Capitolo 43

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Quel giorno non lo dimenticherò mai, fu un giorno bruttissimo, forse uno dei giorni più brutti della mia vita.
Mi ero svegliata presto, come tutte le mattine del resto, e mi ero avvicinata un po' più a lui per poterlo svegliare.
Fu lì che vidi il suo respiro accellerare e affaticarsi sempre più.
Iniziò a tossire e intravidi del sangue sulla sua mano, non sapevo come comportarmi.
Ero terrorizzata.
Mi feci prendere dal panico, stavo per avere uno dei miei soliti attacchi di panico così digitai velocemente il numero di Jack sul mio cellulare chiedendogli di correre da me.
Non se lo fece ripetere due volte e cercò di rassicurarmi, ma io avevo paura, paura di perderlo.
Ero paralizzata davanti a quella scena ma riuscii a calmarmi e ad avvicinarmi a lui.
Gli strinsi le mani, le strinsi tra le mie e le portai sulla mia pancia.
Erano passati tre mesi da quella notte ed io avevo scoperto una cosa, una cosa che avevo pensato di tenere solo per me per paura che lui ci stesse male.
Per paura che lui si sentisse in colpa a non poter vivere in futuro con me quest'emozione meravigliosa.
Ma dovevo, dovevo dirglielo prima che fosse troppo tardi.
Lui sorrise, aveva capito la situazione, ne ero certa.
Stava riprendendo a respirare lentamente e, proprio in quel momento, sentimmo bussare di colpo alla porta.
Gli baciai la testa sussurrando un "ti amo, non muoverti amore, torno subito" e corsi al piano di sotto.
Jack si precipitò al piano di sopra ed io lo seguii più in fretta che potei.
-Sto bene.- riprese a respirare lentamente e meno faticosamente appena entrammo in camera.
Non sapevo cosa gli stesse accadendo e, dalla faccia spaventata che aveva assunto in un primo momento, avevo dedotto che neanche lui lo sapesse.
-Andiamo in ospedale.- mi asciugai una lacrima sussurrando quelle parole, ero spaventata, spaventata per davvero.
Lui scosse il capo continuando a ripetermi che stava bene ma io e Jack riuscimo lo stesso a convincerlo ad andare in ospedale.
Lo aiutammo ad alzarsi lentamente e lo facemmo appoggiare a noi.
Scendemmo insieme le scale, lentamente ma non troppo ed entrammo in auto.
Avevo paura di portarlo in ospedale, non volevo sentire realmente come stavano le cose ma dovevo, dovevo farlo per noi.
Nel giro di venti minuti arrivammo in ospedale e, ad essere sincera, in quel momento avevo più paura io che lui stesso.
Era strano vederlo lì, su quella barella, e circondato da infermieri.
Faticava a respirare, di nuovo, e continuava a tossire sangue.
Sapevo cosa significava, mi ero informata in quel periodo, avevo bisogno di sapere anche se ero certa avrebbe fatto male, tanto male.
Lo portarono subito via da me, giusto il tempo di dargli un bacio.
Avevo paura, paura che quello sarebbe stato l'ultimo bacio, paura di non poterlo guardare negli occhi, portare le sue mani sulla mia pancia e dirgli "Guarda, tocca qui, è la nostra felicità che cresce lentamente dentro di me", avevo paura di perderlo.
Non volevo perderlo.
Ma stava accadendo, lo stavo perdendo lentamente e stavo soffrendo, un dolore straziante e allucinante.
Ed ora, in questo preciso momento, mi sento come una goccia nell'oceano: con tutti intorno a me pronti a sostenermi, ma, sostanzialmente, mi sento sola.

Spazio autrice
Dopo una settimana o poco più finalmente sono riuscita ad aggiornare.
So che il capitolo è cortissimo ma questo periodo è davvero complicato per me e quindi sto scrivendo solo quello che sento di dover scrivere, solo quello che penso, senza sforzarmi nel rendere i capitoli lunghi.
Volevo anche avvisarvi, in caso siate Fenji shippers, che ho iniziato a scrivere una storia Fenji che trovate sul mio profilo, si chiama "Polaroid |Fenji|".
Se vi va aggiuntemi anche sui miei social:
-Twitter: @SorridimiBen
-Instagram: _its.chia
-Snapchat: Chiars03
Buonanotte e grazie per il continuo supporto.
Vi voglio bene, davvero.

-Chiara❤

Lettera ||Benji e Fede||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora