Il nobilvecchio si stava recando nella sala da pranzo, incipriato e sbarbato, ovviamente spaccando il minuto. A tavola lo aspettavano la nuora, la figlia e mademoiselle Bourienne.
Ed anche il suo architetto.
Sì, perché per uno strano capriccio del suo datore di lavoro l'architetto era ammesso a tavola nonostante la posizione sociale di quest'uomo di nessuna importanza fosse tale da non permettergli certamente di meritarsi un simile onore; ho scritto "strano capriccio" perché il vecchio nobiluomo era generalmente testardo come un mulo quando si trattava di rispetto dell'etichetta e distinzione sociale (al punto da ammettere raramente alla sua tavola anche i più distinti funzionari governativi), ma aveva inspiegabilmente selezionato Michail Ivanovich (che quando doveva soffiarsi il naso col suo fazzoletto a quadrettoni andava timidamene in un angolo) per dimostrare l'uguaglianza tra gli uomini. Aveva inoltre a più riprese ricordato alla figlia che, testualmente: "Michail Ivanovich non é peggiore di me o di te". Devo inoltre evidenziare il fatto che a tavola il conte era solito rivolgersi con maggior frequenza al silenzioso Michail Ivanovich, piuttosto che agli altri.
La sala da pranzo aveva soffitti altissimi (come del resto tutte le altre stanze) e dietro ad ogni sedia c'era un cameriere.
Tutto il personale lavorava in attesa dell'ingresso del conte.
Il caposala, col suo tovagliolo bianco sul braccio, seguiva i preparativi e faceva segni ai domestici. Ogni tanto, con una goccia di sudore che gli imperlava la fronte, lanciava occhiate all'orologio da parete ed alla porta attraverso cui doveva apparire il padrone di casa.
Il giovane signor Andreij stava guardando una grande cornice dorata (che non aveva mai visto) contenente l'albero genealogico dei Bolkonski.
Di fronte ce n'era un'altra, anch'essa enorme, che racchiudeva un quadro che non si poteva proprio definire di squisita fattura (probabilmente opera dell'artista di casa), e che appresentava il capostipite della stirpe dei Bolkonskij: un nobile con corona presunto discendente di Rurik.
Il giovane signor Andreij, mentre osservava l'albero genealogico, scuoteva la testa e sorrideva con l'espressione di uno che sta guardando una caricatura ridicola ma somigliante.
- C'é proprio lui, in tutto questo!
Disse alla sorella, avvicinandosi a lei.
Lei lo guardò sorpresa (non poteva capire cosa ci fosse da ridere): tutto ciò che riguardava suo padre era per lei motivo di venerazione ed escludeva qualsiasi possibilità di critica.
Andreij prosegui:
- Ognuno ha il suo tallone d'Achille... Una intelligenza cosi grande e poi... Donner dans ce ridicule...[Dar retta a queste stupidaggini]
La signorina Maria non capiva l'atteggiamento critico di suo fratello, e stava per rispondergli, ma proprio in quel momento nel corridoio si udirono dei passi che allertarono tutti ed entrò il conte, con andatura svelta e col viso allegro, come faceva sempre (quasi a contrapporre la sua vivacità alla severità dell'organizzazione regnante nella casa), mentre contemporaneamente il grande orologio a pendolo batteva due rintocchi, coprendo la voce delicata di quello che gli faceva eco dalla sala a fianco.
Il conte si fermò, e da sotto i folti ciglioni squadrò tutti con i suoi occhi vividi, brillanti e severi, che si posarono sulla giovane signora Lise.
In quel momento anche lei si trovò a provare quella senzazione di timore misto a rispetto che (come nei cortigiani all'apparizione della famiglia reale) il vecchio suscitava in tutti quelli che si trovavano al suo cospetto.
Lui le accarezzò la testa, le diede un buffetto sulla nuca e le disse:
- Molto lieto, molto lieto... - Si soffermò un attimo a guardarla fissa negli occhi e poi ripartì deciso, andando a sedersi al suo posto - ...Sedetevi, sedete Michail Ivanovic... Sedete...