11.Apatic

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Quando ero in seconda media avevo una compagna di banco fissa.
Si chiamava Cassandra.
Cassandra aveva i capelli biondi platino e due grandi occhi verdi.
Cassandra era magrissima, più magra di me.
Gli altri compagni la prendevano in giro per questo.
"Che schifo ti si vedono le costole!"
Le dicevano.
A dir la verità lo dicevano anche a me, ma solo per il divertimento di vedermi piangere.
Nessuno ha mai agito in mia difesa, se non una ragazza una volta, ma l'ha fatto solo perché mi aveva beccato mentre nel bagno della scuola mi infliggevo i miei primi tagli.
Non me lo disse direttamente, ma io capii che anche lei sfogava le sue sofferenze così.
Tornando a Cassandra, lei non era come me, a lei non importava di quello che dicevano gli altri.
A lei non importava di nulla.
Io la definivo forte.
Non potevo immaginare che lei fosse così non perché riuscisse a controllare le emozioni, ma perché non le provava affatto.
In terza media si tolse la vita buttandosi giù dal tetto della scuola, piansi lacrime amare per lei.
Al liceo, quando incominciai a frequentare uno psicologo, riparlai di Cassandra dopo tanto tempo.
Fu da lui che sentii per la prima volta quel nome.
"Apatia." Mi spiegò.
"Non ci crederai Hanna, ma lei ha passato esperienze peggiori delle tue."
Sulle prime non ci credetti, voglio dire, all'epoca non pensavo esistesse qualcosa peggiore dell'autolesionismo.
Una volta conosciuta l'anoressia, molto più stabile e subdola del primo "disturbo" citato, mi ricredetti.

È da tre settimane che ho perso il lavoro.
È da tre settimane che non vedo Dylan.
È da tre settimane che sono caduta in un nuovo vortice senza fine.
Il vortice di Cassandra, o almeno così mi piace chiamare il nuovo tunnel che sto attraversando.
La differenza sostanziale tra questo tunnel e quelli precedenti, è che in questo non provi doloro, semplicemente non provi niente, il vuoto più totale.
Non riesco ad arrabbiarmi, non riesco a piangere, non riesco a ridere...
L'unico sentimento che a volte riesco a sentire è la paura.
Paura di non riuscire a provare mai più nulla, di rimanere per sempre in questa sorta di limbo.
Non riesco più a mangiare, avrò perso almeno qualche chilo.
Samantha e Luke mi trascinano sempre in giro con loro per farmi svagare, ma puntualmente mi ritrovo a fissare il vuoto davanti a me aspettando un qualcosa.
Non so di preciso cosa, ma sono sicura che anche se fosse una cosa piccola basterebbe.
Luke è arrabbiato con me.
Vorrebbe che reagissi, ma non ci riesco.
È facile parlare per lui: ha una vita perfetta, ha una famiglia perfetta...lui è perfetto!
Mi ricordo che lo psicologo mi disse che esiste un momento preciso in cui tutte le emozioni se ne vanno, e un secondo momento in cui te ne accorgi.
Ed è per questo che mi piace passare le mie giornate ripercorrendo i momenti trascorsi.

