Capitolo 15

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Non riuscii a credere alle mie orecchie. Cosa significava "è impossibile che sopravvivano"? Saremmo morte? No basta. Questo era troppo. Stavano perdendo la testa, non avevo intenzione di morire per far arricchire quei figli di puttana. Corsi in salotto per cercare Mary. Era in balcone e stava fumando una sigaretta. Mi sorrise "Hey". Io ero troppo spaventata per ricambiare. "Ehm.. Mary giusto? Dobbiamo parlare.". Il suo sguardo divenne confuso e preoccupato. "Cosa succede?".
"Smith e quell'uomo che ci ha spiegato il piano.. Li ho sentiti parlare e dire che io e te moriremo in questa missione!". Rilassò lo sguardo e si mise a ridere, tornando a guardare il panorama portandosi la sigaretta alla bocca. Io non credevo ai miei occhi. Come poteva essere così tranquilla ad una risposta del genere? Tirò e buttò fuori il fumo, poi mi disse:"Tyra, non ci lasceranno morire. Noi serviamo a loro. Non riuscirebbero mai a trovare altre ragazze che possano sostituirci. Loro ci hanno cresciuto così, ti pare che avranno la pazienza di crescerne altre come hanno fatto con noi? Forse non lo sai ma la maggior parte dei loro guadagni viene dal nostro lavoro di merda.". Detto questo si portò di nuovo la sigaretta alle labbra. Perché parlava al plurale? Come sapeva che tutte quelle cose capitavano anche a me? Notò il mio sguardo confuso e mi diede altre spiegazioni:"È così tanto tempo che Marco parla di questo colpo, mi ha raccontato tutto di te, della tua vita e di quello che fai ed è come la mia. Farebbe quasi ridere se non fosse una merda.". Io non dissi nulla e mi sedetti accanto a lei. In effetti aveva ragione. Magari intendevano qualcos'altro, o magari avevo capito male io. Il che era plausibile dato che hanno parlato un po' italiano un po' in inglese. Per tranquillizzarmi del tutto mi feci una canna. "Vuoi?" chiesi a Mary. "Sono a posto." disse continuando a fissare nel vuoto. Dopo qualche minuto di silenzio disse:"Allora Tyra, so solo che fai la puttana come me, ma non so nulla della tua vita. Dai racconta.". Sapevo che a Mary potevo parlare tranquillamente della mia vita perché verosimilmente assomigliava alla mia e comunque non credo le interessasse più di quel tanto. "I miei genitori sono morti in un incidente quando avevo soli 8 anni e nello stesso periodo mia sorella scomparse. Non avevo idea di dove fosse finita e nemmeno Smith, allora mi sono arresa all'idea che possa essere viva. Smith mi trovò in un orfanotrofio e da lì iniziò la mia stupenda vita." dissi aggiungendo un pizzico di ironia a quelle due ultime parole. Era così triste e ironico il fatto che un'intera vita passata a soffrire, facendo la puttana e la ladra sia così facile da raccontare. Mary non disse nulla e passato qualche secondo iniziò a raccontare, come se sapesse che stavo per chiederle di farlo:"I miei genitori vennero uccisi da un pazzo. Io ero molto piccola. Entrò in casa mia e li accoltellò a morte. Da quel giorno non ho mai smesso di cercare quel figlio di puttana. Andai all'orfanotrofio perché non avevo più parenti e Marco, che è l'uomo che vi ha accolto, mi trovò. Avevo anche un fratello più grande, Jonas, ma si suicidò quando i miei morirono. A ripensarci accetterei volentieri quella canna.". Disse quasi ridendo, ma si capiva che rideva perché stava per piangere. Io ero rimasta senza parole, senza fiato. Chi poteva fare una cosa simile? Con quale movente? Per un attimo mi si bloccò il respiro. Per sdrammatizzare il momento dissi:"Quanti anni hai?"
"Quasi 16, perché?"
"Non hai l'età per fumare, non dovresti nemmeno fumare il tabacco!".
Sul suo viso non c'era nemmeno l'ombra del più piccolo dei sorrisetti. Sguardo serio e perso nel vuoto. "Ehi scherzavo." dissi porgendogliene una. "Scusami, non ho un buon senso dell'umorismo.". Mormorò accendendosi la canna. Restammo lì fuori sul balcone insieme. Più a fissare il vuoto che a chiacchierare, e in poco tempo si fece l'ora di preparare tutto per l'azione. Smith e Marco diedero a me e a Mary due borsoni, poi Marco disse:"Dentro ci sono trucchi e vestiti che adesso dovrete indossare, mi raccomando andateci pesante col trucco. Ci sono anche una pistola, una cassetta di munizioni, un paio di pugnali, un passamontagna e dei guanti, dei preservativi e delle pillole, un walky talky e altre cose ma meno importanti. Adesso andate a cambiarvi.".
Io e Mary ci guardammo e andammo nella sua stanza per cambiarci. Aprimmo le borse e dentro ad ognuna c'era dentro un completino da puttana. L'intimo era un reggiseno a balconcino di pizzo a fascia di color viola scuro, mentre la parte posteriore era un tanga, anche quello fatto interamente in pizzo. C'era poi un top in pelle nero borchiato, talmente scollato che lasciava intravedere metà del reggiseno, e una minigonna viola che lasciava poco spazio all'immaginazione e per concludere in bellezza una calzamaglia a rete nera. Era davvero ridicolo. Andai in bagno a cambiarmi. Mentre mi sfilavo i vestiti continuavo a pensare a quello che avevo sentito prima, sul fatto che sarei morta. Non sapevo se crederci o meno, anche se era probabile che avevo capito male. Mi aggrappai a quella speranza e mi infilai quei ridicoli vestiti. Appena finii mi guardai allo specchio. Sapevo di essere una puttana, ma così me ne rendevo conto ancora di più. Mi scese una lacrima. Tornai in camera. Anche Mary indossava il completo. Era uguale al mio, solo che il suo era rosso scuro. Presi la trousse e mi truccai. Non mi truccavo mai, solo quando dovevo "lavorare", ma non esageravo. Presi un tubetto di fondotinta e mi versai il prodotto sulle dita per poi spalmarmelo sul viso. Era abbastanza denso e cremoso. Mi faceva una pelle perfetta, ma mi sentivo come che avessi una maschera sul viso. Mi feci aiutare da Mary, la quale mi mise ombretto, eye-liner, mascara e mi definì le sopracciglia con una matita marrone scuro. Sembravo bionda finta. Mi misi un rossetto viola scuro, sembrava quasi nero. In quello stato avrei fatto pietà a chiunque. Tranne che a Smith e a Marco, che appena tornammo in salotto ci dissero:"Quei due figli di puttana non resisteranno.". Indossammo dei lunghi mantelli neri e uscimmo dall'appartamento.

Mentre eravamo stavamo viaggiando Marco ci disse:"Okay ripassiamo il piano. Mary e Tyra si mettono in quel vicolo aspettando i due uomini. Dovrete un po' provarci con loro. A quel punto dovrete andare in un posto appartato, ovvero nella porta 48 che c'è sulla parete di fronte a voi, nel punto dove vi lasceremo. È un piccolo appartamento. Dopodiché noi penseremo ai loro scagnozzi e al quadro. Mi raccomando, siate il più lente possibile. Nel borsone ci sono alcune cose che potete usare. Quando avrete finito con loro uscirete dalla porta sul retro. A quel punto dovrete trattenerli ancora qualche secondo, il tempo che noi li cecchiniamo dal palazzo accanto. Una volta fatti fuori scappate e scendete le scale d'acciaio che troverete subito fuori dalla porta. In fondo alle scale troverete un portone. Dovrete aprirlo e restare lì dentro fino a quando uno dei nostri non vi viene a prendere. Non aprite a nessuno, solamente a chi vi dirà OPC44, avete capito?".
Annuimmo e ci passò due chiavi. Le misi nella giacca nella quale mi accoccolai. Passai il resto del viaggio senza dire una parola.

Erano circa le 22.30, sapevo che dovevamo essere lì in anticipo, ma non credevo di così tanto. Ci fecero scendere, ci indicarono la porta 48 e poi se ne andarono. Io e Mary ci guardammo negli occhi, i nostri sguardi erano tristi, poi lei disse:"Sembriamo proprio due puttane." alzai un angolo della bocca e feci una piccola risata:"Vedi, ce l'hai il senso dell'umorismo.", lei sorrise e abbassò lo sguardo a terra. "Dai andiamo a dare un occhiata." disse dirigendosi verso la porta. Faceva davvero freddo. Eravamo in un lungo vicolo che sembrava dimenticato dal mondo. Era pieno di spazzatura e di tanto in tanto passava qualche ratto. Aprii la porta schifata. L'appartamento era minuscolo, subito sulla destra c'era un piccolo bagno, solo con lavandino e gabinetto. In più due non ci si stava. Più avanti c'era una specie di salotto con cucina aperta. C'era solo un tavolo con dei piatti e delle posate usati sopra, una sedia e una piccola stufa. C'erano altre due porte. Erano due camere da letto. Entrambe con un letto matrimoniale ed un comodino con una lampada sopra. Io e Mary ci guardammo disgustate. C'era una terza porta, che doveva essere quella che conduceva all'esterno, dall'altra parte. Uscimmo. Appena fuori vedemmo le scale d'acciaio e lentamente scendemmo. Come aveva detto Marco c'era un grande portone in legno che aprii con l'altra chiave. C'era una vasta cantina, era ancora più fredda dell'ambiente esterno. C'erano scaffali distrutti e mezzi pieni, due tavoli di legno ammaccati, degli attrezzi sparsi qua e là. Una volta perlustrata la zona tornammo indietro chiudendo bene tutte le porte. Lasciammo i nostri borsoni in camera e prendemmo con noi solo un coltello.
Restammo fuori ad aspettare i due uomini. Ogni tre per due guardavo l'ora. Il tempo non passava più. Eravamo in piedi, lì al freddo e al buio. C'era un silenzio di tomba, sentivo solo i nostri respiri, il che rendeva l'atmosfera ancora più inquietante.
Ad un certo punto, così all'improvviso, con una velocità che non credevo possibile Mary estrasse il pugnale e con forza mi prese per la sballa sbattendomi contro il muro portando il coltello sulla mia gola mentre sghignazzava sotto i baffi:"Ora avrai quello che ti meriti puttana.". Io ero confusa, non capivo cosa stesse succedendo. Ero troppo stupita per reagire. Tirò indietro il braccio e con la stessa velocità di un atleta che al via scatta con la corsa avvicinò il coltello alla mia gola.

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