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Alessandro si svegliò di soprassalto, spalancando di colpo la bocca per immettere nei polmoni quanta più aria possibile, come se non avesse respirato per giorni. Avvolto dal tremendo calore del suo letto, rabbrividì non appena la sua spina dorsale venne scossa da piccole scariche di brividi gelidi, causati dai tremori del suo corpo sudato. Scansò con violenza le lenzuola e si mise seduto. Il quadrante luminoso della sveglia segnava le ore sei e venti minuti, orario ideale per tornare a casa dopo una bella serata, ma di certo non per iniziare la mattinata. Si alzò dal letto ancora frastornato e si augurò che il pestaggio, il processo e il carcere minorile fossero anche quelli solo dei brutti sogni. La lettera del tribunale, però, era appoggiata sulla sua scrivania e questa tanto bastò per riportarlo alla cruda realtà. Al solo ricordo della sentenza, un disperato bisogno di prendere una boccata d'aria fresca si impadronì di lui; così, si vestì al volo ed uscì in fretta di casa.

Ad accoglierlo all'esterno trovò la stessa brezza mattutina che c'era quando era accaduto il tutto, appena qualche settimana prima. Si trascinò stancamente per le strade del quartiere, alla ricerca del primo bar aperto e, mentre allungava davanti a sé un passo dopo l'altro, si chiese quanto gli sarebbe effettivamente mancato quel posto che lo aveva visto prima nascere, e poi crescere, ma che di sicuro non avrebbe mai avuto le sue spoglie, sempre ammesso che Marta, nel corso di quella mattina fatidica, fosse in torto. La risposta fu davvero semplice da trovare: nonostante tutto, non ci sarebbe stato momento in cui non avrebbe rivolto un pensiero alla vita che faceva tra quei palazzi, una vita che, per quanto delle volte fosse stata dura e piuttosto complicata, perlomeno era sempre stata quella di un ragazzo libero.

Dopo aver camminato a lungo, Alessandro arrivò al bar vicino alla scuola e ordinò il suo caffè seduto sui tavolini posti all'esterno, mantenendo sempre lo sguardo fisso verso l'entrata del liceo, nella speranza di riuscire a intravedere qualche faccia nota con la quale scambiare due chiacchiere e svagarsi un po'. Non seppe dire perché, ma il caffè di quella mattina, seguito a ruota dalla solita sigaretta, fu il migliore che avesse mai bevuto. E, in questo, ci ritrovò un'ironia nemmeno troppo velata dal momento che, in tutti quegli anni, non aveva fatto altro se non polemizzare sul fatto che il barista avrebbe dovuto chiudere baracca e burattini, per poi trovarsi un altro lavoro, invece che ostinarsi a servire quella brodaglia imbevibile. All'improvviso, però, si accorse che tutto intorno al lui stava assumendo forme nuove, partendo appunto da un banale caffè, fino ad arrivare al pensiero dei giorni passati dentro il liceo i quali, tutto sommato, ora non gli sembravano poi così male. E se era arrivato a rimpiangere perfino il suo liceo, pensò Alessandro, allora voleva dire che era caduto in basso più di quanto non si rendesse effettivamente conto.

Verso le sette e mezza vide avvicinarsi Marco, l'unico membro della sua compagnia che, nonostante fosse stato bocciato in terza, non si era perso d'animo e aveva tutte le migliori intenzioni di diplomarsi, ovviamente senza troppa fretta e continuando sempre a prendersi i suoi spazi. I primi tre anni di scuola passati insieme erano stati i migliori in assoluto, tanto che la notizia della bocciatura era piombata sulle loro teste come un fulmine a ciel sereno anche se, ripensandoci a posteriori, non era nulla in confronto alla separazione che sarebbero stati costretti ad affrontare di lì all'indomani.

- Bella Ale, com'è? - Il tono con cui Marco salutò l'amico sembrò ad entrambi diverso dal solito poiché lasciava trasparire un vago senso di tristezza.

- Tutto a posto, come al solito. Oddio, forse non proprio come al solito, ma sicuramente ci sono cose che non cambiano mai, come anche in questo caso. -

- Che intendi dire? -

- Che potrebbe sempre andare meglio -, disse il ragazzo, sforzandosi di accennare un sorriso sincero.

- Hai già bevuto il caffè? -

- Si, tranquillo, l'ho appena preso. -

Marco ordinò il suo caffè e, così come aveva fatto l'amico qualche istante prima, lo sorseggiò lentamente, assaporandolo. Alessandro si accorse subito di ciò e decise di dare libero sfogo ai suoi pensieri: - È solo una mia impressione o anche a te il caffè di oggi sembra più buono del solito? Non sono ancora entrato a controllare, ma credo che abbiano cambiato barista. -

- Magari fosse così. Dietro al bancone c'è sempre quel cretino di Ricky, che non è in grado di fare un caffè decente neanche se gli paghi l'equivalente del suo peso in oro. Però, stavolta devo darti ragione: il caffè è davvero notevole. -

- Allora credo proprio che sia un problema nostro. -

Dopo aver terminato la frase, sui due scese il silenzio. Non passò molto tempo prima che Silvia li avvistasse dall'altra parte della strada. Si avvicinò a loro con un fare per niente discreto e interruppe quel momento di raccoglimento schioccando un sonoro bacio sulle labbra di Marco, dopodiché entrò nel bar per fare colazione.

