Capitolo 4 - La W-Sunday

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La sala conferenze era piena di sangue. Tutto quel sangue non me lo ricordavo il giorno prima. Avevo visto il cadavere, sì, ma non mi sembrava ci fosse tutto quell'orribile e puzzolente liquido rosso. Il ragazzo a terra mi accorsi essere moro, lo guardai con attenzione. Perché nessuno l'aveva ancora spostato? Perché era ancora lì? Apparve il preside con la signorina Barlow. Ad un certo punto cominciarono a sollevare il ragazzo, per spostarlo, pensai. Mi guardai attorno: c'ero solo io, nessun'altro studente. Perché? C'era qualcosa di strano in quella stanza. Il preside parlò:

-Sei ancora vivo- disse, più e più volte, lo domandò al cadavere del ragazzo, picchiandolo e deridendolo e... ad un tratto fui io il ragazzo. Ero lì, tra le braccia del preside. Lo vedevo, lo sentivo, mi chiamava per nome. Ma non potevo muovermi...

-Ehi ci sei?! Thomas, sei ancora vivo?!- sentii urlare, e mi svegliai di soprassalto. Qualcuno picchiettava insistentemente alla porta... mi guardai intorno. C'era una doccia sulla mia sinistra, un cesso e un lavandino di fronte a me, con tanto di specchio e armadietto. Ero in un bagno?! Realizzai di aver sognato tutto quel sangue e il preside e il ragazzo apparentemente morto

-Thomas, mi sto preoccupando, ora entro- sentii ancora provenire da fuori la porta quella voce. Poi mi ricordai di essermi seduto un istante. Mi schiarii la gola e aprii la porta, Josh mi fissava

-Scusa, Josh, mi ero addormentato- confessai arrossendo, lui scoppiò in una sonora risata

-Mi ero preoccupato- fece poi –forse meglio niente doccia per sta sera-

-Sono d'accordo- dissi, dirigendomi verso la mia valigia. La aprii ed estrassi un pigiama composto da un pantalone grigio e una maglietta a quadretti con la scritta "Good night my dear baby" che fece scoppiare a ridere il mio coinquilino

-Che c'è?- domandai offeso –voi australiani non possedete pigiami, me ne sono accorto prima-

-Noi australiani abbiamo i pigiami, solo che preferiamo dormire senza- rispose ridendo, e nel frattempo si spogliò rimanendo solo in mutande, in modo che potei ammirare il suo corpo perfetto, e quando dico perfetto, intendo P-E-R-F-E-T-T-O. Ma ancora non mi era chiaro se fossi gay o no, quindi smisi di guardarlo e arrossii, sperando che lui non se ne accorgesse. Mi infilai velocemente il pigiama e scomparii sotto le coperte arancioni del letto

-Buonanotte- dissi al mio coinquilino, che spense la luce e rispose

-Buonanotte Thomas Stevens-


Una mano che mi toccava il braccio destro mi scosse dal sogno che stavo facendo. Cosa stavo sognando? Boh, chi lo sa. Mi accorsi che la mano era di Josh che, ancora in mutande (cosa che notai immediatamente. Era forse un segno? No, non ero gay) mi chiamava

-Scusa se ti sveglio, ma sono le nove e oggi e la W-Sunday [Domenica]- disse lui, sedendosi accanto a me.

-Cos'è la W-Sunday?- domandai confuso, lui sorrise

-È quella domenica del mese in cui ci portano a Warren- spiegò lui –Alle 9.30 il preside ci vuole giù, l'ha detto dieci minuti fa dall'interfono. Tu quando dormi non ti accorgi di nulla vero?!-

-Esattamente- risposi ridendo, alzandomi e indossando le mie bellissime ciabatte americane, con la bandiera degli Stati Uniti sopra, e presi il mio beauty case, dirigendomi al bagno. Chiusi la porta alle mie spalle e mi infilai nella doccia. Mentre l'acqua scorreva piacevolmente su tutto il mio corpo, mi rilassai, pensando a tutto quello che sarebbe successo da quel momento. Sarei andato a Warren, okay, e dopo? Avrei dovuto cominciare la vita in un collegio, cosa assai difficile per chi è troppo timido per relazionarsi con la gente. Josh sembrava un tipo apposto, con i suoi pregi e i suoi difetti. Era molto figo (la cosa avrebbe dovuto interessarmi? Ero etero fino a prova contraria) e simpatico, ma sembrava un ricco snob e mi ricordava molto mio fratello. Poi, era popolare, altra cosa in comune con Luke. Luke, non l'avrei mai detto, ma mi mancava mio fratello. Io e lui abbiamo sempre avuto un rapporto dai due volti: litigavamo sempre, ma quando avevamo bisogno l'uno dell'altro, c'eravamo sempre. Mi decisi a uscire dalla doccia. Mi asciugai e mi vestii semplice: un jeans nero e un maglione dello stesso colore, con sotto una camicia a quadri di varie tonalità di grigio. Le scarpe erano le classiche converse bianche, che speravo fossero di moda anche in Australia. Uscii dal bagno e vidi che Josh era vestito con un pantalone di tuta molto largo a vita bassa grigio e una maglietta bianca con sopra una felpa del Sydney FC

-Cos'è quello stemma?- chiesi indicando il nome e il logo di quella squadra, lui mi guardò allibito

-Non conosci il Sydney Football club?- domandò

-È una squadra di football o di soccer?- chiesi, facendolo quasi contorcere

-Di soccer, come lo chiamate voi, gente a stelle e strisce- rispose, superando la zona salotto e aprendo la porta. Lo seguii fino in corridoio

-Negli USA si segue più il football e il baseball. Io non seguo nessuno dei due- confessai, beccandomi un'occhiataccia dal mio coinquilino –Allora, perché non mi dici qualcosa di te?- trovai il coraggio di chiedere

-Beh, ho 17 anni e sono ripetente. Ho deciso di mettere la testa a posto dopo la bocciatura. I miei genitori sono ricchi sfondati e mi odiano quindi sono finito qui. Sono nella squadra di surf del collegio e sono capitano della squadra di calcio, o soccer, come vuoi chiamarlo. Nient'altro direi. Tu?- rispose, mentre percorrevamo diversi corridoi che non sarei mai riuscito a memorizzare

-Io ho 16 anni, odio i miei genitori, ho un fratello che... ho un fratello, e basta. Faccio schifo negli sport e sono campione di scacchi- conclusi ridendo, contagiandolo

-E sei fidanzato?- mi domandò poi. Mi aspettavo una domanda del genere, per cui risposi in tutta sincerità, scuotendo il capo in segno di negazione. Lui annuì –Beh, sicuramente non puoi scopare qui al Saint Joseph. E nemmeno a Warren, dato che l'età media della popolazione è di 75 anni. Mi spiace, sei condannato a farti amica la tua mano- disse ridendo, risi anche io. Superammo un altro corridoio e sbucammo su di un immensa sala con tantissimi tavoli. Appena entrammo, tutti mi fissarono. Non smettevano di guardarmi. Sorridevano, come se stessero guardando un cibo prelibato che si preparavano a gustare. Era fottutamente inquietante...


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