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Nell'Averno le ore non passano e i giorni e le notti non si succedono.

Il cielo dell'Averno è rosso, come un lago di sangue impuro che si spanda da una ferita infetta e non sa cosa sia il sole, il vento che spazza le nubi e il canto degli uccelli.

Non c'è alba o tramonto che indichino l'avvicendarsi degli astri e delle ore, non ci sono stagioni, non ci sono mesi, non ci sono anni.

Alle creature infere non interessa il passaggio del tempo.

Non interessa vedere l'età che scorre sul volto degli uomini o il correre delle ere che segnano la terra.

Nell'Averno ha il suo dominio l'ucronia, che svuota le ombre degli uomini dei loro ricordi, confonde i secoli e sbiadisce le epoche, cancellando la loro storia.

L'oblio doloroso delle anime è l'inferno a cui Ade li condanna.

Quando, la prima volta, il misterioso raggio di luce si infranse sul Cocito, illuminando l'aria intorno e facendo brillare l'acqua, le divinità degli inferi si accalcarono lungo le sponde del fiume, chiedendosi da dove provenisse mai quel fascio sottile e tremante, ma stranamente caldo.

E quando lo videro spostarsi a disegnare un cerchio, poi affievolirsi, spegnersi del tutto e poi ricomparire, di nuovo, in una giostra continua, iniziarono a chiedersi a quale scopo Ade avesse fatto penetrare quella strana luce dal mondo dei Superi.

Perchè era chiaro che da lì provenisse.

Che fosse un raggio di sole lo scoprirono dopo, visto che molte delle creature di laggiù non lo avevano mai visto o non lo ricordavano quasi più.

Fatto sta che quella strana luce, non si sapeva come, non si sapeva quando, era diventata gradualmente il sistema per scandire il tempo, lì dove tempo non ce n'era.

Sapevano ora le creature che il momento di stasi, di riposo, quello in cui Ade si ritirava nelle sue stanze, coincideva con lo spegnersi di quel fascio e quando ritornava a splendere, ecco che quasi ricominciava una giornata anche lì, nel regno dove il tempo aveva ceduto lo spazio all'infinito e dove le creature ripetevano il loro lavoro senza sosta, senza fine, senza scopo, se non quello di spalancare alle ombre il portale del nulla.

Fu così che anche nell'Averno il nulla iniziò a seguire la cadenza della terra e a vivere giorni e notti, a ripetizione infinita e continua.

Ma perché in realtà Ade avesse deciso di far piombare nel buio quella fascia luminosa, le creature dell'Averno non avrebbero saputo dirlo e quando l'avevano chiesto al loro re, erano state ignorate.

Col tempo avevano smesso di chiederlo.

Sapevano solo che il Signore degli Inferi mai aveva fatto una cosa a caso e che, se aveva introdotto quella novità, un progetto doveva pur averlo, un motivo doveva pur esserci.

E a loro non restava che adattarsi.

Fu così che quando Persefone giunse nel loro mondo trovò che anche Cerbero riposava di notte, le ombre sostavano più silenziose e Caronte ronfava pesantemente con il viso immerso nella barba grigia, seduto sulla barca, cullato dalle onde gentili dello Stige.

Nessuno lo sa, ma Ade l'ha voluto apposta per lei.

Ha permesso a quell'unico raggio di bucare la terra e di entrare nel mondo sotterraneo dell'oltretomba, in cui non esiste luce, né buio, non esiste giorno o notte.

Lo ha fatto per lei, solo per lei, affinché avesse ancora un legame con la terra di sopra, con il sole, con la luce, con i suoi ritmi.

Perché quella stilla sottile indica il sorgere del sole sulla terra, tra gli uomini, tra gli dei.

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