- Quante cose mi sono perso in queste settimane? -, esclamò sorridendo Alessandro.

- Botta, ascoltami, non te ne ho parlato perché so bene come la pensi, e in più avevi ben altre cose di cui occuparti -, rispose Marco visibilmente imbarazzato.

- Scherzi? Invece sono davvero contento per voi. Siete una bella coppia. -

- Dì quello che ti pare, ma tanto lo so che dentro di te pensi che avere una relazione sia una cazzata immane. -

- Può darsi, ma se sei felice in questo modo, mi basta essere contento per te. In più, nulla toglie che io possa anche essermi ricreduto riguardo all'avere una relazione, soprattutto alla luce di quello che mi è appena capitato -, e così dicendo, Alessandro lanciò all'amico uno sguardo profondo di intesa.

- Grazie, Botta. -

- Aspetta a ringraziarmi perché non ho mai detto che non ti prenderò più per il culo. È un'occasione che non posso proprio lasciarmi sfuggire! -, ribatté il ragazzo, strizzando l'occhio all'amico.

Poco dopo, Silvia uscì dal bar in tutta fretta, chiaro segno del fatto che lei e Marco erano in ritardo per la lezione della prima ora; così, i due amici si salutarono, dandosi appuntamento a quello che sarebbe stato il loro ultimo pomeriggio insieme.

Alessandro non si alzò subito dal tavolino del bar, ma rimase qualche istante con lo sguardo fisso sull'entrata principale del liceo che, come di consueto, a quell'ora ingurgitava una fiumana indistinta di ragazzi, ognuno diretto verso la propria classe. Durante ogni mattinata trascorsa schiacciato spalla contro spalla con gli altri studenti, nell'attesa che si aprissero le porte della scuola, si era sempre sentito diverso nel profondo rispetto a quei ragazzi: non solo lui non aveva nulla a che spartire con loro, ma in più non ne stimava né ammirava alcuno. Nella sua testa aveva sempre avuto il pensiero fisso che tutti loro non fossero altro che un belante gregge di pecore, addomesticate ben bene al fine di seguire le imposizioni di pastori incompetenti, quali erano appunto i loro professori.

Ora che li guardava dalla sua posizione, però, lontano dalla solita ressa mattutina fatta di spintoni e insulti, ma soprattutto ora che gli equilibri si erano consolidati, tanto da averlo più che mai distinto da tutti gli altri, non desiderava altro se non essere uguale a un ragazzo qualunque di quelli che per tanto tempo aveva criticato.

Durante il pomeriggio passato in piazza, le lancette si rincorsero molto velocemente sul quadrante degli orologi dei ragazzi tanto che, prima che potessero rendersene conto, si era già fatto tardi. Il cielo stava iniziando pian piano a colorarsi di un rosso acceso, con qualche spruzzata di giallo qua e là.

In molti passarono dalla piazza per fare un ultimo saluto ad Alessandro e qualcuno gli portò anche dei piccoli regali in segno di solidarietà. Si presentarono all'appuntamento compagni del liceo, vecchi amici delle medie e delle elementari, con i quali non si vedeva da anni, ragazzi del quartiere e perfino alcune sue ex. Alessandro non avrebbe mai immaginato che così tante persone avessero preso a cuore la sua situazione e le ore passate in compagnia di quei ragazzi servirono, almeno in parte, ad alleviargli l'animo oppresso dal pensiero del giorno seguente. Fu una bella sorpresa poter constatare che aveva lasciato un buon ricordo in più persone di quante invece ne avesse trattate male oppure ferite, magari anche indirettamente e senza una reale intenzione. Come al solito, però, gli unici che rimasero con lui fino alla fine dei saluti, furono i suoi amici di sempre.

Quando giunse anche per il quartetto il momento di separarsi, ognuno di loro cercò di tirare la conversazione per le lunghe, dato che non voleva lasciar andar via l'amico. Fu Alessandro a tagliare corto, dal momento che non sapeva quanto ancora sarebbe riuscito a restare davanti a loro senza commuoversi. Li abbracciò uno ad uno e percorse la strada verso casa, senza mai voltarsi indietro.

Fino a quando avrebbe conservato dentro di sé il ricordo dei bei momenti passati con loro, degli scherzi e delle risate, non sarebbe mai stato solo.

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