mano.
"No -disse- Patrick è nostro amico, ci ha chiesto lui di aiutarlo, non lo lasceremo solo."
"Frank!" lo ammonii.
Ma lui non si voltò verso di me, fissò il suo sguardo deciso sulla madre di Patrick e mi costrinse a sedermi di nuovo.
La donna sorrise in un modo che mi fece rabbrividire dalla testa alla punta dei piedi.
"Andatevene." disse poi, con uno sguardo di sfida.
Io, che sono forse la persona più codarda del mondo, mi alzai e presi Frank per un braccio, trascinandolo fuori da quella casa con la forza, mentre lui opponeva resistenza.
Alla fine ci ritrovammo fuori dal palazzo, di nuovo nella tempesta. Frank tolse il braccio dalla mia presa con uno strattone violento e si incamminò velocemente verso la strada che avevamo percorso in precedenza per arrivare fin lì.
Non avevamo preso l'ombrello.
Io gli correvo dietro, cercando di spiegargli che non potevamo rimanere lì, che avevano bisogno di parlare di questa cosa da soli e compagnia bella.
Frank a un certo punto si era fermato in mezzo di strada ed io gli ero finito addosso, poi si era voltato di scatto verso di me guardandomi in cagnesco.
Non lo avevo mai visto così arrabbiato.
"Forse a te non importa un cazzo delle persone, perchè sei un egoista -disse, mentre le goccie di pioggia scendevano dalle punte dei suoi capelli neri- Ma io non sono come te, io riesco ad affezionarmi alle persone e tengo a loro. Patrick aveva chiesto esplicitamente di non lasciarlo da solo, mentre faceva questa cosa. E tu te ne sei voluto andare come il peggiore dei codardi, come un egoista del cavolo. Devi capire che non gira tutto intorno a te, che bisogna fare dei sacrifici per aiutare le persone a cui si vuole bene. Ma tu non sai neanche cosa vuol dire amare, non è vero? Tu non vuoi bene a nessuno."
Detto questo cambiò strada e se ne andò.
Io rimasi lì, immobile, mentre la pioggia mi scivolava addosso.
Ma le sue parole non scivolarono via, rimasero infilzate dentro di me come centinaia di coltelli.
C'era una tale rabbia melle sue parole, che mi ha annientato, senza lasciare alcuna traccia di me.
Camminai per un po' senza guardare le strade che prendevo, mi persi e ritorvai la retta via, poi mi persi nuovamente e mi ritrovai davanti al cimitero della cittá.
Entrai senza neanche pensarci.
Non avevo paura.

E adesso sono qua, davanti alla tomba di mia madre, accoccolato davanti alla lapide come un cane randagio.
Voglio soltanto sentirmi protetto, voglio sentire le sue braccia attorno al mio corpo.
Fa così freddo sotto questa dannata pioggia, vorrei addormentarmi sopra questa terra fangosa e non svegliarmi più.
Mettere una fine a questa mia vita insulasa, perchè dico davvero, cosa c'è di bello nella mia vita? Soprattutto adesso che ho rovinato l'unica cosa buona che avevo.
Sono riuscito a contaminare anche Frank con la mia stupiditá, con il mio egoismo e il mio odio per il mondo.
"È vero Frank, hai ragione, non ho idea di cosa significhi amare qualcuno, proprio non lo so.
Ma sono sicuro che quello che provo per te ci si avvicini un po', all'amore."
Sospiro e mi sposto i capelli bagnati dalla fronte, se mi metto anche a parlare da solo finirò rinchiuso in un manicomio o qualcosa del genere.
Un miagolio leggero mi fa voltare la testa verso sinistra e i miei occhi incrociano quelli di un gatto nero che si era accoccolato vicino a me, senza che me ne accorgessi.
Anche lui è bagnato fradicio come me.
Lo prendo di peso e me lo metto sotto il giacchetto, tanto per tenerlo un po' più al caldo, anche se ormai il mio corpo è un pezzo di ghiaccio bagnato.
Forse dovrei tornare a casa, portandomi dietro quel gatto, magari sono ancora in tempo per evitare di prendere la broncopolmonite.
"Tu che dici?"
Il gatto alza gli occhi verdi verso di me e miagola, posso sentire il suo cuore battere contro il mio sterno e, per qualche strano motivo, mi ricorda quando ho abbracciato Frank e gli ho detto che lo amo.
Probabilmente non mi crede più come faceva prima.
Pensare che è passato soltanto un giorno da quando ho avuto la felicitá fra le mani, ma sembra un'eternitá.
Il gatto miagola di nuovo, muovendosi un po', allora io mi alzo sospirando e mi avvio verso casa, con il mio nuovo amico fra le braccia.
Il vecchio Michael morirá d'infarto appena mi vedrá conciato in questo modo.

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November Rain

SALVE come promesso il capitolo l'ho scritto prima così, così... no allora, l'ho scritto prima per pubblicarlo prima, ecco! (So parlare si)
E uhm piangiamo insieme per Gerard.
Ma questo è solo l'inizio... *faccia malvagia*
Con love!

~bye

Ikigai (Frerard)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora