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Il mio secondo giorno a New York decido che se l'inizio non è stato dei migliori, non significa che mi debba far scoraggiare. Ho lavorato sodo per arrivare fin qui, e non saranno di certo un errore amministrativo e dei coinquilini poco amichevoli a farmi fare dietrofront.
Su queste note mi alzo di buon umore e, avvolta da un vestitino leggero azzurro chiaro, mi dirigo verso il mio primo giorno di lezioni presso il dipartimento di musica della Juilliard.
La tabella che mi hanno fornito all'ufficio immatricolazioni contiene in modo dettagliato i miei orari e i numeri delle aule in cui le lezioni si svolgono. Per una serie di sfortunati eventi non ho partecipato alla sessione di orientamento e ora comincio a pentirmene, visto che ci metto un bel po' a localizzare le mie classi, con la conseguenza che a metà mattinata ho sicuramente macinato più chilometri di ieri. Per fortuna, l'ultima lezione prima della mia pausa pranzo è quella a cui da mesi non vedo l'ora di partecipare: la mia prima sessione privata di pratica con monsieur Douval, inutile dire che ho sognato questo momento per tutto il liceo.
Raggiungo l'aula 319, busso alla porta e quando sento rispondere con un "Avanti" entro emozionata ed esitante. Tuttavia, quello che mi trovo di fronte mi lascia interdetta: non ho mai visto monsieur Douval dal vivo, solo su alcuni video di YouTube di concerti dell'orchestra della Juilliard e in foto che la ricerca di Google mi ha proposto, ma il ragazzo all'interno dell'aula non gli assomiglia per niente. Avrà al massimo ventiquattro o venticinque anni, un aspetto piacevole ed elegante, i capelli castani in ordine ed il viso perfettamente rasato, addosso una camicia bianca e dei jeans chiari.
« Ciao. » mi saluta tendendomi la mano. Ancora confusa la stringo; devo aver sbagliato aula, ne sono certa perché questo non è monsieur Douval. Il ragazzo percepisce subito il mio disagio e, non appena mi lascia andare la mano, mi sorride rassicurante. « Se stavi cercando il professor Douval non ti sei persa, tranquilla. Io sono Evan. » si presenta infine.

« Jasmine. » replico titubante.

« Sono sicuro che arriverà a momenti, ama gli ingressi teatrali. ».

Annuisco abbassando lo sguardo, le sue mani e le sue dita catturano tutta la mia attenzione.« Un pianista.» sussurro prima di rendermene conto. Immediatamente alzo di nuovo gli occhi mentre Evan sorride gentile.

« Una violinista. » replica, imitando il mio tono di voce. « Da quanto?»

« Da sempre. » rispondo come se fosse ovvio. Mi sorride di nuovo, senza accorgermene lo faccio anch'io. « Devo accordarlo. » esordisco poi. « Il viaggio in aereo lo ha scombussolato. »

« Ti do il la?» propone avvicinandosi al pianoforte, io lo seguo ringraziandolo.
Apro la mia custodia e prendo a passare la pece sull'archetto, dopodiché Evan intona la nota col pianoforte ed io imbraccio il violino e tiro le corde finché i suoni non si armonizzano. Dopo il trambusto di ieri e di questa mattina, è un sollievo sentire qualcosa in perfetta armonia.

Veniamo interrotti dal rumore sordo con cui la porta dell'aula viene aperta, permettendo l'ingresso ad un uomo pelato sulla cinquantina, con un paio di occhiali dalla grande montatura nera ed un maglione a collo alto dello stesso colore. Questo è monsieur Douval.
« Oh, Evan.» comincia, rivolto al ragazzo. « Vedo che hai già accolto la nostra ospite. » continua poi, guardandomi dall'alto in basso senza accennare a sorridere: a New York la cortesia è fuori moda « Jasmine Lil?» domanda con un sopracciglio alzato.

« Sono io, signore. » confermo spaventata e, devo ammetterlo, emozionata oltre ogni dire: quest'uomo è un genio.

« Per oggi Evan ci farà compagnia. Cominciamo con Chopin, notturno n.20. Andante al pianoforte e con espressione al violino. » istruisce senza perdere tempo. Mette uno spartito sul cavalletto nero di fronte a me e porge l'altro ad Evan. È uno dei pezzi che ho dovuto preparare quest'estate, non è una prima lettura, lo so eseguire, ma all'improvviso comincio ad essere in soggezione.
Evan attacca al pianoforte, dopo due periodi lo seguo. Ammetto di suonare il sol in maniera un po' incerta, ma i vibrati sono più che buoni, le note alte sono ottime ed io ed Evan siamo ben armonizzati. Chiudo gli occhi nel breve momento in cui non sono più accompagnata dal pianoforte, non sollevo le palpebre neanche quando Evan si unisce nuovamente a me e ritorno nel mondo reale solo a notturno finito mentre nella stanza cala il silenzio, disturbato solo dal riverbero delle note che ho appena suonato.
Evan mi fissa piacevolmente sorpreso, monsieur Douval mi osserva da sopra la sua montatura, scettico. « Da capo.»

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