Mentre fisso l'ennesima forcina tra i miei capelli, comincio a pentirmi di aver accettato l'invito di Evan: è da più di mezz'ora che lavoro su un raccolto elaborato. Per ovvie ragioni non posso presentarmi in jeans e maglietta ad un concerto al Lincoln center, al contrario, mi sono dovuta infilare un abito lungo e morbido color borgogna, il cui tessuto leggero lascia leggermente scoperte le spalle. Claire mi ha aiutata a trovarlo in un negozio dell'usato nell'East Village, senza di lei probabilmente non l'avrei nemmeno visto.
Dopo aver indossato un po' di profumo ed aver afferrato la mia pochette, esco dalla mia camera camminando incerta su questi tacchi eccessivamente alti.
Non appena raggiungo la sala trovo tre paia di occhi puntati su di me e, stranamente, il silenzio. Jordan mi guarda con un sorriso luminoso e gentile, a cui rispondo. L'espressione di Peggy, invece, trasuda invidia e come al solito fastidio.
Infine le iridi scure di Daniel mi fissano in modo talmente palese da farmi sentire un'improvviso peso sul petto, sullo stomaco, ovunque. La forza di gravità mi sta trascinando sottoterra, alimentata dagli occhi di Daniel e dal battito accelerato del mio cuore.
Rimaniamo così, a guardarci l'un l'altro. Lui in piedi di fianco al divano color crema, io immobile sotto l'arco che separa il corridoio dalla sala. Entrambi muti, fino al suono del campanello.
Sussulto sorpresa e confusa, ben consapevole del fatto che si tratti di Evan; non avevo in programma di farlo salire in casa e, soprattutto, di fargli conoscere i miei coinquilini, ma sono costretta ad avvicinarmi alla porta d'ingresso e ad aprirla prima che possa farlo chiunque altro.
Dall'altra parte, mi accoglie il sorriso gentile del mio accompagnatore. Indossa un elegante smoking nero, è impeccabile. « Ciao. » mi saluta evidentemente allegro. Nel momento in cui apro la bocca per rispondergli, tuttavia, qualcun altro si mette in mezzo.
« Sapevo di aver riconosciuto la tua voce. » esordisce Daniel, con la fronte corrugata ed uno sguardo serio puntato su Evan. Ne deduco che debba essere stato lui a rispondere al citofono e a farlo salire.
Evan è evidentemente confuso, ma per niente intimorito dall'aria minacciosa del mio coinquilino. « Cosa ci fai qui?» domanda, mentre nella mia testa io cerco di mettere insieme i pezzi: si conoscono e ovviamente non si piacciono.
« È casa mia.»
Nell'immediato, Evan si rivolge a me. « Voi due abitate insieme?» inquisisce con un'attitudine decisamente meno rilassata, rispetto a quella con cui si è presentato alla porta.
« Non c'era più posto ai dormitori e mi hanno collocata qui. » spiego con un'alzata di spalle. La tensione nell'aria è alle stelle ed io, estremamente in imbarazzo e a disagio, decido che è arrivato il momento di levare le tende. « Sono pronta, andiamo?» prendo Evan a braccetto e cerco di trascinarlo via; lui mi segue solo dopo aver lanciato un'occhiataccia a Daniel.
« A casa a mezzanotte, Jas.» mi intima quest'ultimo, non ho il coraggio di voltarmi sebbene sia a dir poco confusa: era un ordine?
Non appena Evan ed io mettiamo piede fuori dal palazzo, l'aria diventa nuovamente respirabile, la tensione si dissolve, mentre la mia sorpresa cresce nel vedere una Mercedes nera chiaramente intenta ad aspettarci.
Senza fare alcun commento su quanto successo nel mio appartamento, Evan mi apre la portiera ed io scivolo sui sedili posteriori, notando subito un autista al posto di guida. « I miei hanno insistito. » spiega Evan, ormai di fianco a me. Gli sorrido comprensiva ma ancora basita; una volta chiusa la portiera partiamo alla volta del Lincoln Center.
Per quelle che sembrano ore, ma invece sono solo una manciata di minuti, nessuno dei due parla. Vorrei chiedergli come fa a conoscere Daniel e perché si odino in modo tanto palese, tuttavia non ne ho davvero il coraggio.
« Come mai se è solo una serata per professori e investitori, tu sei stato invitato?» chiedo infine.
Evan si volta verso di me, non posso fare a meno di notare che gli occhi gli brillano.
« Sono un ex alunno e mio padre è uno dei finanziatori più influenti, in qualche modo sono costretto a prendervi parte. ».
« Un ex alunno?» domando sorpresa, lui trattiene una risata.
