Capitolo 3 - Il coinquilino

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BUONA PASQUA A TUTTE/I <3

Lorenzo <

Da una voce si possono capire tante cose. Come quando si guarda una persona negli occhi e ci si legge la storia di una vita, le ambizioni di un futuro, le paure e il carattere. La voce è lo stesso. Un urlo può essere diverso a seconda delle cose che l'hanno scatenato. Per esempio, si può urlare di gioia, o di paura, di solitudine o di noia. Quest'urlo proveniva sicuramente dalla voce di una donna. Il che già era strano perché il collegio era maschile. La voce racchiudeva la paura, il terrore allo stato puro. Quindi mi voltai, e tante porte si aprirono davanti ai miei occhi. Gente in mutande a petto nudo usciva in corridoio per vedere cosa fosse successo. Ma in Australia non li avevano i pigiami?! Seguii la massa fino a che non si fermò, dopo aver percorso troppi corridoi e rampe di scale, la scena che apparve davanti a miei occhi era terribilmente inquietante: la receptionist, la signorina Barlow, era pietrificata davanti a un corpo che giaceva esanime a terra. Un conato di vomito mi salì, ma riuscii a reprimerlo. La stanza era quella adiacente all'ingresso, con le pareti decorate di stemmi delle varie casate che abitavano il castello, al centro vi era un tavolo rettangolare e quattro sedie. Sembrava una sorta di sala congressi. Dalla porta di fronte apparvero tre uomini, e dedussi che quello davanti fosse il preside, gli altri due saranno stati membri di una qualche organizzazione di sicurezza privata australiana. Il preside prese la parola:

-Ordino a tutti gli studenti di recarsi immediatamente e senza indugi nelle loro stanze, e non uscire finché non verrà comunicato tramite l'interfono- disse, scandendo le singole parole con molta attenzione. Tutti salirono ai vari piani e io ritornai davanti alla 235. Porca vacca, arrivo io e uccidono un ragazzo. Chissà chi era, non ero riuscito a vederlo in faccia. Avrei chiesto a qualcuno. Infilai la chiave nella serratura e la girai. Appena varcai la soglia, un ragazzo moro, con i capelli di media lunghezza a formare un mezzo caschetto, si alzò in piedi. Notai subito i suoi occhi color nocciola, piccoli e discreti, e il suo sorriso da ragazzo simpatico e, ancora una volta, mi parve il classico stereotipato "ragazzo australiano"

-Ciao- disse avvicinandosi e tendendomi la mano –mi chiamo Joshua Colback, ma puoi chiamarmi Josh. Mi avevano detto che saresti arrivato, ti stavo aspettando-

-Ciao, mi chiamo Thomas R. Stevens- risposi, stringendo la sua possente mano destra.

-Allora, questa è la camera. Non è molto grande ma sicuramente basterà per due persone. Due anni che sono qua e tu sei il primo coinquilino che mi assegnano. Sei un ragazzo fortunato- disse ridendo.

Sorrisi e diedi un primo sguardo alla camera. Dalla porta si intravedeva, sulla destra, una sorta di salottino. Un divano ad angolo da quattro posti era posto di fronte alla televisione a schermo piatto, con un tavolino di mezzo, sul quale vi era una rivista e un posacenere. Sulla sinistra, c'era un appendiabiti e un piccolo angolo cottura, costituito da un frigorifero, un mobiletto, un forno a microonde, un fornello ed un lavello. Il salottino e l'angolo cottura erano separati dalla zona letto da due separé: quello di sinistra era in legno, mentre quello di destra era in plastica e vi era un paesaggio rappresentato. Supposi fosse una costa di quella contea. Tra i due separé vi era un passaggio, una sorta di porta, costituito da un telo che scorreva sul riloga posto in alto. Il telo era aperto, così oltrepassai la soglia e mi diressi alla zona letto. Sulla sinistra vi era la porta che dedussi conducesse al bagno, mentre la destra era occupata da due letti, due comodini, un armadio alto e uno basso, formato da una cassettiera. Di fronte a me una finestra dava su di un balconcino. Notai le mie valigie accanto al letto di destra, ciò significava che Josh avrebbe occupato quello più vicino alla finestra. Meglio così. Aprii la porta a vetri e uscii sul piccolo balconcino. C'era, sulla destra, un piccolo mobile in plastica, con di fronte uno stendibiancheria. Sulla destra, due sedie in plastica bianche e un piccolo tavolino del medesimo colore e materiale. La pioggia continuava a cadere e bagnava le sedie rendendole inutilizzabili al momento

-Di solito non piove in questo periodo dell'anno. Sei stato sfortunato a beccare un cielo del genere- disse Josh che, mi accorsi di avere alle spalle

-Già, sfortunato ad essere arrivato oggi- constatai. Lui sembrò perplesso. Rientrai e chiusi la finestra, mi sedetti sul letto e poi poggiai la testa al cuscino

-Sono esausto- confessai al mio coinquilino –Non bastava il volo lunghissimo, la fottuta pioggia e quella petulante signorina Barlow, pure l'omicidio mi doveva toccare oggi- sputai, lui spalancò gli occhi

-Omicidio?- domandò con un filo di voce. Mi alzai

-Come, non hai visto?- chiesi, notando solo ora che non era in mutande come tutti quelli che erano scesi, bensì indossava un jeans scolorito e una felpa con la frase "Shut up and give me your pussy", cosa che mi fece ridere. Si accorse che leggevo la sua felpa e arrossì, scoppiando anche lui a ridere

-Mi piacciono ste felpe così, ne ho una marea- confessò. Mi feci nuovamente serio e spiegai

-C'è stato un omicidio. Un ragazzo era per terra morto nella sala conferenze, almeno credo che fosse quella. Ma com'è che non ti sei accorto di nulla?- domandai, lui si girò e indicò un iPod e un paio di cuffie

-Ascoltavo la musica ad alto volume. Per giunta sono tornato da poco, ero stato ad un festino nella stanza di Mark Halmond- rispose, abbassando la testa e chiudendo gli occhi –Hanno detto chi fosse il morto?- chiese poi

-Non ne ho idea. Perdonami tanto, mi piacerebbe parlare con te e conoscerci ma ho bisogno di una doccia e di dormire. Sono le 23.30- dissi, lui annuì

-Ma certo, hai ragione. Dormirò anche io adesso- rispose. Mi indicò il bagno, entrai e mi chiusi la porta alle spalle. Chiusi gli occhi e mi accasciai a terra, stanco morto. Decisi di chiudere gli occhi solo per un secondo, per riposarmi, poi avrei fatto la doccia. Sembrava un'ottima idea...

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