Capitolo 17

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Mary cadde a terra con un tonfo incredibile. Non sapevo da che parte guardare, se verso di lei o gli uomini che ci stavano inseguendo. Mi girai un attimo e vidi i due tipi correre via dall'altra parte, pensai che fosse per il fatto che non volevano avere a che fare con altra gente. La persona che era al volante scese. Era una donna sui 30 anni, capelli neri raccolti da una treccia, carnagione chiara e viso molto magro. Si precipitò verso Mary dicendo:"Oh mio Dio.". Mary era per terra priva di sensi. La testa le sanguinava e non respirava. Il mio cuore accelerò il battito e un terrore immenso di averla persa mi pervase da testa a piedi. Non poteva essere morta, non era possibile. Mi inginocchiai accanto a lei e iniziai a farle il massaggio cardiaco mentre la signora in lacrime chiamava l'ambulanza. "Mary non mollare, sei forte, ce la farai." dissi sottovoce. Dopo circa una decina di minuti l'ambulanza arrivò e la caricò sul loro furgone. Mi diedero il permesso di andare con loro. Non riuscii a trattenere le lacrime, avevo una paura assurda. Quando arrivammo in ospedale la portarono con molta fretta in sala operatoria, a quel punto dovetti aspettare in sala d'attesa. Intanto pensai alle conseguenze di tutto quello che era successo in quella mezz'ora. Ci eravamo fatte beccare come due stupide e di sicuro quei tipi non stavano tornando a casa per fare un pisolino, bensì per fare fuori Smith e Marco. Chissà cosa ci avrebbero fatto se fossero sopravvissuti.
Era un casino stare in quell'ospedale. Non dovevamo farci notare in quel modo.
Dopo un po' dalla sala in cui era stata ricoverata Mary uscì un dottore. Cercai di intuire qualcosa dalla sua espressione, ma era completamente neutra e questo mi confondeva un sacco. Mi avvicinai.
"Dottore come sta la ragazza?". Si tolse gli occhiali, se li pulì nel camice e dopo esserseli rimessi mi guardò con aria compassionevole:"È un miracolo che sia viva, è stata estremamente fortunata, ma ha avuto una commozione cerebrale e le speranze che sopravviva..". I miei occhi si riempirono di lacrime:"No no no no no no voi dovete fare qualcosa!". Sentii il mio cuore bruciare e palpitare con più fretta:"Noi faremo il possibile come sempre, ma non le garantisco nulla. Se vuole adesso può farle una visita.". Mi precipitai dentro la stanza. Il sangue in me scorreva gelido. La conoscevo da a malapena due giorni, ma era come se in quei due giorni avessimo instaurato un forte legame, per una volta avevo trovato qualcuno che mi capiva ma che non provava compassione per me. Odio far compassione alla gente, mi fa sentire ancora di più uno schifo. Lei aveva un carattere così forte, era unica. Forse la mia unica amica e non volevo perderla. Mi sedetti sul lettino accanto a lei. Aveva diverse fasce sul viso e un braccio ingessato. Era attacca ad una flebo con una maschera per l'ossigeno sul viso. La macchina che registra il battito cardiaco segnava 60 battiti al minuto, erano davvero pochi. Le presi la mano che era stesa sul letto, quella non ingessata. "Coraggio Mary sei forte, non morirai così, non morirai così. Se ci sei stringi la mia mano.". Fissai la sua mano nella speranza di un minimo gesto, il più piccolo dei movimenti, ma niente. Ero così preoccupata. L'ansia stava prendendo il sopravvento su di me. Dopo un po' arrivò un' infermiera che mi disse che dovevo lasciarla riposare. Quella notte dormii sulla panchina dell'ospedale. L'ansia, il terrore, la corsa, la serata con quegli uomini e lo stress prima della rapina mi devastarono. Piombai in un sonno profondo.
Non sapevo che ore fossero quando mi svegliai, c'erano poche persone che facevano avanti e indietro. Mi tirai su un po' indolenzita per come avevo dormito e mi recai davanti alla stanza di Mary. Dalla finestrella sulla porta vidi che c'era un'infermiera accanto a lei. Entrai e poi dissi:"Posso?", la donna mi sorrise e mi fece cenno di sì con la testa. Nessuno disse niente, fino quando io chiesi:"Sinceramente, quante possibilità ha di farcela?", sospirò. "Non saprei con certezza ma una cosa è ovvia; è un miracolo che sia viva e che sia sopravvissuta ad un incidente così. Sai una volta non credevo nel destino. Pensavo che tutto ciò che accadesse fosse solo una coincidenza, che tutto dipendeva dalle scelte che facevamo. Ma da quando ho iniziato questo lavoro ho assistito a dei miracoli. Gente senza speranze che sopravviveva, famiglie finalmente riunite, ma anche alla morte di tante persone innocenti. La cosa più difficile di questo lavoro è vedere le persone morire dopo che tu ti sei fatto in quattro per salvarla, ma nonostante sia brutto è proprio questo che mi dà soddisfazione: sapere che ho fatto il possibile per aiutare il prossimo, e quando poi la persona si salva è una sensazione stupenda. Devo sempre evitare di dare false speranze, ma questa ragazza è forte e lotterà con le unghie e con i denti. La speranza è la cosa più importante che abbiamo, il dono più grande che ci è stato dato, è quella che ci salva. Non perderla mai, mi raccomando.". Mi guardò con un innocente sorriso, quasi di compassione. Ero molto colpita dalle sue parole, anche se io la speranza l'avevo persa del tutto quando dovetti dire addio a Dylan. Lui era la mia ultima speranza, il mio miracolo, e ho dovuto lasciarlo andare. "Ma come faccio a trovare la forza di sperare anche dopo che ho perso tutto?" lei sorrise e rispose:"Non rimarrai mai senza nessuno, anche quando penserai di non avere più nulla, la cosa più importante che hai ci sarà sempre; te stessa. Tu sei la tua più grande forza, puoi fare la differenza. Se non ti piace qualcosa, cambiala. E se ti sembra impossibile ti sbagli, perché impossibile lo dice solo chi non ha il coraggio di affrontare la vita e una volta superato quel blocco puoi fare tutto.". Quella signora mi lasciò senza parole. Sapevo che aveva ragione, dovevo dare tutto.
Rimasi lì accanto a Mary per tutto il giorno, in attesa di ogni più piccolo segno di vita da parte sua. Ad un certo punto il telefono squillò. Appena vidi il nome che comparve sullo schermo iniziai a tremare, il terrore si impossessò di ogni cellula del mio corpo. Era Smith. Volevo attaccare, ma sarebbe stato solo peggio. Con il dito che tremolava cliccai la cornetta verde e mi portai il telefono all'orecchio senza dire nulla. All'inizio nemmeno lui disse nulla, poi con tono tranquillo disse:"Farai meglio a dirmi cosa è successo, come è successo e dove cazzo siete finite, hai 30 secondi prima che venga lì a strangolarti con le mie mani.". Dovevo inventarmi qualcosa di credibile, perché se gli avessi detto che mi ero dimenticata di spegnere il walky talky strangolarmi sarebbe stata la cosa migliore che avrebbe potuto farmi:"Stavamo facendo come ci avevate detto di fare, ma l'uomo, non so come, ha avuto dei sospetti e ha cercato il mio borsone, poi lo ha controllato e ha trovato tutto e ha capito. Siamo scappate, ma Mary è stata investita e adesso siamo in ospedale.". Non era l'idea migliore che avessi avuto, ma fu tutto ciò che riuscii ad elaborare in quei tre secondi (ovvero il tempo che avevo a disposizione per inventarmi una cazzata per evitare di fargli capire che mentivo). "Porca puttana. Senti la buona notizia è che siamo riusciti ad avere il quadro, la cattiva è che quei bastardi sono ancora vivi e non si daranno pace finché non lo riavranno. Inoltre abbiamo un altro problema; Luke. Cazzo siamo nella merda, siamo completamente nella merda. Devo farmi venire in mente qualcosa, ti aggiornerò, ma una cosa è certa; dobbiamo lasciare immediatamente questa città. Ti richiamo sta sera.". Basta, basta, basta. Ero stufa di tutto questo. Stufa di essere coinvolta in tutti questi crimini. Ero stufa di quella vita di merda. Completamente stufa. Volevo scappare, ma dove sarei andata? Cosa avrei fatto? Iniziai a sentire una profonda mancanza verso Dylan. Mi sentivo così al sicuro tra le sue braccia.
Ogni mio pensiero venne interrotto da un forte rumore che prima non c'era. Guardai la macchina che emetteva i battiti cardiaci di Mary. I piccoli "bip" costanti divennero un unico suono continuo che non si fermava. Il cuore aveva smesso di battere. In preda al panico corsi fuori dalla stanza e iniziai a chiamare aiuto.

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