Sono al parco, seduta sulla mia solita panchina e scrivere.
Tengo una gamba sulla panchina e l'altra a terra impegnata a far muovere avanti e indietro il mio skate.
Tengo il diario poggiato sulle cosce mentre la mano sinistra impugna la penna che continua a riempire il vuoto di quella pagina bianca.
Vorrei essere come quella pagina bianca, in attesa di una penna che riesca a farla sentire un po' meno vuota.
Chiudo il diario inserendolo con cura nella tracolla affianco a me per poi estrarne Romeo e Giulietta, una delle tragedie più belle di Shakespeare.
Sono arrivata alla parte in cui Mercutio muore per mano del cugino di Giulietta, Tybalt. Se non l'avessi già saputo e avessi ancora dei sentimenti, probabilmente piangerei.
Era il mio personaggio preferito.
Sfrontato, arrogante, impulsivo...
Vado avanti nella mia lettura aspettando con ansia la vendetta di Romeo.
Sento dei passi ma non ci faccio molto caso, troppo impegnata nel cercare di togliermi i capelli davanti al viso per proseguire la mia lettura.
"Wow, non pensavo fossi tipo da Shakespeare."
Sussulto e alzo la testa di scatto.
Cerco invano di evitare un contatto visivo con lui, ma inevitabilmente i miei occhi incontrano i suoi e vengo scossa da un brivido.
Mi gira la testa, così abbasso lo sguardo.
Nonostante lotti per impedirmelo, riconnetto i nostri sguardi.
Sento il cuore battermi all'impazzata ma qualcosa non torna.
È come quando guardi un film la prima volta ad alta definizione e la seconda in streaming.
Scuoto la testa.
Dylan mi percorre con lo sguardo per poi guardarmi negli occhi per un tempo indefinito.
"Nella mia testa non è mai finita. Siamo ancora lì che ci guardiamo, per sempre." Cito a memoria.
Mi ci vuole un po' per capire che l'ho detto ad alta voce, ma non arrossisco, abbasso solo lo sguardo, e lui se ne accorge.
"Che hai fatto?" Inclina la testa da un lato e una ruga di preoccupazione gli si forma sulla fronte.
Cerco di non guardarlo, mi concentro sul cielo.
"Insomma, smettila di guardare il cielo, altrimenti uno di questo giorni abbasserai gli occhi e ti accorgerai che sei volato via anche tu." Cita anche lui Città di Carta sorridendo sghembo.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime e mi butto di gettò tra le sue braccia.
Mi metto in punta di piedi e nascondo il viso nell'incavo del suo collo.
In pochi attimi sprofondo nel suo forte odore di tabacco quasi completamente coperto da quello di qualche colonia maschile.
Non ricambia subito il mio inatteso slancio d'affetto perché troppo sorpreso, ma poi mi stringe a se con altrettanta esigenza.
Le mie braccia sono strette al suo collo e le sue stringono possessive la mia vita.
"D-dylan, non provo nulla..." Rivelo con voce rotta mentre vengo scossa dai singhiozzi.
Le lacrime continuano a scendere.
Lacrime vuote, inutili.
La sua stretta ferrea, se possibile, si fa più forte e nasconde il viso nei miei capelli disastrati dal vento.
Mi allontano dal suo corpo asciugandomi le lacrime.
Mentre guardo i suoi occhi mi sorge un dubbio.
"Dylan." La mia voce è roca.
"Si?"
"Di cosa odoro?"
Si fa sfuggire una risatina.
"Non penso smetterai mai di stupirmi Hanna Parrish."
Scuote la testa e poi torna serio.
"Ci sarò sempre Hanna." Dice con tono solenne.
Quel sempre mi rimbomba per qualche secondo nella testa.
Faccio un mezzo sorriso per poi sussultare stupita.
Era da tanto che le mie labbra non riuscivano a incresparsi nemmeno per produrre quel piccolo accenno di felicità.
"Grazie Dylan."
Il grazie è per avermi fatto sorridere, ma non penso lui lo abbia capito.
"Non ringraziarmi." Scrolla le spalle e io alzo gli occhi al cielo.
Poi inizia a guardarmi in maniera strana.
Ha lo stesso sguardo che aveva durante il nostro primo incontro: incuriosito.
"Cosa leggi adesso nei miei occhi?" Chiedo senza vergogna.
Sorride divertito dal ricordo.
"Ci ho rinunciato, troppo complicato."
In pochi istanti il mio sorriso si trasforma in una smorfia.
"Non ti piacciono le cose complicate?"
"Al contrario."
Rimugino sulla sua risposta per qualche secondo.
"Stai dicendo che ti piaccio?"
Ridacchia e in pochi secondi mi sento le guance bollenti.
"Io non ho detto niente, l'hai detto te." Dice con un pizzico di malizia nella voce.
Si passa una mano nei capelli spettinandoseli.
"Perché non sarei un tipo da Shakespeare?" Chiedo cambiando argomento.
Ci sediamo entrambi sulla panchina.
"Non lo so, ma ti immaginavo di più a leggerti qualcosa delle sorelle Bronte...tipo Cime tempestose!"
"Nah, quello è più il genere di Samantha." Arriccio il naso.
"Voglio dire, io ho pure provato a leggerlo, ma la protagonista mi irritava così tanto che ci ho rinunciato."
Mi guarda confuso.
"Perché?"
"Ma andiamo, è la personificazione dell'egoismo!"
Alza gli occhi al cielo.
"Facciamo un gioco." Propone poi.
Ha una strana scintilla negli occhi.
"Io ti dico dei titoli e tu mi dici cosa ne pensi."
"Ehm..."
"Andiamo bionda!"
Faccio una smorfia di fronte a quel soprannome per poi annuire poco convinta.
"Orgoglio e Pregiudizio?"
"Stupendo."
Mi guarda strano.
"Non pensavo fossi così smielata in fatto di libri!"
Spalanco la bocca indignata.
"Io non sono smielata e non lo è neanche Orgoglio e Pregiudizio!" Ribatto.
"Ragione e sentimento?" Va avanti ignorandomi.
Faccio una smorfia, e penso che come risposta basti.
"Frankenstein di Mary Shelley?"
"Discreto."
"La lettera scarlatta?"
"Bello."
"Il ritratto di Dorian Gray?"
"Bellissimo."
"Madame Bovary?"
Aggrotto le sopracciglia.
Madame che?
"Non l'hai mai letto?" Spalanca gli occhi e io scuoto la testa.
"Me deludi nel profondo." Scuote la testa.
"Ti concedo un ultimo titolo."
Sbuffa.
"Okay, okay." Alza le mani in segno di resa.
"Mhm...Anna Karenina?"
"Non è tanto il mio genere, ma di certo non è un brutto libro." Commento.
Sorride soddisfatto della mia risposta.
"Beh, non hai cattivi gusti per quanto riguarda i classici." Ammette.
"Wow, tante grazie Dylan. Ne sono onorata."
Solo in quel momento mi rendo conto che era da tanto che non davo una risposta sarcastica.
Mi sporgo in avanti per prendere lo skate e poi afferro la tracolla affianco a me.
"Te ne vai?" Non sorride più.
"Si, devo aiutare Luke a preparare il pranzo."
Fa una smorfia nel sentire il nome del fratello della mia migliore amica.
"Ti dò un passaggio."
"Non importa tranquillo, torno con lo skat-" prima che possa finire la frase mi afferra con forza il polso cominciando a camminare spedito.

"Come è nato questo tuo grande amore per il nero?" Chiedo allacciandomi la cintura.
Alza un sopracciglio impegnato a fare retromarcia.
"La tua macchina è nera, la tua camera è nera, i tuoi vestiti sono neri... Persino le tue sigarette sono nere!" Spiego gesticolando un po'.
"In mia difesa, le black devil sono al cioccolato."
Mi ci vuole un secondo per capire che sta parlando di una marca di sigarette.
Faccio una smorfia.
"Ho sentito dire che fanno schifo."
"Scherzi?? Sono una delle cose più belle che abbiano mai inventato."
Alzo gli occhi al cielo.
"Sei esagerato!"
"Vuoi provare?"
"Nemmeno se in cambio mi comprassi un unicorno." Sorrido falsamente.
"Come mai tutto quest'odio per le sigarette?"
Mi irrigidisco all'istante.
Nessuno me l'aveva mai domandato.
"Mi ricordano Thomas..." Ammetto a bassa voce guardando fuori dal finestrino.
"...Mio fratello."
"Oh."
"Sai cosa mi ricorda mia sorella?"
Resto in attesa evitando però un contatto visivo con lui.
"Tu." Mi lascia un secondo per elaborare.
"I tuoi atteggiamenti, il tuo modo di pensare, di agire, di muoverti... Tutto di te me ricorda Hurricane!"
"Hurricane?"
"Lo so, non è un nome molto diffuso. Ma mia madre un tempo amava tutto ciò che era insolito." Sorride.
"L'unico motivo per cui non ho un nome del genere anche io è l'insistenza di mio padre nel volermi dare un nome normale: 'Cara non voglio che mio figlio venga preso in giro! Non lo chiameremo girasole' " lo scimmiotta.
Non ho seguito molto il discorso troppo impegnata a pensare dove avevo già sentito quel nome.
"Siamo arrivati." Afferma Dylan sostando dinanzi casa McCall.
"Grazie per il passaggio."
Faccio per uscire dal veicolo ma lui mi afferra un braccio e mi tira verso di se.
I nostri nasi si toccano per quanto siamo vicini e mi perdo nei suoi occhi.
Riesco a sentire il mio cuore che va a mille.
"Ti va stasera di venire a una festa?"
Mi chiede poi facendomi risvegliare dal mio stato di trans.
"Ehm, non lo so." Faccio una smorfia.
"Se vuoi puoi portare con te la tua amica e Luke."
"Va bene."
"Tieni." Mi porge il cellulare e io lo guardo stranita.
"Dammi il tuo numero così più tardi ti scrivo l'indirizzo." Sorride.
"Ehm, si okay."
Prendo il cellulare facendo sfiorare le mie dita con le sue affusolate e rabbrividisco.
Segno il più velocemente possibile il mio numero.
"Mi salvo Hanna."
Scrivo il mio nome e gli porgo il cellulare.
"Ci vediamo stasera." Detto questo esco dall' auto a tutta velocità.
"Hanna!" Lo sento chiamarmi da lontano.
Mi volto guardandolo con un espressione interrogativa.
"Vaniglia."
Aggrotto le sopracciglia.
"Prima mi hai chiesto di cosa odoravi, odori di vaniglia." Sorride per poi sfrecciare via lasciandomi sbigottita davanti alla porta di casa.


Grazie Atena per avermi dato la forza di scrivere un nuovo capitolo, grazie.

Avevo detto che avrei pubblicato lunedì? E ho pubblicato lunedì!
Okay basta.
Cercherò di pubblicare il prima possibile il prossimo capitolo, promesso.
Mi scuso per eventuali errori di battitura
(fate come se non avessi scritto eventuali. Li ho fatti sicuramente c:)

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~Giulia

Leggendo I Tuoi Occhi. [Dylan O'Brien]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora