16. Terremoto

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Per la prima volta metto un titolo ad un capitolo e non è scelto a caso.

Dedico questo capitolo a tutti coloro, e spero che non ce ne siano tra voi, che stanno vivendo questi terribili momenti.

Forse a svegliarla fu un rumore lontano o, molto più semplicemente, un'eco nel sonno, ma quando aprì gli occhi si ritrovò madida di sudore e col volto bagnato di lacrime.

Di nuovo.

Si tirò stancamente su, reggendosi sui gomiti e guardandosi attorno, rincuorata per lo meno dal pensiero che la madre non avesse assistito ad un altro dei suoi risvegli bruschi.

L'ennesimo, in quei mesi.

Si mise a sedere sul giaciglio, scostando i capelli fradici attaccatisi alla fronte e sollevando in una coda anche il resto della sua lunga chioma.

Rimase così per qualche istante, con una mano a reggersi i capelli annodati sul capo e con l'altra a tamponare le gocce salate che scendevano lungo il collo.

Si passò il palmo sul petto e, sospirando, sentì il suo cuore ancora accelerato.

Non ricordava cosa avesse sognato di così tremendo, quella volta, ma non poteva essere diverso dagli incubi che la rincorrevano da allora.

Lasciò la presa sui capelli, che ricaddero disordinatamente sulle spalle e si portò entrambe le mani al viso.

Avrebbe voluto stringere le tempie, spremerle fino a far uscire le immagini e i ricordi di quei giorni, quelle visioni che continuavano a perseguitarla e a rimbombarle nella testa.

Sentì il peso, il solito peso che ormai le dormiva sul cuore, tornare a pesarle sulle spalle.

In fondo, riusciva a calmare quell'angoscia solo quando si addormentava.

Doveva ringraziare Upnos per gli unici momenti di pace che ormai viveva e se non fosse stato per gli incubi che, ormai sempre più spesso, la raggiungevano e la tormentavano anche in quello stato sicuro, avrebbe dormito tutta la giornata.

Si alzò denudandosi in fretta, per immergersi nella vasca di acqua fresca che le ninfe avevano preparato.

Gettò un veloce sguardo oltre il terrazzo della sua stanza.

Il sole si era inclinato verso ovest.

Doveva essere pomeriggio.

Si affacciò, nuda, reggendosi ad una grossa colonna.

Intorno a lei l'estate esplodeva nei suoi colori e profumi, ma per la prima volta, quell'anno, non aveva assistito al tripudio della magia materna.

Non c'erano stati nemmeno fiori quella primavera, solo un vento freddo e pungente che la madre era riuscita a stento a domare.

Rifletté sul fatto che la cosa, ancora in quel momento, non la interessasse più di tanto.

Erano stati, quelli, mesi talmente spaventosi che si meravigliò persino che il sole stesso ci fosse ancora e che continuasse a scambiarsi con la luna.

Si distaccò con indolenza dalla colonna a cui era appoggiata e si immerse nell'acqua profumata.

Riuscì a dilavare la patina di sudore che la ricopriva e sperò, nello stesso modo, di riuscire a sciogliere quel malessere che la angustiava fino alle lacrime.

Senso di colpa, delusione, dolore, impotenza, orrore... un intruglio letale che le corrodeva le cervella e le viscere.

Era ossessione.

Pura e malefica ossessione.

Come veleno.

E non le dava scampo.

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