Appena pronunciò quelle parole fu come se le mie vene si fossero ghiacciate lentamente, in un freddo tale che quasi bruciava. L'allarme cominciò a suonare. Sentii il mio cuore rimbombare in tutto il corpo e anche se non avevo uno specchio sapevo di essere diventata più bianca di Joe. Ero terrorizzata:"Che cazzo significa che c'è qualcosa che non va?" dissi strillando come se dovessi farmi sentire durante un concerto. "Non lo so!" gridò a sua volta Joe "È impossibile, qua dice che il carburante sta per finire, ma non è possibile, ho fatto il pieno ieri!". Volevo urlare, chiamare aiuto, ma le parole mi si annodarono alla gola. Iniziai a sudare freddo e a tremare come una foglia. Mi stavo davvero per sentir male. Il volo continuò normalmente, Joe non voleva evitare mosse come ad esempio un atterraggio di emergenza, anche perché sarebbe atterrato in mezzo all'oceano. Volevano assicurarsi che ci fosse davvero un problema. Se avessi avuto la forza di muovermi avrei già preso il paracadute e mi sarei buttata.
Ad un certo punto Jack, che era al computer disse:"Mi sono collegato al sistema dell'aereo, qua dice che non c'è nessun problema e che il carburante è a posto." guardò ancora un po' lo schermo e ad un certo punto i suoi occhi e la sua bocca si spalancarono. Quel suo gesto peggiorò la situazione. Volevo che non parlasse, che stesse zitto, per non sentirmi dire che saremmo morti tutti. Ma poi disse:"Qualcuno è entrato nel sistema e ha fatto in modo che i monitor del computer dicessero che c'era un problema.. Ma è impossibile, non so che tipo di Hacker devi essere per fare una cosa del genere, nemmeno io ci riuscirei.. Chi può essere così intelligente da fare una cosa simile?". Le sue parole mi tranquillizzarono. Questo significava che stava andando tutto bene. Il mio cuore rallentò e l'angoscia diminuì. Ad un certo punto Smith disse:"Luke.". I due rimasero a bocca aperta. Iniziarono a parlare, ma non ci feci caso. L'unica cosa di cui mi importasse è che ero viva e che andava tutto bene. Ognuno riprese i propri posti e tutto tornò alla normalità. Non credo di aver mai avuto così tanta paura di morire in vita mia.Ad un certo punto l'aereo iniziò a scendere e vidi terra. Rimasi affascinata dal panorama. C'era un mare stupendo. Non ero mai stata in Italia nella mia vita. Il veicolo si avvicinò sempre di più. Quella meravigliosa vista mi fece dimenticare della paura.
Quando l'aereo toccò terra fu come riprendere fiato dopo diversi minuti in apnea, una liberazione. Scesi dall'aereo non felice, ma semplicemente sollevata che quel viaggio fosse finito. Presi le mie valigie e seguii Smith all'interno dell'aeroporto. Mentre mi facevo spazio tra la gente sentivo loro parlare ed era così strano. Non capivo una parola di italiano. Intanto che camminavo nei vari corridoi c'era un intenso profumo di crema e di pane che veniva dai piccoli negozi dell'aeroporto. Mi venne fame, d'altronde erano le 8.00 e dovevo fare colazione. Ci fermammo a prendere qualcosa da mangiare e poi ci sedemmo sulle poltrone per consumare il pasto tranquillamente. Smith e Jack andarono in bagno, mentre Joe si allontanò per fare una telefonata. Io rimasi da sola. Ad un certo punto un ragazzo dall'aria smarrita si avvicinò a me e mi disse qualcosa in italiano. Io lo guardai smarrita e imbarazzata e nella mia lingua gli dissi che non capivo l'italiano. Allora lui sorrise e iniziò a parlare in inglese con un buffo accento:"sai dov'è il corridoio 7C?". Mi guardai in giro e lessi le scritte sui cartelli, ma lo feci così tanto per fargli capire che mi interessava aiutarlo, dato che sapevo che era scontato il fatto che aveva controllato ogni indicazione. Ad un certo punto mi ricordai di essere passata da corridoio 7C per arrivare lì e dissi lentamente:"Sí, devi girare qua a destra lungo questo corridoio, poi mi sembra che devi svoltare a sinistra, però non sono sicura.". Sembrava molto confuso, probabilmente non aveva capito. Capii che era in imbarazzo, allora mi alzai per accompagnarlo e mi disse:"non devi" e io gli risposi che non c'era problema. Arrivammo al corridoio 7C. Il ragazzo mi ringraziò molto. Mi fermai qualche secondo per guardarlo meglio. Era alto, i suoi capelli erano color caramello, la carnagione molto scura e gli occhi erano verdastri. Era proprio bello. Mi porse la mano e disse:"Sono Alex." io sorrisi e gli strinsi la mano dicendo:"Tyra.". Ci salutammo e tornai indietro. Non mi ero mai resa conto di quante persone si conoscessero viaggiando. Smith non mi aveva mai permesso di avere amici, quindi non incontravo mai nessuno. Io stavo sempre in silenzio, ma soffrivo un sacco per questa cosa e forse è per questo che mi affezionavo facilmente alle persone, anche se non sembra. Collegai ancora una volta quel pensiero a Dylan e subito mi venne un colpo al cuore e una malinconia immensa si impossessò di me. Cercai di scacciare quel pensiero mente mi dirigevo fuori dall'aeroporto.
