Capitolo 2

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Arrivammo a casa di Smith. Quando entrammo si congratulò con noi e ci disse che presto avremmo avuto la nostra parte del bottino. Io non ero felice. Non avevo mai fatto colpi del genere. Avevo solo accompagnato Smith in rapine da nulla in edicole e piccoli negozietti, ma mai in una banca. Stavo male. Volevo dimenticare tutto. Quando la riunione post rapina finì ognuno se ne andò e così feci anche io. Era circa l'1 del mattino. Guidai fino a casa. Mi sentivo malissimo, come mai mi sono sentita in vita mia. Appena arrivai mi buttai sul letto e scoppiai a piangere. Mi sentivo una persona orribile. per vivere dovevo far del male e andare contro la legge. Avevo perso la mia famiglia e dovevo cavarmela con ciò che avevo. E pensavo che se i miei genitori fossero qui li avrei delusi come non mai, in modo irreparabile. Non era questa la figlia che desideravano, e questa non era la vita che mi aspettavo. Avevo deluso tutti, ma soprattutto me stessa. Sentivo una fitta al cuore, come se qualcuno ci stesse ficcando dentro le unghie. Sentivo il male dentro di me. Volevo dimenticare tutto e ricominciare. Non esistevano parole per descrivere quel dolore. un buco nel petto. un vuoto allo stomaco incolmabile. Andai in cucina e aprii il frigo. Presi una bottiglia di Jack Daniels e iniziai a bere a canna tutto d'un fiato. Sentivo il liquido fresco bruciare man mano che scendeva giù verso lo stomaco. Quando arrivai a metá bottiglia la testa iniziò a girarmi. Non capivo più nulla. Andai davanti allo specchio. L'immagine era una ragazza dai capelli lunghi poco sotto le spalle, biondo cenere, con grandi occhi verdi e un soffio di lentiggini. Ma ciò che vedevo io era una schifosa puttana. Tirai un pugno allo specchio che si ruppe in mille pezzi. Le nocche sanguinavamo. Andai verso il balcone. Aprii la finestra. Osservai la città completamente spenta. L'impulso era quello di buttarmi, ma nel casino che avevo in testa c'era un minimo di buon senso. Tornai dentro e ripresi a bere. Stavo davvero esagerando, ma non riuscivo a rendermene conto. Era come se bevendo i brutti pensieri svanivano, e più mandavo giù, meglio mi sentivo. In non molto la bottiglia finì. Ne presi un altra e ne bevvi un sorso. Mi aggrappai al tavolo per alzarmi e senza staccare la mano dal muro mi incamminai verso la porta e uscii di casa. Finii in mezzo alla strada e mentre cantavo piangevo. Non sapevo per cosa piangevo, ma sapevo che c'era un motivo per piangere. Ad un certo punto mi misi a ridere e iniziai a ripetermi che andava tutto bene. Continuai a bere. Ad un certo punto sentii il rumore di un clacson e una luce accecante bianca nel mezzo della notte e pochi istanti dopo il vuoto.

