Capitolo 21 - La proposta

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La giornata era calda, il sole splendeva, alto e maestoso nel cielo sopra Charleston. La giornata era talmente bella che sembrava quasi insensato rovinarla, ma, dopotutto, poco si poteva fare. Il prete si schiarì la gola, e tutti ci voltammo verso di lui, pronti a pendere dalle sue labbra. Dopo avere incensato la bara che, posta al centro della radura, conteneva il corpo del ragazzo, il prete si accinse a recitare la cerimonia e il proprio sermone. Non ascoltai mezza parola. Continuavo a fissare quella bara, inesorabilmente chiusa. Mi chiesi come sarebbe stato il corpo: avrebbe avuto caldo, a stare lì dentro? O forse i morti non sudavano? Ma certo che non sudavano. Non ragionavo razionalmente da quando Nate, l'agente Anderson, non mi aveva portato via da quella stanza. Lì, si era consumato il suicidio di Cole Marianne.

Intorno a me, circa una ventina di persone riempivano lo spazio attorno al feretro. Non vi era tanta gente, solo i familiari e gli amici stretti. I genitori di Cole, immobili e impassibili come al solito, stavano in prima fila. Non riconobbi nessuno dei presenti, salvo mia mamma, impeccabile e vestita di nero al mio fianco. Mi presi quei momenti per pensare a me e al mio futuro: i miei mi avevano tolto dal collegio e mi avevano rispedito qui, a Charleston. Mamma voleva mandarmi a studiare in Italia, papà invece era convinto di volermi tenere in America, per evitare altri "scandali internazionali"

Cosa volevo io? Nulla. Non avevo più il controllo sulla mia vita, non decidevo né volevo nulla. Ero inerme nelle mani della mia famiglia. Cole era morto, io ero vivo ma volevo morire. Divertente, vero?

I legali di mio fratello si erano appellati, dopo la morte di Cole. Avevano sostenuto che si fosse suicidato per il senso di colpa, avevano accusato il defunto dell'omicidio della ragazza, infangando la sua reputazione. Tutti lo pensavano in realtà, che lui fosse un assassino. Ora restava solo da attendere il giudice, ma era palese che avrebbe scarcerato Luke.

Josh era fuggito, la polizia australiana lo cercava: era responsabile della morte di dieci studenti nell'incendio, nonché di altri reati minori. Io ero uno stupido per essermi fidato di lui.

Claire si era risvegliata, ma non era stata abbastanza forte da presentarsi al funerale di Cole. Avevo deciso che sarei andato da lei, era l'unica a sapere la verità: volevo evitare che la memoria di Cole venisse infangata inutilmente e capire se fosse o no un assassino. La cerimonia terminò e tutti si dileguarono, me compreso. Seguii mia mamma sino alla limousine, saltai sopra e passai il viaggio in silenzio, così come la donna che mi aveva messo al mondo. Arrivato a casa, mi fiondai in stanza fino a quando non sentii, ore più tardi, un bussare ripetuto alla mia porta. Mi alzai, appesantito, e aprii l'uscio, spalancando gli occhi per la sorpresa. Corsi ad abbracciare Alex

-Ehi calmo- mi rimproverò il biondo

-Cosa ci fai qui?- domandai, invitandolo a entrare e chiudendo la porta alle sue spalle

-Bella casa- disse lui ridendo –Sono venuto a trovarti. Non devi stare bene, vero?-

-In realtà no, ma a nessuno importa- confessai

-A me importa invece. Allora, quale è il piano?- chiese, sedendosi sul letto

-Quale piano?- domandai, corrucciato

-Sei il leader della casata. Aspettiamo solo un tuo ordine. Andiamo, non vorrai veramente rimanere qui a Charleston. Vieni in Australia, vieni con me. Ci sono ancora delle cose da scoprire- spiegò. Ero sinceramente tentato da quella proposta: non volevo stare a Charleston. Ma come avrei potuto fare per fuggire da lì? I miei genitori mi stavano addosso in una maniera assurda...

-Non c'è modo di farlo- dissi, vedendolo sorridere

-Il modo c'è. Sta sera torno in Australia, ho due biglietti aerei. Vieni con me- propose

-Hai due biglietti?- chiesi conferma, lui estrasse dal portafogli due tagliandi e me ne porse uno, poi si alzò e si diresse alla porta

-Sta sera, alle 21, all'aeroporto. So che ci sarai- disse, prima di scomparire dietro alla porta color noce.

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