Chapter 1: Paradise

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20.00
"Merda, sono in ritardo."
Questa sono io, Ariel. Ho 16 anni e sono una ritardataria cronica.
Che vuol dire? Che ad ogni appuntamento mi presento con mezz'ora di ritardo. Lo so, è un difetto orribile ma è più forte di me. Ho la fissa di dover perfezionare il mio look fino all'ultimo dettaglio e ciò mi porta a tardare ogni singola volta.
«Ariel ti muovi? Faremo tardi!!» mi sbraitò la mia amatissima sorellina dal piano inferiore.
Erano due giorni che mi ripeteva che per il concerto dei 5 Seconds Of Summer saremmo partite alle 19.30 per arrivare in orario ma io come sempre mi limitai a sistemarmi all'ultimo minuto per finire di tardare come mia consuetudine.
La mia amica fortuna volle che i cantanti preferiti di mia sorella facessero il loro concerto due giorni dopo il nostro trasferimento a Sidney. Se non è sfiga questa!
"Ma zitta che piacciono anche a te!"
Ok. Spiegami chi ti ha interpellato.
"Sono la tua coscienza, non ho bisogno del tuo permesso per intervenire!"
Taci grazie.
Madison, mia sorella undicenne, aveva aspettato questo evento per quattro lunghi e strazianti mesi in cui la sentii ripetere "oh mio dio sono bellissimi! Il mio sogno si avvera, quanto è perfetto Luke." e cazzate varie.
Siamo entrambe londinesi ma nostra madre, dopo la separazione con nostro padre che l'ha messa incinta e poi l'ha mandata a fanculo, ha deciso di trasferirsi a Sidney con me e con le mie due sorelline per, come dice lei, dimenticare il passato. Non ho mai approvato questa scelta, specialmente per il fatto che a Londra avevo tanti amici, la mia scuola di danza, il mio liceo e tanti ricordi. Io vivo di ricordi sia belli che brutti.
Finii di sistemarmi dopo cinque minuti e scesi le scale per raggiungere mia sorella e la sua nuova amica accompagnata dalla sua famiglia. Madison era fantastica, faceva amicizia subito con tutti. Era solare, simpatica, aperta a nuove conoscenze. Tutto il contrario di me. Io ero silenziosa, apatica, distaccata. Potevo risultare una che se la tirava o che era davvero stronza ma ero solo il risultato di tutte le brutte cose che mi erano successe nei miei sedici anni.
Tutto iniziò all'età di quattordici anni. Era una sera di maggio. Fuori pioveva a dirotto e io stavo seduta alla scrivania a disegnare e ad ascoltare musica mentre messaggiavo col mio ragazzo, Nicholas. Era da un mese che stavamo insieme ma ci eravamo visti solo 3 volte. Però il fine della settimana che stava passando lo avremmo trascorso sempre assieme. Stavamo parlando di cose semplici: come era andata la giornata a scuola, quanti compiti avevamo fatto, i programmi per il giorno seguente. Ad un certo punto mi scrisse " amore, devo dirti una cosa che non ti piacerà." Ero sicura che anche questa volta mi avrebbe dato buca con una delle sue scuse. E fu proprio così. "Mi dispiace ma questo fine settimana non possiamo stare insieme, devo fare una cosa. Ti prego non odiarmi, ora vado perché non mi sento molto bene. Ti amo ricordatelo sempre."
Ero su tutte le furie ed iniziai a scrivergli i peggio insulti e le peggio cattiverie. Scrivevo, scrivevo ma lui non mi rispondeva più. Persi la speranza e decisi che lo avrei chiamato il giorno dopo.
Erano le 21.30 quando una telefonata dal cellulare di Nicholas mi fece riprendere in mano il mio IPhone. "Ciao Ariel, sono Martha, la mamma di Nicholas." Non mi resi subito conto che stesse piangendo ma ci arrivai quando un singhiozzo uscì dalla sua bocca. "Tesoro, Nicholas non ce l'ha fatta. Era in ospedale da due settimane per un tumore al polmone di cui non ti aveva mai parlato e un'ora fa la sua malattia ha vinto su di lui. Mi dispiace così tanto, cara." Chiuse così la telefonata. Rimasi immobile. Talmente tanto immobile che non mi accorsi delle lacrime che scendevano copiose sul mio viso. Era morto. Tutto ciò che assomigliava alla mia felicità era morto. Iniziai ad urlare, a piangere, a tirare pugni, calci, ad odiare tutti. Ma soprattutto iniziai a crollare piano piano.
Tutto ciò mi ha portato ad essere l'Ariel di oggi.
Salii in macchina di Benny, l'amichetta di mia sorella e sfrecciammo verso l'arena in cui si sarebbe tenuto il concerto. Perché stessi andando in quel posto? Perché mia madre mi aveva dato solo due possibilità: o andare con Madison e divertirmi o restare a casa con Lucy, la mia sorellina di tre mesi e badare a lei. Il che significava doverle dare da mangiare, cambiarle il pannolino, non poter ascoltare la musica e tenerla d'occhio ogni minimo secondo. Non ci pensai due volte ad accompagnare la peste al suo grande evento.
Arrivammo all'arena e mia sorella era eccitatissima. Diventava isterica e incontenibile. Mi vergognavo quasi nel sentirla urlare così tanto. La sua amica era tutto un pianto. Piangeva, saltava, rideva e ricominciava il processo daccapo. Mi sarebbe aspettata una lunghissima e straziante serata.
Arrivammo stranamente in tempo all'Arena dove si sarebbe tenuto il concerto. Mia sorella, non so come, aveva trovato il posto in prima fila. Da come mi aveva raccontato lei aveva partecipato ad un'estrazione e aveva vinto questi biglietti.
"Tua sorella è più sveglia di te."
Se non stai zitta ti taglio i viveri.
"I miei viveri sono anche i tuoi."
Lasciami in pace, la giornata fa abbastanza schifo anche senza i tuoi commenti. Ma guarda come mi sono ridotta, a litigare con la mia coscienza!
Entrammo nell'immenso edificio e raggiungemmo i nostri posti. Il palco era enorme, con grandissime casse poste ai lati. Mi ricordava tantissimo i miei saggi di danza a Londra. Mi manca tutto di quella città.
Ad un certo punto le luci si spensero e le urla delle bambine in calore aumentarono a dismisura.
Entrarono sul palco questi quattro ragazzi davvero fighi.
"Oh mio dio."
Tieni a freno gli ormoni mia cara.
«Ciao a tutti, siamo i 5 Seconds Of Summer e vi ringraziamo per essere qui!» disse il riccioluto che si trovava alla batteria. Indossava una canotta larga che lasciava poco all'immaginazione del suo fisico. Muscoli, pettorali e addominali. No, basta Ariel, hai 16 anni non 12. Mia sorella mi fece un quadro generale della situazione.
«Quello alla batteria è Ashton Irwin. Quello con i capelli colorati è Michael Clifford. Il ragazzo al basso è Calum Hood e il biondino è Luke Hemmings.» disse con gli occhi lucidi.
Pianto isterico tra 3... 2...1...
«Siete bellissimi!» iniziò ad urlare.
"Era meglio cambiare i pannolini."
Non ricordarmelo.
Iniziarono a cantare e, sorprendentemente, sapevo quasi tutte le canzoni. Mia sorella me le aveva fatte sentire per quattro mesi e, volente o nolente, le imparai.
Mi stavo divertendo tantissimo, non ci credevo nemmeno io.
«Ehi, Ariel, Luke ti sta lanciando occhiatine! Guardalo!» mi disse Benny ridendo.
Mi girai verso il biondo e lo guardai per bene. Skinny jeans neri strappati, canotta con scritto "You complete mess" e vans nere. Bocca rosea con un piercing ad anello a contornare il labbro inferiore, fossetta sulla guancia destra che veniva fuori quando rideva, capelli biondi tenuti dritti da gel. Avevo immagazzinato ogni particolare. Poi lui si girò di nuovo verso di me e, lí, li vidi. Vidi il mare, il ghiaccio, il cielo estivo, l'universo, il paradiso. Incontrai i suoi occhi e giuro, non ci vidi più.



Spazio autrice!

Okay, ci siamo! Ciao a tutte, ragazze! Questa è la mia prima storia e sono molto agitata. Spero davvero che possiate apprezzare quello che ho scritto in questo capitolo e quello che scriverò nei prossimi. Dato che io non sopporto le storie lasciate a metà, vi avviso che ho già scritto la storia sul mio telefono, per questo aggiornerò ogni pomeriggio. Beh, che altro dire? Se ci piace lasciate pure tutti i commenti che volete e votate la mia storia e, perché no? Condividetela anche con i vostri amici! Grazie a chi lo farà! Un bacio❤️

A personal infinity|| Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora