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  I raggi del sole colpivano la lancia metallica, alta e intarsiata.

  Vi si infrangevano contro, senza riuscire a superarla e vi scivolavano con riflessi iridescenti, sgretolandosi in un arcobaleno di colori e tornando a rimbalzare sulle pietre e sugli alberi vicini.

  Adornavano così il mandorlo dai rami profumati, come gioielli preziosi, andando a mischiarsi coi boccioli rosati e ancora fragili.

  Zefiro, fresco, scuoteva i petali, piccoli e malfermi, strappandone alcuni e trascinandoli in una corsa giocosa, nel mulinello brioso delle dita burlone.

  Ma qualche foglia, staccatasi dai rami sottili, sfuggiva al gioco, cascando sull’erba, adagiandosi sulle rocce grigie, volteggiando fino al capo biondo del dio, seduto all’ombra del mandorlo fiorito.

  I lunghi capelli ondulati ricadevano scomposti e ribelli sulle spalle chiare e muscolose, mentre la corona frondosa d’alloro incorniciava, con le foglie lucide, le ciocche che accarezzavano la fronte alta.

  Un petalo di mandorlo volò a sfiorare, impenitente, il dio.

  Scivolò sul naso dritto, percorse il mento appena sporcato dalla barba chiara, toccò le labbra tenere e rosa, che mordevano il flauto lungo.

  Saltò fino alle dita, leggere e veloci e vorticò, prima intrappolato tra le pieghe del corto chitone, poi fino alla gamba, muscolosa e villosa, piegata sotto l’altra coscia.

  Si posò, alla fine, vicino al piede affondato nell’erba alta, che ondeggiava seguendo l’intensità delle note del flauto.

  Sembrava fosse la melodia divina a dar vita e movimento al mondo attorno: dominava il vento, la dolce danza dei rami, il fruscio delle foglie.

  Persino le nuvole, che scorrevano veloci, sembravano seguire il ritmo dato dalla musica del dio.

  La lancia, stabile e forte, vibrò sotto il fremito della mano che la reggeva.

  Il dio staccò, allora, appena le labbra dallo strumento, senza voltare lo sguardo né alzare il capo e la sua voce risuonò profonda. - Non credo che questa sia l’arte che più ti aggrada.

  La mano che brandiva l’asta  strinse con forza il metallo lucido.

  - Potresti sbagliarti.

  - Cosa vuoi?

  Il tono secco del dio fece innervosire la divinità alle sue spalle. - Speravo di avere risposte da te, Apollo.

  Il nume si alzò, lentamente, continuando a dare le spalle alla dea. - Non ho risposte da dare a domande che non sono state pronunciate.

  La donna sorrise. - L’ambiguo signore della profezia non si smentisce davvero, ma questa volta ti prego, fratello, di non escogitare risposte nascoste...

  La voce sembrò improvvisamente incerta, prima di osare la domanda. - Sono qui, a nome di tutti i fratelli, per sapere cosa è successo... cosa ha fatto infuriare a tal punto il Padre Zeus da...

  Si bloccò, indecisa se nominare Artemide dinanzi al gemello.

  Apollo, sempre di spalle, armeggiò col suo strumento. - Chiedilo a lui, direttamente.

  - Non possiamo avvicinarci da quel giorno. Nessuno può.

  Una risata aspra scosse le spalle del dio. - Oh, no…qualcuno può, credimi.
 
  Un silenzio, interrotto solo dal cinguettio delle uccelli, avvolse il dio, fino a quando, dopo un tempo che parve lungo abbastanza ad entrambi, Apollo si voltò verso la sua interlocutrice.

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