III

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A ridosso del portone del civico 29, sostava un uomo molto distinto e ordinato nell'aspetto. Non appena vide in lontananza la chioma bionda del figlio di Maria, si rassicurò pensando che la lunga attesa era finita.

- Ale, meno male che sei arrivato, sono qui sotto da due ore buone e tua madre non risponde al citofono. -

- Perché cerchi mia madre, Paolo? Cosa è successo questa volta? -, esclamò preoccupato il ragazzo, nonostante cercasse in qualche modo di mascherare la sua apprensione.

- Vengo dal Comune: proprio oggi pomeriggio ho parlato con chi si occupa della vostra situazione e il mio responsabile ha detto che avete una settimana di tempo per pagare gli arretrati del canone, oppure perderete il diritto alla casa popolare. Vogliono sfrattarvi, Ale, e ne devo parlare assolutamente con tua madre. -

- Non disturbarti, se non scende posso benissimo immaginare il motivo, così come puoi immaginarlo anche tu. - Dopo una breve pausa funzionale a mettere in ordine le idee, Alessandro riprese a parlare: - Quanto manca? -

- Ci sono sei mesi non pagati, più il mese corrente, in totale siete sotto di circa duemila euro. -

- Cosa cazzo ti stai inventando, strozzino maledetto? Non più tardi di tre mesi fa è arrivata la busta di mio padre con dentro il denaro per l'affitto. Non è proprio possibile che vi dobbiamo dare tutti quei soldi. Mancherà di sicuro qualcosa, ma di certo non un paio di migliaia di euro. -

- E' inutile che te la prendi con me ragazzo: quei soldi non sono mai arrivati. Gli unici soldi che il Comune ha visto, al momento, sono giusto i trecento euro che hanno coperto settembre dell'anno scorso. Ora siamo ad aprile e se non viene fatto il versamento entro la fine del mese, dovrete trovarvi un altro posto dove stare. -

Quelle parole si infransero con tutta la loro forza sulle spalle di Alessandro il quale, a causa del loro peso, fu sul punto di perdere i sensi in quel preciso istante. Sapeva che i soldi che gli inviava il padre ogni tre mesi non erano sufficienti, ed era per questo che ogni mese aggiungeva nella busta qualche biglietto verde affinché, almeno con la casa, potessero stare tranquilli. Era inoltre consapevole che, a causa del vizio di sua madre, un mese o al massimo due potessero anche mancare all'appello, ma fare un buco da duemila euro e rischiare lo sfratto immediato era davvero fuori discussione, oltre a essere ai limiti dell'immaginazione. La situazione si stava rivelando molto più grave del previsto.

- Bene, ti ringrazio dell'informazione Paolo, scusami se me la sono presa con te, ma è un momentaccio. Entro fine mesi avrai i soldi che ti dobbiamo. Nel mentre tieni buoni quelli del Comune e vedrai che, non appena avrò parlato con mia madre, sistemerò tutto. -

- Sei un ragazzo sveglio, Ale, quindi vedi di non fare cazzate. -

- Tu non pensare a me che un padre già ce l'ho. Preoccupati solo di farti trovare verso la fine di aprile. - Così dicendo, il ragazzo sparì dietro l'imponente portone di fronte a sé, e si preparò a salire a piedi i cinque piani di scale che lo separavano dal solito spettacolo serale, al quale ormai assisteva da tempo.

Non appena la porta di casa si aprì, un odore di chiuso misto all'odore di cibo cotto ferì le narici di Alessandro. Dopo aver lanciato lo zaino in camera ed essersi tolto le scarpe, percorse il breve e angusto corridoio che terminava in cucina, nella quale trovò sua madre intenta a preparare la cena, sempre che per "preparare la cena" si intenda girare ininterrottamente una sostanza indefinita, versata in piccole padelle arrugginite.

- Come va? - Il ragazzo ruppe per primo l'imbarazzante silenzio, dal momento che Maria continuava a dargli le spalle, protesa verso i fornelli e barcollando avanti indietro, quasi come se il suo corpo seguisse i cerchi creati dal suo mescolare. Passò qualche minuto, dopodiché finalmente sua madre si voltò, prese un piatto e vi rovesciò dentro quella che sarebbe dovuta sembrare una minestra, ma il cui colore era tutt'altro che invitante. Posizionò il piatto in tavola al posto in cui era solito sedersi il figlio e si accomodò dal lato opposto fissando il vuoto.

- Vedo che non hai perso tempo eh? Di sotto ho incontrato Paolo, dice che entro fine mese ci sfratteranno. -

- Vada a fare in culo Paolo e vaffanculo pure tu, che non fai un cazzo dalla mattina alla sera, sei sempre in giro, sei un buono a nulla che vive e mangia qua dentro senza dare nessun apporto a questa famiglia. Un ospite, questo sei! Da domani vedi di trovarti un'altra sistemazione perché io ho intenzione di cambiare vita. Eh sì caro mio, col cazzo che morirò in questa lurida topaia, da domani si cambia musica. -

- Hai ascoltato quello che ho detto? Paolo dice che ci sono sei mesi di arretrati da pagare, quindi no che non ci muori in questa topaia, al massimo puoi sempre morire alcolizzata sotto il ponte qui di fronte. -

- Cosa ne sai? Che ne vuoi sapere? Non vali niente, non conti niente! Sono soldi miei, li ho guadagnati in tutta una vita di lavoro! - Maria si era alzata di scatto in piedi e aveva iniziato ad urlare, muovendosi avanti e indietro per la stanza come se non riuscisse a trovare un appoggio per reggersi in piedi e non cadere. La faccia era di un rosso molto acceso e, in più, le grandi vene che le si erano gonfiate sul collo, davano l'impressione di poter esplodere da un momento all'altro. Alessandro non si scompose più tanto alla vista di sua madre in quello stato. Tutto sommato c'era ben più che abituato dal momento che sua madre sobria non l'aveva mai vista, nemmeno ai tempi della scuola elementare. Con grande calma, finì il suo piatto di minestra, lavò rapidamente le stoviglie nel lavello e fece per imboccare l'uscita quando un piatto sibilò ad una distanza millimetrica dal suo orecchio, per andare ad infrangersi contro il muro che aveva di fianco.

- Vattene da qui, subito! Come ha fatto tuo padre, come quel coglione di tuo fratello! Vattene, pezzente, e non tornare. Sei tutto ciò che non ho mai voluto e che ora mi ritrovo in mezzo alle palle. Zecca, questo sei, nient'alto che una zecca schifosa. -

Mentre la porta di casa si richiudeva alle spalle di Alessandro, le grida all'interno si tramutarono in forti pianti, prima sommessi e poi di disperazione. Il ragazzo ebbe la tentazione di voltarsi, mentre scendeva le scale, e di tornare indietro, ma il pensiero di come era andata a finire tutte le altre volte che ci aveva provato lo trattenne dal farlo. In quel momento, aveva pensieri ben più gravi del dover consolare una madre alcolizzata e mentalmente instabile, preso atto del fatto che quegli stessi problemi dipendevano principalmente da lei.

Come ogni sera, breve ma intenso. Anche troppo.

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