Capitolo 2 - Saint Joseph College

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-La prego, signor Stevens, stia attento a non sporcare il tappeto Ghiordes Persiano. Costa una fortuna- mi ammonì la donna della reception quando entrai nella struttura grottesca. Il Saint Joseph College era un vero e proprio castello. La porta era costituita da un ponte levatoio, superato quello, si accedeva a una stanza gigantesca con i muri tappezzati di quadri strani e soprammobili impolverati. Il tappeto enorme che, a detta della receptionist era costoso, era disposto lungo tutto il pavimento, dall'ingresso sino al corridoio. Mi chiedevo come l'avrei evitato, ma ci riuscii con qualche movimento da abile ginnasta quale sicuramente non sono. Diciamo che sono più tipo da panino e playstation.

-la stavamo aspettando, tenga- disse porgendomi la chiave d una stanza. Il portachiavi col numero era sbiadito e non si leggeva quale fosse.

-prego mi segua. I suoi bagagli sono già stati spediti nella stanza. Le spiegherò qualche cosa. Il collegio ha regole ferree. Non può uscire, ne anche solo pensare di farlo. Ce ne accorgeremmo. Una volta al mese è prevista l'uscita di gruppo. Lo sa dove è prevista?- domandò, conducendomi attraverso corridoi che mi parvero tutti uguali. La guardai stranito

-no... dovrei?- risposi

-dovrebbe eccome. Le piacerà, vedrà. L'uscita è a Warren, capoluogo dell'omonima area governativa. Lo sa come funziona qui in Australia?- chiese nuovamente, fissandomi abbassando gli occhiali che portava sul naso. Erano tondi con le estremità allungate, in pieno stile bibliotecaria amante dei gatti

-no- risposi sincero

-beh, l'area è divisa in macro regioni. Qua siamo nella regione del New South Wales [Nuovo Galles del Sud]. Le regioni hanno una capitale. Qui è Sydney. Ogni regione è divisa in centri amministrativi detti aree governative. Le aree sono suddivise in contee. La contea di Warren è la nostra. Ci troviamo a circa 300 miglia* da Sydney- mi spiegò, mentre riprendevamo il cammino verso gli alloggi, che mi sembrarono distare duemila miglia dall'ingresso.

[*All'incirca 500 chilometri]

-ed è grande la contea?- chiesi

-Beh, non per vantarci ovviamente, ma diciamo che siamo una delle contee più sviluppate e abbiamo una buona popolazione. Circa un migliaio di abitanti a Warren, la capitale- rispose a testa alta, io spalancai gli occhi

-voleva dire un milione- provai a suggerire

-no, un migliaio. Circa, certo, non entriamo nello specifico. Warren le piacerà. Siamo arrivati. Ora, la sua stanza è la 235. Sa come arrivarci?- cominciava a starmi sul cazzo sta cosa che pretendeva sapessi cose che doveva spiegarmi lei

-no...- risposi stizzito, lei alzò gli occhi mormorando qualcosa come "senza di me sarebbero perduti sti studenti"

-deve prendere la prima scala a destra. Salga due piani. Giri a sinistra, poi a destra due volte. Nel corridoio ricerchi la sua stanza. È notte, la gente starà dormendo. Presti attenzione a non svegliare gli studenti. Avrà un coinquilino. Sa come si chiama?- l'avrei strozzata. Respirai e mi contenni

-no- ribadii

-si chiama Joshua Colback. Prima di salutarla, li sa i suoi orari per domani?- mi partì l'embolo

-come cazzo faccio a saperli se sono appena atterrato da un volo di venti fottutissime ore?!- sbottai, lei spalancò gli occhi e appuntò qualcosa sul taccuino con la copertina marrone cacca.

-cosa fa ora?- le domandai

-mi appunto la sua insolenza per riferirla al preside, signor Stevens. Buonanotte- disse, si voltò e se ne andò. Bel primo giorno del cazzo. Che stanza aveva detto? Maledizione! Avevo dimenticato. 253? Bah, mi incamminai in cerca della stanza. Presi la scala fino al secondo piano. Notai che alcuni muri erano dipinti di giallo, altri rispettavano lo stile grezzo del castello, ed erano in mattoni stile seicentesco. Le scale, rumorose sotto i miei piedi, erano in legno. Le porte delle stanze anche, tutto faceva sembrare di essere stati catapultati nel passato. Quasi mezz'ora dopo trovai il corridoio delle 250, e alla 253 mi tornarono i dubbi. Poi, preso dalla stanchezza del fuso orario, delle ore di volo e della tipa alla reception che mi aveva prosciugato, mi decisi a provare la chiave. La inserii ma vidi che non girava. Cazzo. Mi voltai cercando di ricordarmi la stanza. Mi appoggiai al muro con la testa e la sbattei più volte, rovinando l'intonaco, e facendomi male.

-che fottuta vita di merda- dissi quasi senza rendermene conto. In quel momento una mano si posò sulla mia spalla ed io saltai dallo spavento, imprecando

-ehi, scusa amico non volevo spaventarti- disse un ragazzo. Lo guardai negli occhi azzurrissimi, in cui mi persi per qualche secondo, quindi lui mi sventolò la mano davanti agli occhi. Era alto e biondo, perfettamente inquadrabile nell'ideale di "ragazzo australiano". Muscolatura normale, maglietta a fiori e costume da bagno. Sul serio?! Fuori c'era un fottuto temporale!

-stai bene?- mi chiese, io mi riscossi

-sì... scusa. Mi chiamo Thomas Stevens. Sono nuovo- dissi

-sì me ne ero accorto quando ti ho visto sbattere la fronte sul muro. Se ti vedesse la signorina Barlow ti strozzerebbe. Io mi chiamo Alexander, piacere- mi strinse la mano sorridendo

-chi è la signorina Barlow?- domandai poi

-quella alla reception- disse ridendo –è una matta. "Lo sa, signor Stevens?"- imitò la voce della tipa, scoppiai a ridere sonoramente

-shh, sveglierai tutti- mi ammonì il biondo, ridendo –allora, che facevi davanti alla mia stanza?- chiese

-è la tua? Scusa, mi avevano assegnato una stanza ma ho dimenticato quale era- dissi arrossendo per la vergogna

-beh ovvio, la Barlow spara duemila cosa al minuto. Vediamo come possiamo rintracciare la stanza... hai un coinquilino?- domandò

-sì, Joshua Colm... qualcosa- risposi

-Colback. Josh. La 235- disse illuminandosi

-sì ci hai preso, grazie Alexander- dissi

-chiamami pure Alex- rispose facendomi l'occhiolino ed entrando in stanza. Mi diressi alla 235. I corridoi erano veramente tutti uguali, sapevo che prima o poi mi sarei perso lì dentro. Avevo una fottuta stanchezza e volevo solo abbracciare un cuscino e dormire per sempre. Ok, forse non per sempre. Respirai e sollevai la chiave, la inserii nella serratura quando sentii un urlo abominevole provenire dalle mie spalle.


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