« Studio alla Juilliard da sempre, Jasmine. I miei genitori sono nati e cresciuti nel mondo della musica, mio zio è uno dei professori più richiesti, ho avuto la strada spianata.» spiega con semplicità, mentre io penso che se non fossi apatica probabilmente in questo momento proverei invidia. « Era naturale che mi laureassi alla Juilliard, non ho avuto molta scelta.»
« Se l'avessi avuta avresti optato per qualcosa di diverso?»
« No. » risponde sincero e per niente infastidito dal mio ficcanasare. « Suonare per me è come respirare. » confessa guardandomi negli occhi.
« È come respirare. » ripeto, capendo esattamente di cosa parla. Ultimamente sono stata in una sorta di lunga apnea, respirare faceva male.
-
La mia mente è in fibrillazione mentre ascolto la Filarmonica di New York cimentarsi ne "Le Quattro Stagioni", di Vivaldi. Attendo con impazienza la mia preferita, "Inverno", e quando finalmente arriva il suo turno sento il cuore accelerare la sua corsa ed un sorriso aprirsi sul mio viso senza che possa controllarlo. Per quanto sia brava a tenere qualsiasi emozione a bada, con la musica non ci riesco, e non voglio. Quando dopo l'ultima ripresa cala il silenzio, capisco che il concerto è terminato. Un'ovazione generale rimbomba all'interno del teatro, mentre io sono ancora in fibrillazione.
All'uscita del Lincoln Center incappiamo nel professor Douval, il quale ci saluta in modo cordiale e pare molto più calmo e meno eccentrico rispetto ad una normale giornata di scuola. Non fa nessun accenno alle nostre lezioni ormai inesistenti, non posso fare a meno di chiedermi se si sia completamente dimenticato di ciò che mi ha detto, un'ingiustizia bella e buona visto che io non faccio altro che pensarci.
Invece di salire nuovamente sulla Mercedes, Evan mi propone di fare una passeggiata, forse non sono l'unica che deve smaltire l'adrenalina che assistere al concerto le ha fatto provare.
Mentre camminiamo per Lincoln Square ed Evan mi racconta che il suo destino, che lui lo voglia o meno, è far parte della filarmonica della Juilliard, io mi rendo conto del fatto che in sua compagnia i miei campanelli d'allarme sono a riposo. Se sotto lo sguardo di Daniel l'agitazione la fa da padrone, guardare Evan negli occhi dà man forte alla calma piatta e al silenzio. Forse non so esattamente cosa c'è all'interno del mio cuore, ma non posso ignorare il fatto che un denominatore lo metta in fibrillazione ed un altro lo sedi.
Forse è per questo, per la sicurezza che una tale calma mi dà, che quando Evan mi invita a bere qualcosa a casa sua accetto senza il minimo imbarazzo. Non sono in pericolo finché il mio cuore rimane fermo.
-
Il fatto che Evan abiti nell'Upper East Side non è una sorpresa. Il suo appartamento è un attico situato ad uno degli ultimi piani. La vista dalle enormi vetrate dell'open space è spettacolare: una New York ancora illuminata, nonostante l'ora tarda, si estende davanti a noi, mentre il cielo scuro la sovrasta. Visto da quassù, il fatto che io passi tanto tempo in mezzo a quell'intricato groviglio di strade mi fa venire la claustrofobia.
« Questo posto è magnifico, Evan. » mi complimento voltandomi verso di lui. Ben presto mi accorgo del fatto che mi sta osservando, continuando a tenere la giacca scura dello smoking in mano come se se ne fosse dimenticato.
« Vuoi qualcosa da bere?» domanda con un sorriso, avvicinandosi di qualche passo.
Io mi limito a scuotere la testa, accorgendomi a malapena di quanto sia poca la distanza che ci separa. Evan la accorcia ulteriormente, continuando a stringere la giacca fra le mani e guardandomi negli occhi con un'espressione seria. Sono felice e sollevata nel sentire il mio corpo rimanere indifferente. I miei muri sono ancora in alto e nessuno, nemmeno Daniel, riuscirà a buttarli giù. Mentre la presa di Evan sulla giacca si allenta, suppongo per lasciarla cadere a terra e circondarmi la vita con le braccia, il mio cellulare comincia a squillare insistentemente.
« Scusa. » mormoro sollevata, riportando il naturale spazio fra i nostri corpi e recuperando il telefono dalla pochette. Corrugo la fronte nel guardare lo schermo: è un numero sconosciuto.
« Fai con calma. » mi rassicura Evan, subito dopo lo sento allontanarsi dalla vetrata per mettere un po' di musica dallo stereo posto in un angolo.
