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Un silenzio pesante accolse l'arrivo di Hermes.

Quando il suo passo leggero sfiorò il pavimento del palazzo, la folla presente si aprì, con uno scatto improvviso, in due ali, a formare un corridoio fino al trono del re.

Il dio avanzò lento e rigido, guardando fisso innanzi a sé.

Si fermò al cospetto del Padre Divino.

Si inginocchiò dinanzi allo scranno d'oro, osando alzare appena lo sguardo, sfiorando quasi con la fronte i gradini smaltati.

- Riferisci.

La voce di Zeus rimbombò nell'aria rarefatta della cima dell'Olimpo, scuotendo i presenti, con il fragore di un tuono.

Il messaggero parlò col fiato spezzato:

- La situazione è critica in Tauride: il popolo ha sospeso i riti... ha smesso di offrire omaggi... minaccia di abbattere i nostri simulacri sacri e...

Hermes si interruppe, improvvisamente: un ringhio sottile, in sottofondo, sembrò correre lungo le pareti della stanza.

Lo percepirono anche gli altri dei e trattennero il fiato, guardandosi di sottecchi e tentando di cogliere la provenienza di quel suono inquietante.

Quando il pavimento cominciò a tremare, impallidirono, mentre Hermes, sollevato con un guizzo il capo al viso di Zeus, balzò indietro con un colpo di reni, ricadendo sulle gambe tremanti e trascinando a terra tre divinità a cui si era aggrappato terrorizzato.

L'aria fu squarciata da un rombo fragoroso.

Gli dei, che già fuggivano impauriti, furono scaraventati contro le file dei pilastri.

Un lampo accecante illuminò la sala.

Lì, dove il messaggero era prostrato fino a qualche istante prima, da una macchia scura sul pavimento, si alzava una densa lingua di fumo nero e acre.

Zeus aveva appena scagliato una sua folgore.

Un silenzio più profondo e cupo dominò ancora la sala.

Pesò sul capo degli astanti come una condanna temuta e pur professata senza preavviso dal Fato.

La colpa aleggiava sospesa, insinuandosi come nebbia tra le pieghe delle vesti, piegando i petti affaticati dai respiri pesanti e trattenuti.

La paura copriva le divinità raccolte, senza distinzione di grado o potere.

Come infanti, gli dei si stringevano alle colonne dell'atrio, cercando rifugio negli antri delle porte e nelle ombre degli angoli più lontani, piagnucolando sommessamente, attenti a non far rumore.

Ritirò il braccio poderoso, Zeus Saettatore e tirò a sé l'ampio mantello, scivolato ai suoi piedi, nel rapido movimento del polso. Si asciugò con un lembo il rivolo di bava schiumosa che era sceso dal bel labbro fremente e quando si placò lo stridio dei denti e la vista annebbiata tornò limpida, si rivolse ancora a Hermes, rannicchiato sul marmo lustro.

- Dov'è?

Il dio tremò prima di sussurrare la sua risposta. - Qui.

Impaziente Zeus sollevò lo sguardo sui portali d'avorio, che si spalancarono di scatto, spazzando lontano coloro che vi si erano aggrappati impauriti.

Nella foschia della polvere sollevatasi si delinearono le figure di due enormi creature che trascinavano un corpo piagato e ferito, reggendolo dalle ascelle.

La creatura era nuda e sporca di sangue e fango rappresi.

Il capo era abbandonato sul petto e i lunghi capelli, luridi e incrostati di terra, ricadevano sul viso, nascondendo agli occhi spaventati degli astanti, le sembianze e l'identità.

Fu abbandonata di malagrazia dinanzi al trono di Zeus.

Le ginocchia tumefatte si piegarono e sarebbe piombata in terra come un corpo morto, se uno dei ciclopi non l'avesse afferrata bruscamente per i capelli, frenandone la caduta a mezz'aria.

Quando il capo così violentemente sollevato mostrò un volto ricoperto di lividi ed ecchimosi, si levò in sala un brusio concitato.

Il labbro, spaccato e tumido, rivelava parte dei denti dell'arcata superiore, rotti e lordi di sangue, le guance sporche erano solcate da rivoli di lacrime secche.

Gli occhi, gonfi e bluastri, erano semiaperti ma non si sarebbe potuto affermare se fosse cosciente o meno.

Gli arti si piegavano in angoli innaturali e larghi ematomi si spandevano sull'addome fino ai seni, unico indizio del sesso della creatura.

Gli dei, agghiacciati, fissavano immobili la schiena percossa e segnata, muovendo solo rapidamente gli occhi e le labbra in un muto conteggio: chi di loro mancava? Chi era la sfortunata ninfa o peggio, la dea, che aveva subito tale bestialità?

Lo sguardo di Zeus, fisso sulla donna, non vacillò un momento.

Il viso duro non mostrò traccia di compassione o di altra emozione.

Non vibrò un solo muscolo, se non quello della sua mascella volitiva.

Scrutava invece attentamente il viso tumefatto, i lineamenti deformati, le linee delle fratture lasciatele durante le torture inflitte.

Scorse forse un tremante movimento dei bulbi insanguinati, mentre un sospiro, leggero e rauco, sembrò uscire dalle labbra rotte.

- Che ti sia di lezione, figlia indegna. Nessuno disubbidisce al re degli dei. Nessuno rimane impunito. Ora va e ringrazia la mia munificenza.In fondo ho preservato la tua verginità, Artemide.

Un grido strozzato, rimbombando nella sala, accompagnò il nome della dea.

Artemide. Artemide.

Artemide.

Come era possibile? Cosa era mai accaduto affinchè Artemide, prediletta tra le figlie di Zeus, subisse quel trattamento, a tal punto da esser resa irriconoscibile ai suoi stessi fratelli?

Il mormorio levatosi tra gli astanti tacque solo quando Zeus si alzò e diede ordine di portar via il nume.

I due ciclopi recuperarono la dea e la trascinarono lungo il corridoio, verso le porte ancora spalancate.

Il corteo di divinità assistette paralizzato all'orrida processione, seguendo la scia di sangue che i piedi, trascinati, lasciavano sul marmo chiaro.

Fu a quel punto che una figura possente si erse dalla triste platea.

Avanzò sino ai ciclopi, che si fermarono al suo incedere e alzò gli occhi al Padre, tremante di rabbia, con le guance bagnate di lacrime.

Sostenne il suo sguardo, in una sfida muta, dinanzi allo sgomento dei presenti.

Il petto si sollevava violentemente dallo sforzo di contenere i respiri, finchè non si volse verso la divina gemella.

Allora Apollo le si avvicinò e la prese pietosamente tra le braccia, sollevandola piano fino al petto e lasciando il caro volto adagiarsi sulla sua spalla fresca, a trovar refrigerio.

Girò le labbra a imprimerle un bacio lieve sulla fronte martoriata e tenendola così, stretta a sé, si voltò, guadagnando l'ingresso.

La sua figura solenne varcò la soglia e scomparve alla vista dei fratelli stravolti.

Solo allora gli astanti ebbero il coraggio di voltarsi verso Zeus, ma il Re degli dei era già scomparso.

Amori oscuri Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora