Capitolo 1 - Charleston

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Charleston era una delle più grandi città della Carolina del Sud. Era famosa per essere una città rigida in passato, uno dei punti strategici che portarono l'America all'indipendenza dalla Gran Bretagna dopo la Guerra Civile. Charleston era questo ma non solo. Era una città in cui si parlava tanto e si ascoltava poco. I pettegolezzi giravano, inondavano le strade, entravano nelle scuole, portavano con loro le citazioni dai giornali, le frasi dai talk show, le parole dalla radio. Il problema è che quando gira un pettegolezzo, cambia di voce in voce, di persona in persona. Cambiano le parole, le frasi e le citazioni. Va a finire che ciò che viene detto è totalmente stravolto rispetto alla realtà dei fatti. Per questo quel giorno entrai in casa pieno di lividi e ferite. Appena varcai la soglia della porta di casa (se casa si può chiamare il palazzo in cui vivevamo, con tanto di camerieri e cuochi), la governante, Miss Grovehold, cacciò un urlo

-Buon Dio, signorino Stevens, cosa le è accaduto?- domandò, portandosi entrambe le mani a coprire la bocca dallo sgomento. Gloria Grovehold era una donna buona. Era con la mia famiglia da prima che io nascessi ed è stata molto più madre lei rispetto a colei che mi ha messo al mondo

-mi hanno picchiato, Gloria- ammisi con vergogna

-ma perché mai?- domandò lei, preoccupata. Alzai la testa e la guardai, lei capì immediatamente senza che dovessi proferire parola.

-Luke- disse poi, io annuii –non è forse il caso di parlarne a tua madre?- chiese

-direi che è arrivato il momento di dirglielo- confermai, quando una figura spuntò da dietro la parete sulla quale era esposto il Monet originale della mia famiglia, motivo di vanto con tutti i loro amici

-dirmi cosa?- domandò la nuova arrivata, mia madre. Mi voltai e lei sospirò

-sapevo che prima o poi qualcuno si sarebbe comportato così nei tuoi confronti. Gloria per favore, occupatene tu- decise con la sua solita freddezza. Sospirai esasperato, odiavo ricevere il classico trattamento da figlio feccia, delusione della famiglia

-mamma, non te ne andare- dissi, facendola fermare e voltare verso di me

-cosa c'è?- domandò scocciata. Come a dire "non basta che ti fai pestare e disonori il buon nome della tua famiglia, ma devi pure interrompere le mie attività?". Non mi sarei stupito se l'avesse detto. Invece fece qualcosa che mi sorprese: sembrò comprensiva –lo so che è un periodo difficile per te. Mi dispiace, ma purtroppo è andata così- disse

-mamma, credo che per mia sia meglio andare lontano da qui- proposi. Lei spalancò gli occhi, poi Gloria tornò col kit del pronto soccorso. Mia madre alzò una mano e la mandò via

-Gloria per favore, lasciaci soli un momento. Figlio mio, non hai idea di quanto io desideri il meglio per te- sì, come no, pensai –se quello che tu vuoi è questo, dimmi, dove vorresti andare?-

-credo che il meglio per me sia andare in un... ehm... collegio. Sì, sai, una di quelle accademie chiuse dove non circolano le notizie. Hai presente Hogwarts? Tipo quelle solo senza maghi e senza il professor Piton...- proposi, cercando di metterla sullo spiritoso

-assolutamente no- negò lei, scuotendo violentemente il capo –sarebbe un insulto alla nostra famiglia se si venisse a sapere. Almeno che...

-A Sydney c'è un college esclusivo che ti darà un'ottima preparazione e sbocchi lavorativi. È molto valido ed è abbastanza lontano da questa vita- disse poi –e si potrebbe dire che sei andato da tua zia Rose, che abita lì. Sicuramente i tuoi cugini sarebbero entusiasti di rivederti. Andrai lì e passerai i week end da mia sorella. Cosa ne pensi?- io sorrisi. Per una volta mia mamma aveva deciso di darmi ragione. Certo, Sydney era lontano, ma l'Australia, che avevo visto solo una volta in vita mia, era il mio più grande sogno

-come si chiama?- domandai

-Saint Joseph college- disse, scandendo bene le parole del collegio in cui sarei stato dal prossimo anno. Saltò fuori che i miei cugini l'avevano frequentato in passato e la zia Rose aveva detto alla mamma essere un ottimo college e, soprattutto, lontano da ogni occhio indiscreto. La mamma parlò con papà e decisero fosse possibile il mio trasferimento. Pagarono la retta del college e organizzarono tutto il viaggio nei minimi dettagli. Una settimana dopo mi comunicarono che il volo era stato prenotato, e che avrei dovuto preparare le valigie e salutare i miei amici. Come se ne avessi avuti.

Di me, Thomas R. Stevens, si possono dire tante cose,ma non che non sappia parlare. La mia più grande dote è quella di saper convincere la gente, di saper parlare con tutti, di poter mettere d'accordo le persone solo discutendo. Per il resto, non ho grandi doti o abilità. Sono un ragazzo di 16 anni poco interessante. Sono il figlio minore dei miei genitori: il maggiore è Luke di 17, ma questo già lo sapete. La mia vita fa abbastanza schifo, non sono mai riuscito a trovare veri amici, sarà la timidezza o la poca capacità a relazionarsi al primo incontro. Che altro dire, ah già, non sono maistato fidanzato. Quando mi chiedono perché rispondo che troverò l'amore in futuro, in realtà ho smesso di sperarci da tempo. La donna giusta per me nonesiste. O magari l'uomo. Ultimamente sto valutando la possibilità di essere gay. Spiegherebbe molte cose, dal mio elevato senso dello stile fino al fatto di non essere mai stato con una donna (né di averci mai pensato). Magari l'Australia mi aiuterà a capire...

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