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- Non ancora.

- E' giunto il tempo...

- E' presto.

- Il rito è completo...

- Non del tutto.

- Lo stanno reclamando da su...

- Devono aspettare.

- Cosa?

- Che tutto sia compiuto.

- Ade... non torturarti ancora così!

 Lo sguardo pietoso di Hermes cercò gli occhi bassi del re, persi nell'acqua vermiglia del fiume lungo cui passeggiavano.

L'aria era immobile, pesante.

Il cielo sembrava dover crollare da un momento all'altro sulle loro teste, scuro e avvinghiato in un vortice di nuvole plumbee e l'acqua, viscosa come il sangue e dello stesso colore, scorreva lenta, torbida, come affaticata dai pensieri e dalle angosce del suo Signore.

Il profilo duro, le labbra strette, gli occhi velati dai capelli che ricadevano scomposti, il capo piegato sotto un peso insostenibile.

Hermes si fermò dinanzi a lui, col cuore stretto e il respiro affannato.

Quando era giunto dinanzi al trono dei Signori dell'Averno per i soliti uffici, aveva trovato Ade solo e imbronciato.

Contò che non era la prima volta, in quelle settimane, che un solo trono era occupato.

Allora aveva aggrottato le sopracciglia e stretto gli occhi in preda a un sospetto, rincorrendo un principio di idea, sgradevole e fastidiosa.

Sperò di essersi sbagliato, ma con un sospiro cercò, invano, di ricordare le volte che non ci aveva visto giusto nella sua lunga esperienza con mortali e divinità.

Così, pregando in una smentita ai suoi dubbi, gli aveva chiesto, durante quella stessa seduta, prima di Persefone e subito dopo, con finta noncuranza, notizie in merito alle procedure per il ritorno in vita di Adone.

Gli era bastato vedere come il re avesse serrato impercettibilmente la mascella ad entrambe le domande per capire tutto.

Non sapeva perché avesse fatto quell'accostamento con tale rapidità.

Alcune volte si meravigliava egli stesso della sua arguzia.

Come quando aveva capito di Afrodite e Ares, da un innocuo scambio di occhiate.

E aveva giocato con un Apollo incredulo sulla questione.

Ci avevano persino scommesso su una bevuta illecita di vino.

Quando l'adulterio era uscito allo scoperto, Apollo gli aveva battuto una manata allegra sulla spalla, reggendo un calice colmo nell'altra, divertito come sempre dalla sua intelligenza.

- Per Zeus Padre divino, con quel cervellino che ti ritrovi fotteresti persino una mia Pizia e ben prenderesti il mio posto a Delfi...

Gliel'aveva detto, ridendo quella volta... e lui aveva evitato di riferigli che l'aveva già fatto... fottersi una Pizia, naturalmente.

Ma in quel caso si maledisse per aver capito tutto.

Quello non era un pettegolezzo succulento.

Era un fatto serio.

E non c'era nulla da ridere. Proprio nulla da ridere.

***

Che la questione fosse particolarmente grave gli fu eclatante dalla facilità con cui Ade si era lasciato convincere a uscire con lui dalla sala delle adunanze per fare due passi lungo il Cocito.

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