Non so quanto tempo passò, ma appena aprii gli occhi mi ritrovai in una stanza di ospedale. Mi alzai di scatto spaventata. Ogni parte del corpo faceva male. Puzzavo di alcool e vomito. La testa mi faceva un male assurdo. "Cazzo, cosa è successo ieri?". Mi alzai e uscii dalla stanza. Percorsi il corridoio per cercare l'uscita. Appena mi voltai per vedere se ci fosse qualcuno andai a sbattere contro una persona. "Stai un po'.." Non feci in tempo a finire la frase che il cuore, così come ogni parte del corpo che mi permetteva di muovermi, si congelò. Riconobbi subito quel viso. Era il ragazzo a cui avevo sparato la sera prima. Aveva una gamba ingessata. Io lo fissavo con la bocca spalancata e lui abbozzò un sorriso. "scusa non ti avevo visto." Mi disse. Non riuscivo a dire una parola. Ero terrorizzata, ma felice perché stesse bene. Non sapevo quale sentimento prevalesse. Ma a giudicare dal suo sguardo non mi aveva riconosciuto. "Io sono Dylan." Mi porse la mano. Io la strinsi leggermente e dissi "Be.. Tyra. Mi chiamo Tyra" cercando di usare un tono il più normale possibile. Cercai di sorridere. La paura era un po' diminuita visto che non mi avevano riconosciuto. Ora provavo solo confusione e disagio. Un po' per il ragazzo un po' per il fatto che ero in ospedale. Era il posto peggiore in cui potevo capitare. "Come mai sei qui?". Mi girai e vidi una infermiera arrivare. "Scusa ma devo proprio andare." "No aspetta!" mi prese una mano, ma io la staccai e corsi via. Da lontano sentii l'infermiera esclamare:"Aspetti signorina." Cazzo. Ero nella merda. Mi aveva raggiunto. Il che era plausibile. Ero debole e sentivo dolore ovunque. "Perché sta scappando?" Io cercai in fretta una risposta plausibile "I-io devo tornare a casa." "Aspetta devo farti delle domande." Mi fece cenno di seguirla, ma non potevo proprio. Stavo rischiando grosso. Ad un certo punto nel corridoio vidi un viso familiare. Era Smith. Mi corse in contro e mi abbracciò. L'infermiera chiese:"È sua figlia?" lui annuì. Rispose a tutte le domande, come se io avessi davvero un'identità e una vita normale. Dopo lunghe discussioni Smith convinse l'infermiera a farmi tornare a casa. Era davvero bravo. Appena fummo soli di fuori mi tirò una sberla e caddi a terra. "Cosa cazzo hai fatto ieri sera? Dio. Il colpo è andato alla grande, cosa cazzo sei andata a fare?" Mi prese per un orecchio e mi risollevò. "Vuoi per caso farci scoprire?" "Scusami Smith, giuro che non capiterà mai più." . Avevo paura. Avevo dolore ovunque. ero stanca. volevo che tutto finisse. Per evitare che mi facesse ulteriore male dovevo fare la puttana. Gli misi una mano sul petto e la feci scendere fino all'altezza dello stomaco per poi scendere fino a inserire la punta delle dita tra i pantaloni e la cintura e gli baciai il collo con foga. Lui piegò la testa e spinse delicatamente con la sua mano il mio collo sul suo, in modo che potessi baciarlo con più passione. Mi avvicinai al suo orecchio e sussurrai. "andiamo a casa" Mi fece salire in macchina e mi portò a casa sua. Il viaggio fu silenzioso, ma nella mia testa c'era un casino assurdo. non capivo più nulla. Appena entrammo in casa mi fece accomodare sul suo letto e mi chiese scusa per come mi avesse trattato e mi chiese di fare sesso. Più che chiese me lo impose. Io accettai. Dovevo accettare. Era l'unico modo per calmarlo e far sì che non mi facesse del male.

Mi sdraiai accanto a lui. Mi diete un bacio a stampo e si addormentò. Io scesi dal letto e cercai i vestiti per andarmene. E anche sta notte avevo fatto sesso per soddisfare i bisogni di un uomo. Per una volta mi sarebbe piaciuto fare l'amore. Con un ragazzo che mi amasse, ma questa non è una favola.
Salii sulla mia macchina e tornai a casa. Buttai tutto l'alcool che avevo in frigo. Presi cartina ed erba e andai sul balcone a fumarmi una canna per rilassarmi. Ho pensato molte volte a scappare da Smith, però non saprei dove andare o cosa fare. Mi piacerebbe andare a scuola e avere una vita normale. E mi piacerebbe anche fare danza, come quando ero piccola. Cercavo di nasconderlo e farmi andare bene ciò che mi diceva Smith, ma la verità é che ero fottutamente stufa di tutto questo. Siccome Smith era calmo lo chiamai per dirgli che avevo bisogno di una pausa. Stranamente accettò senza problemi. Di sicuro era fatto. Uscii per andare al bar a prendermi qualcosa per la cena visto che il frigo era vuoto. Andai a piedi e entrai nel primo locale che mi capitò per prendermi un panino. Avevo proprio bisogno di una pausa da tutto il mondo della criminalità, da tutta la mia merda. Ero consapevole che era difficile uscire da una situazione come la mia, era difficile avere una vita normale. Eppure io ci speravo davvero. Tutti i giornali e le persone parlavano della rapina del giorno prima. Io facevo l'indifferente. Sapevo che Smith era un genio nel nascondere le prove. Non avevo idea di come facesse ma era così. Quella sera andai a casa presto, distrutta per tutto ciò che accadde il giorno prima. I miei occhi e il mio cuore erano stanchi, ma non riuscivo ad addormentarmi. Volevo divertirmi sul serio, magari con qualche amica, magari avere un ragazzo e dimenticarmi di tutto ciò che è accaduto. Visto che proprio non riuscivo a dormire, decisi di ripescare i miei vecchi diari e iniziai a sfogliarli.

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