Capitolo 21

22 4 0
                                    

Beth's POV

Correvo velocemente sotto la pioggia che mi bagnava goccia dopo goccia e ad aumentare l'umidità sul mio viso c'erano le lacrime. Non avevo una meta. Correvo per sfogare il dolore. Il mio battito cardiaco andava a mille, i muscoli mi bruciavano, ma non volevo fermarmi. Volevo prendere a calci tutto, volevo incazzarmi. Il problema ero io. Fottutamente io. Non sarebbe mai dovuto piacermi. Era colpa mia.
Dopo una decina di minuti mi addentrai in una strada che non conoscevo e arrivai in un grande prato. C'era un piccolo ruscello che scorreva svelto e feroce a causa della pioggia, e c'erano alcuni alberi. Era abbastanza isolato dal resto. Sembrava molto tranquillo. Mi sedetti sulla riva del fiumiciattolo e appena venni a contatto con l'erba fredda e bagnata mi venne un brivido. Smisi di piangere. Stavo lì a fissare il vuoto e a ripensare a tutto ciò che era successo. Sarei dovuta essere felice per Dylan, felice del fatto che finalmente avesse trovato un'altra ragazza, eppure non era così. Più ci pensavo più sentivo qualcosa dentro di me bruciare, come se mi stessero prendendo a pugni lentamente. Faceva estremamente male pensarlo con un'altra.
Mi sdraiai lasciando che la pioggia mi coprisse. Mi sentivo bene in quel posto. Volevo restare lì per sempre, senza pensare a nulla e a nessuno.
Dopo un po' la pioggia smise di cadere lasciando spazio ad un piccolo raggio di sole. A quel punto il telefono squillò. Era Mary. Mi chiese dove fossi e io le spiegai in breve quello che era successo; mi disse di tornare indietro perché Smith doveva parlarci. Allora camminai lentamente seguendo al contrario la via che avevo percorso per arrivare in quel posto. Intanto pensavo sempre a Dylan. Probabilmente in quel momento era con quella ragazza di nome Beverly. Pensai che in fondo non gli importasse così tanto di me, ci ha messo poco tempo a rimpiazzarmi, allora mi ero solo illusa? Un sacco di dubbi mi pervasero la mente. Ero così stufa di questa situazione. È davvero così difficili essere felici? Iniziai a pensare che in fondo la felicità dipende solo da se stessi. Pensai che per essere felici bisognava volerlo, bisogna essere felici con ciò che si ha, ma quando non si ha nulla risulta molto difficile. In fondo io cosa avevo? Per cosa vivevo? Iniziai a pensare allo scopo che potesse avere la mi vita e cercai di convincermi che un giorno anche io ce l'avrei fatta, anche io avrei trovato una ragione per essere felice. Dovevo aggrapparmi alla speranza. In fondo stare male per un ragazzo era la cosa migliore che mi fosse capitata in tutta la mia vita. Ripensai al discorso che mi fece l'infermiera sulla speranza e continuai a riflettere.
Dopo circa mezz'ora arrivai a casa di Smith. Mary mi aprì la porta e mi abbracciò dicendo:"Tyra la tua vita fa cagare, non puoi abbatterti così per un semplice ragazzo! C'è di peggio!" disse con tono ironico. Mi fece finalmente ridere, il che mi ci voleva dopo tutto quel tempo passato a piangere. Appena entrammo in casa Smith stava parlando con Marco di ciò che accadde in Italia. Mi ero quasi dimenticata del casino in cui ci trovavamo e del gigantesco modo in cui io e Mary eravamo coinvolte. Non ci dissero nulla di nuovo. I due uomini italiani non li avevano contattati, ma questo non significava di certo che potevamo starcene tranquilli. Ci dissero di far finta di nulla e continuare con il lavoro, ovvero con fare le puttane. Restammo ancora un po' da Smith per discutere delle prossime mosse da compiere e quando si fece tardi e non c'era più nulla di cui discutere me ne andai. Avevo la macchina a casa, quindi sarei dovuta tornare a piedi. Erano circa le 23.30 quando uscii dall'appartamento di Smith. Solitamente Boston era sempre illuminata da migliaia di luci, ma in quei vicoli regnava il silenzio è il buio totale, a parte qualche ubriaco che ogni tanto passava barcollando.
Mentre camminavo l'unica cosa che sentivo era il rumore delle mie scarpe sulla strada e i miei respiri. Faceva molto freddo e il che era plausibile dato che era aprile. Ad un certo punto sentii un rumore dietro di me. Era un tonfo e il rumore di un sacchetto che si muoveva. Mi girai di scatto e vidi un gatto nel cassonetto:"Stupido gatto." mormorai. Ero quasi arrivata a casa, mancava solo qualche isolato.
All'improvviso sentii un corpo che faceva pressione sul mio stringendomi e tenendomi con forza la bocca chiusa. Io cercai di liberarmi dalla presa scalciando e tirando le braccia dell'aggressore, ma lui era troppo forte. Pochi istanti dopo sentii una piccola puntura sul mio braccio. Improvvisamente mi venne un grande sonno. Era come se non dormissi da giorni. Lottai con tutte le mie forze per tenere gli occhi aperti, i quali si chiudevano da soli. Mi muovevo e mi dimenavo per non addormentarmi ma era inutile. Velocemente il  sonno si impossessò completamente di ogni mio muscolo, fino a lasciarmi senza forze e alla fine cedetti e mi addormentai.
***
Non ho idea di quanto passò, ma appena ripresi conoscenza mi venne un dolore fortissimo alla testa, sentivo le vene pulsare. Provai a portarmi le mani agli occhi per sgranarli, ma erano legate. Fu a quel punto che mi ricordai ciò che mi era successo prima. Spalancai gli occhi e mi guardai in torno. Ero in una stanza fredda e buia. Da una piccola finestrella sul soffitto entrava la fioca luce di un palo circondato dal buio. Era ancora notte. Non vedevo nessun oggetto in particolare, solo un tavolo con coltelli, aghi, siringhe e delle pinze. Mi preoccupai il doppio quando vidi quegli arnesi. Ad un certo punto sentii il rumore di una porta che si apriva. Nella stanza entrò una forte luce e dentro essa intravidi una persona. Era Luke. Appena lo vidi il mio cuore si riempì di rabbia e per un attimo mi sentii come se la mia rabbia mi avrebbe dato le forze di liberarmi, ma non fu così. Mi limitai a spingere il corpo in avanti restando con le braccia e le gambe legate alla sedia su cui ero. "Ancora tu figlio di puttana!" gli urlai contro. Lui rise e si avvicinò a me:"Ciao bella, ma quanto mi sei mancata." mi accarezzò il viso con l'indice e il medio; io girai la faccia per staccarla dalle sue dita. Lui rise. "Sai che tu e la tua squadretta di amici mi state facendo impazzire." io feci una risata nervosa e ironica e gli dissi:"Allora perché non la smetti di rompere il cazzo e basta?". Lui rise di gusto poi disse:"Non ci riesco, mi diverto troppo a rompervi il cazzo come dici tu."
"Di nuovo legata da te ad una fottuta sedia, come l'altra volta. Che c'è Luke? Hai perso la tua originalità? In ogni caso io non so nulla di più di quanto ne sappia tu."
"Oh mia cara. Se non fossi la puttanella del mio peggior nemico penserei che sei tu sia quasi  simpatica. Io sono qui solo per parlare."
"Sì, e c'era bisogno di rapirmi? Sai che basta un SMS o una telefonata per parlare con le persone?"
"Hai ragione, ma così è più divertente, c'è più suspance. E comunque non avresti accettato.".
Ogni volta che gli parlavo ironicamente lui riusciva sempre a ribattere e ad avere la meglio.
"Ti ho legato perché sapevo che appena mi avresti visto avresti avuto l'impulso di strozzarmi. Devo parlarti di una cosa molto importante."
Lo mandai a quel paese. Lui rise. Luke era un genio, ma era anche un maniaco.
"Dimmi che cazzo vuoi così la facciamo finita."
"Ah-ah devi essere più gentile."
"Beh, da quel che ho capito sei tu quello che ci perde se non parla." alzai le sopracciglia come segno di vittoria in quella specie di dibattito. Lui rise. Ancora. Quanto odiavo quella risata da è inutile che fai la spiritosa tanto sono io in vantaggio, perché sei tu quella legata ed era vero. Iniziò finalmente a darmi delle spiegazioni:
"In questi giorni ho riflettuto tanto sai? Ho riflettuto su di te cara. Va bene che sei la cocca di Smith, ma mi sono detto "ci sarà un motivo oltre a quello per cui se la porta sempre dietro, perché ha sempre bisogno di lei. Quando c'è lei ogni piano va alla perfezione!". Allora mi sono messo a pensare, a studiarti da lontano e mi sono reso conto che sei molto più furba ed intelligente di quello che pensavo, sei forte, tosta e agile. Allora ho deciso di metterti alla prova. Il giorno in cui Derek ti ha rapita era un test; il chiodo sulla sedia, tutto programmato. Il mio piano era testare le tue capacità. Derek era  fisicamente forte, ma non era tanto sveglio, quindi poi mi sono detto "a che serve la forza se non hai un cervello?" ed è lì che mi sei venuta in mente tu. Ovviamente Derek non sapeva nulla, gli avevo solo ordinato di ucciderti senza dirgli che uno dei due sarebbe morto. Ero sicuro che avrebbe avuto la meglio lui, eppure tu, una piccola e dolce ragazzina lo ha fatto fuori ed è riuscita a scappare. È a quel punto che ho deciso che nella mia squadra avevo bisogno di una come te, avevo bisogno di te."
In quel momento pensai che Luke era pazzo, completamente fuori di testa.
"Tu sei malato! Sei pazzo! Sacrificare così delle persone per gioco?"
"Non è un gioco ragazzina."
"Cosa ti fa pensare che accetterò di unirmi a te?". Ero allibita. Giocare così con le vite delle persone.
"Per due cose: la prima è che non hai nulla da perdere, la seconda è che io so una cosa, che tu non sai che saresti molto felice di sapere."
Non sapevo se bleffava o meno. Sapevo solo che mai mi sarei unita a lui. Come se mi avesse letto nel pensiero rise poi si avvicinò a me. Mi si accovacciò di fronte e mi guardò dritto negli occhi.
"Tua sorella Rose è viva e sono quasi sicuro di sapere dov'è.".

Heart shotDove le storie prendono vita. Scoprilo ora