Prima di premere il tasto verde, mi apparto più vicino alle scale che, a quanto dice Evan, portano alle due camere di sopra. « Pronto?»
« La mezzanotte è passata da un pezzo.» risponde una voce scocciata, una voce roca e ormai ben familiare.
« Daniel?» chiedo in un sussurro. All'istante il mio cuore comincia a galoppare, il mio cervello smette di collegare frasi ed il mio corpo risponde alla sua voce come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Non mi piace.
« Come hai fatto ad avere il mio numero?» replico ancora spaventata. La risposta è palese: Jordan.
« La mezzanotte è passata, Jasmine. Torna a casa.» continua lui, ignorando la mia domanda.
« Io non... no, non ho intenzione di tornare a casa. » ribatto incerta, seppur stranamente calma.
« Dove sei?» chiede Daniel, il suo tono di voce pare sempre più nervoso.
Prima che possa chiedergli cosa gli prenda, però, la voce di Evan risuona dalla cucina. « Jasmine, sei sicura di non volere qualcosa da bere?»
Simultaneamente, dall'altra parte della cornetta sento una certa dose di imprecazioni. « Sei ancora con quel coglione?» esclama Daniel furioso. Sgrano gli occhi, per un attimo credo di starmi immaginando tutto: è surreale. « Cristo, Jas, non dirmi che sei andata a casa sua!»
« Non penso siano affari tuoi, Daniel.» sibilo a denti stretti.
« Jas, ascoltami bene: torna a casa ora. Chiama un taxi, per favore... » lo interrompo chiudendo la chiamata.
Nel silenzio, cerco di fare dei respiri profondi, ricacciando il cellulare nella pochette come se d'improvviso scottasse. Non credo di essere mai stata arrabbiata in vita mia, che razza di maleducato!
« Tutto bene?» domanda Evan, arrivando alle mie spalle e facendomi sussultare.
Mi volto e gli sorrido, dopodiché prendo il calice di vino rosso che mi porge sebbene non abbia mai risposto alla sua domanda. « Sì, ti ringrazio. » replico, cercando di ritrovale la calma. Mi riesce difficile, devo ammetterlo. Il fatto che Daniel si sia preso il disturbo di chiamarmi, usando un numero probabilmente rubato dal cellulare di Jordan, per intimarmi, anzi ordinarmi di tornare a casa, va oltre la mia comprensione. So bene, però, che ciò mi manda su tutte le furie è che del silenzio provato fino ad ora non c'è più neanche l'ombra: è il caos, ogni volta che Daniel entra in scena non ho più controllo su niente.
Tento di concentrarmi sulla conversazione mentre ci accomodiamo su uno dei divani scuri, per fortuna Evan è abbastanza loquace da permettermi di limitarmi ad annuire ogni tanto. Poi, però, quando mi azzardo a prendere un sorso di vino rosso ed il sapore di alcol mi invade la bocca, una marea di ricordi mi investe come un fiume in piena e questa volta i miei muri vengono rasi al suolo.
Ho bevuto alcolici solo una volta nella mia vita: della birra con Jake. Stetti talmente male da non toccare più un goccio d'alcol, fino ad oggi. Passai la notte in bagno, impegnata a svuotare il mio stomaco, a piangere e a maledirmi. Jake rimase con me tutto il tempo, non mi ha mai rinfacciato quella bravata. Non mi ha mai lasciata sola.
Ripiombo nella realtà con un macigno sullo stomaco ed uno strano fischio nelle orecchie: mi gira la testa. Evan smette subito di parlare, immagino di essere sbiancata oltre ogni dire. « Stai bene?» chiede apprensivo.
« Sto bene. » rispondo con un fil di voce.
« Jasmine, sei pallidissima. » mi fa notare. Subito dopo mi prende il bicchiere di vino dalle mani e lo posa sul tavolino di fronte al divano. Gliene sono grata: lo avrei fatto cadere per terra « Ti porto un po' d'acqua » dice poi, alzandosi.
Nello stesso momento però, il suono del campanello riverbera nella stanza e, per la seconda volta questa sera, le sue note mi portano sorpresa e confusione, sebbene sappia perfettamente di chi si tratta. Sono pronta a dire ad Evan di non aprire la porta, ma non faccio in tempo a parlare che questa è già spalancata ed io rimango immobile, bloccata sul divano: Daniel è qui.
STAI LEGGENDO
How to Love
Teen FictionUn cuore ormai danneggiato, può davvero essere riparato? Il passato si può davvero dimenticare? Si può tornare ad amare? Dal capitolo 6. "Cosa c'è nel suo cuore, signorina Lil?" Senza rendermene conto volto la testa, fino a poter vedere la foto post...