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Cantano che gli dei dell'Olimpo siano beati e non conoscano sofferenze.

Cantano che vivano il mondo con leggerezza e gioia, godendo di una vita eterna e spensierata.

Li immaginano correre di prato in prato e ridere di amene avventure.

Li dipingono come creature bellissime, amanti focosi, compagni soddisfatti di allegri conviti.

La loro è una vita gioconda, sublime, perfetta.

Gli dei sono i makarioi. Gli eterni felici.

Sbagliano.

Gli dei dell'Olimpo piangono la loro immortalità, come una maledizione, perché sanno che tra secoli nessuno si ricorderà più di loro e avvizziranno senza incensi versati, senza fumi di sacrifici, senza preghiere gridate o sussurrate.

La loro vita beata è, in realtà, solo il rincorrere continuo di un senso, di una motivazione d'esistenza, che forse non arriverà mai.

Gli dei dell'Olimpo piangono, come gli uomini, la loro impotenza contro un sovrano più grande, più forte, il vero artefice di tutto, il Fato, dinanzi a cui persino il padre Zeus piega timoroso le ginocchia.

Gli dei dell'Olimpo sono come gli uomini, si innamorano, piangono i tradimenti e le delusioni, cambiano, crescono e soffrono le lontananze.

Ma sono più miserevoli degli uomini. Perchè nella sventura questi pregano i numi.

Gli dei non sanno a chi chieder soccorso. La fede non è un privilegio a loro concesso.

***

Quando Demetra si preoccupò dei cambiamenti della sua Kore, era troppo tardi.

Ma forse, anche se avesse capito prima che qualcosa stava accadendo alla sua bambina, non avrebbe comunque potuto far nulla.

Fu così che una mattina volò spaventata fino all'Olimpo e chiese udienza al fratello.

Di nuovo.

Si inginocchiò frettolosa dinanzi a lui e chiese spiegazioni.

Aveva notato sin troppi cambiamenti nella sua ragazza, da quando era risalita da quel postaccio: il suo sguardo si perdeva nel vuoto, altre volte i suoi occhi si spostavano inquieti, come se seguissero fantasmi vorticanti nel nulla ed era attratta dal buio, come mai prima.

Spesso la ritrovava a fissare pertugi scuri, fondi di caverne e di notte sembrava acquisire altre abilità: la sua vista migliorava, riusciva a penetrare le brume e sembrava godere maggiormente del silenzio dell'oscurità.

Naturalmente di ciò non aveva parlato con Kore. Continuava a dirsi che non voleva turbarla inutilmente, che erano solo conseguenze della sua avventura.

Probabilmente era solo terrorizzata dall'idea di avere conferme dirette.

Ma quella mattina era rimasta così spaventata dallo spettacolo a cui aveva assistito, che non era riuscita a trattenere le lacrime e l'angoscia ed era scappata a chiedere spiegazioni a Zeus.

***

Stavano attraversando dei campi limitrofi a un villaggio di uomini, quando avevano visto ardere una pira funebre.

Le ninfe si erano ritratte, disgustate dall'odore di cadavere bruciato. Lei stessa aveva voluto alzare il passo, ordinando a tutte di cogliere rapide un fiore e premerlo sul naso.

Ma Persefone si era fermata. Non aveva dato segni di fastidio o turbamento, anzi, pur sollecitata dalla madre, non si era mossa fino a quando le ceneri non erano state raccolte dai familiari in lacrime.

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