Capitolo 13 - Il giocatore di poker

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Non ci fu movimento da parte nostra quando la Barlow ci minacciò, così lei prese ad aprire le porticine una ad una. Qualche secondo dopo, aprì la porta del nostro bagno e ci vide. Ero terrorizzato. Saremmo andati nei guai? Sicuramente. Già mi vedevo espulso dal collegio. Non poteva essere. Improvvisamente mi venne un'illuminazione, e decisi di prendere due piccioni con una fava

-Noi non stiamo fumando. Noi stiamo ehm... insieme- dissi, mimando l'ultima parola per fare intendere il concetto, lei sorrise

-Sì, come no. Andiamo dal preside adesso- disse, facendo con la mano il gesto di uscire

-Non sto mentendo- sostenni –È per caso razzista, signorina Barlow?- domandai, lei spalancò gli occhi e la bocca ma non rispose, così Cole, rimasto zitto fino a quel momento, capì che la mia idea stava funzionando, e intervenne

-Sì, signorina Barlow, è forse un'omofoba razzista?- rigirò il coltello, stringendomi col braccio come fossimo realmente amanti. Quel contatto mi fece rabbrividire e fremere di eccitazione. La signorina continuò imperterrito a non crederci

-Smettetela di mentirmi, non sono una stupida- sostenne cercando di afferrarmi. Cole mi si parò davanti, quasi a volermi realmente difendere. Lei ci fissava allibita, non sapendo come minacciarci oltre. Io mi portai davanti a Cole e decisi di darle il colpo del K.O. a cui miravo fin dall'inizio

-Vuole una dimostrazione pratica?- le domandai, girandomi verso Cole che improvvisamente capì. Stavo scommettendo, stavo puntando tutto come un giocatore di poker quale non sono. Se lui si fosse rifiutato sarei stato espulso. Ma lui non accennò a muoversi. Mi avvicinai e sollevai la mano destra. Tentennai, guardandolo in cerca di un segno, un motivo per farmi cambiare idea. Quindi lo fissai dritto negli occhi pieni della tristezza di una vita intera. Poi abbassai lo sguardo sulle labbra per far capire i miei intenti. Così posai le mie sulle sue, con dolcezza e leggerezza. Quel bacio fu... straziante. Bellissimo, ma straziante. Non sapevo come definirlo se non dicendo "fuochi d'artificio". E avevo paura dei fuochi d'artificio, ma riconoscevo fossero bellissimi e emozionanti. Il contatto si fece sempre più lieve e ci scostammo dolcemente, quindi lo fissai negli occhi e mi accorsi di aver nuovamente, due volte in un giorno, abbattuto il muro. Mi ricordai della signorina Barlow, così mi girai a guardarla: era allibita, con la bocca spalancata e gli occhi enormi esterrefatti. Sbuffò e disse qualcosa di impronunciabile, poi girò sui tacchi e se ne andò, chiudendosi la porta del bagno alle spalle. Sentii Cole sospirare e staccarsi da me, appoggiandosi alla parete. L'interruzione del contatto tra i nostri corpi mi provocò la sensazione di malessere classica di quando si perde qualcosa a cui si era affezionati. Mi sentivo... solo e vuoto. Mi voltai e lo guardai: era stupendo. Non esisteva essere sulla terra più bello di lui, era la perfezione. E mi dimenticai che era un assassino e stupratore. In quel momento non lo vedevo.

-Scusa- gli dissi –Era l'unico modo per farle capire-

-Tranquillo- rispose lui, pensieroso. Capii che la conversazione era finita, così mi voltai e mi diressi alla porta dei bagni quando lui mi fermò

-Aspetta- disse, incerto sul da farsi. Si mosse e si avvicinò a me

-Quel bacio...- cominciò poi, guardandomi negli occhi. Io, dal canto mio, lo fissavo speranzoso. Poi lui si staccò da me –Non dovrà capitare mai più- disse, superandomi e uscendo dal bagno. Io mi accasciai e scoppiai a piangere. Stavo veramente sperando che Cole Marianne mi dicesse di amarmi? Pensavo che lui fosse migliore? Mi sbagliavo. Eccome se mi sbagliavo...

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