Smith ci condusse ad un grande furgone nero. Al volante c'era una donna sui 30 anni, piena di tatuaggi con i capelli neri come la pece. Salimmo sul veicolo e senza che nessuno disse una parola la donna si mise a guidare verso chissà dove. Io passai il viaggio con le cuffiette nelle orecchie. Continuavo a pensare a Dylan. Non riuscivo a non pensarci, non ne capivo il motivo ma era come se quel "ti amo" mi rimbombasse in testa ogni volta che pensavo a lui. Io ero dell'idea che non fosse serio, magari aveva esagerato con me e con se stesso, eppure io mi illudevo. Mi illudevo che avrei potuto stare con lui e avere una relazione normale, ma non sarebbe mai stato così.
Il viaggio durò circa mezz'ora. Era così diverso quel posto. C'erano tante case e tanti palazzi abbastanza vecchi, le strade non erano pulitissime e l'ambiente era totalmente diverso dal classico americano, più "antico", ma percepivo l'allegria delle persone. Bambini spensierati che correvano e giocavano, ragazzi che scherzavano e ridevano, adulti che passeggiavano allegramente, perfino gli anziani sembravano al settimo cielo come bambini. Rimasi semplicemente affascinata da quell'atmosfera. Tutti si divertivano ed erano felici nella loro semplicità, nel loro piccolo e questo era magnifico.
Ad un certo punto arrivammo davanti a un palazzo giallo sbiadito, abbastanza rovinato. Parcheggiammo dietro ad esso e Smith suono il campanello. Una voce profonda di uomo rispose in modo abbastanza scocciato, che in quella lingua risultava ancora peggio di ciò che era realmente. Smith gli rispose qualcosa in italiano, non avevo idea che lo parlasse. Prendemmo l'ascensore e salimmo all'ultimo piano. Il signore che presunsi essere quello che aveva risposto al citofono, ci diede un calorosissimo benvenuto. Ci abbracciò tutti e cercò di mettere insieme qualche frase sensata in inglese. Ci fece accomodare con un' allegria che mi sembrava quasi esagerata. Da noi era già bello se ti guardavano in faccia. L'appartamento era più grande di quello che pensassi. C'era un grande open space che conduceva a due corridoi. Prendemmo quello a sinistra e ci ritrovammo in salotto. La prima cosa che notai fu una ragazza sui sedici anni seduta sul divano che stava guardando qualcosa al computer. Non vidi bene il suo viso perché era coperto dai lunghi capelli biondo platino.
Sembrava essere abbastanza bassa. Alzò lo sguardo e mi guardò subito negli occhi. Ci fissammo per qualche secondo. Mi squadrava come se mi conoscesse. Poi mi sorrise. Ad un certo punto l'uomo le disse in inglese:"Mary ti avevo detto che dovevi compilare quei fogli."
La ragazza si limitò a sbuffare "lo faccio dopo." disse scocciata e si sedette al tavolo con noi.
L'uomo che ci aveva accolto fece un lungo discorso su che posto fosse quello e sugli uomini che dovevamo affrontare per ottenere quello che sembrasse essere un quadro molto prezioso. Ci spiegò che ci saremmo incontrati a 00.00 in un posto che non avevo ben capito dove fosse. Ci dissero che questi uomini erano furbi e molto intelligenti e che per impossessarci dell'oggetto ci serviva un' immensa somma di denaro e che non li avremmo fai fregati con qualche banconota finta. Erano sicuri che avrebbero tenuto nascosti uomini in caso servissero rinforzi. Tutto si doveva svolgere regolarmente. Disse che l'unico punto debole che avevano, che avremmo potuto usare a nostro favore era che non avrebbero mai resistito a "due ragazze innocenti e carine come voi" (disse riferendosi a me e a Mary). Passammo il resto della giornata a sistemare i dettagli e prepararci per l'operazione. Era più difficile di quello che si pensava. Jack mi stava spiegando come funzionasse il "walky talky", quando lo interruppi perché dovevo andare in bagno. Non mi ricordavo dove fosse, allora uscii dal salotto e andai nell'altro corridoio per cercarlo. Ad un certo punto da una porta chiusa sentii delle voci che sembravano essere quella di Smith e di quell'uomo. Stavano parlando in inglese. Non riuscii a tenere a freno la curiosità, anche se origliare era la cosa peggiore da fare per questo "lavoro", ma non resistetti. Appoggiai l'orecchio alla porta per sentire meglio. Stavano parlando della rapina. Sentii il mio nome. Questo aumentò la mia curiosità.
"Sicuro che funzionerà?"
"Credo di sì, Mary è la numero uno in queste cose e anche Tyra sembra che se la cavi con quel bel culetto. Sono entrambe esperte sul campo, dobbiamo fidarci di loro. È praticamente impossibile che ne usciranno vive, ma l'importante è che sopravvivano fino la fine dell'operazione C, ma non dovrebbe essere un problema. Bisogna fare dei sacrifici se si vuole raggiungere un obiettivo, poi per un bottino così.."
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Heart shot
FanficBeth ha una vita difficile. Ha a che fare con uno dei peggiori criminali in circolazione e per guadagnarsi da vivere ruba, spaccia e fa sesso a pagamento. Odiava la sua vita. I suoi genitori morirono quando aveva soli 8 anni e da lì venne tirata su...