C'è un'enorme aspettativa nei confronti dell'orchestra sinfonica del primo anno qui alla Juilliard, la quale si traduce in una fortissima pressione sulle spalle di ognuno di noi. I brani assegnati sono più estratti di "Scheherazade", l'opera di Rimsky e Korsakov. Ci siamo preparati per un mese, provando fino a sera tarda quasi ogni giorno dopo le lezioni. Mi sembra surreale salire sul palco dove le sedie e gli strumenti dell'orchestra sono stati disposti, surreale vedere il sipario chiuso davanti a noi, sentire la luce dei fari illuminarmi senza via di scampo. Ancora più surreale è il silenzio che regna sovrano, tra di noi per la paura, tra il pubblico per l'aspettativa. Il direttore d'orchestra raggiunge il suo posto, poco dopo il sipario viene aperto ed io sono troppo spaventata per azzardarmi a spostare gli occhi dallo spartito posto sul mio leggio.
Tento di mantenere la calma, di fingere di trovarmi ancora alle prove, di non avere un pubblico tale pronto ad ascoltarmi e giudicarmi. Poi, nel silenzio, sono costretta a volgere lo sguardo verso il direttore, il quale mi fa un cenno con la testa prima di alzare la mano indicandomi di cominciare.
Il MI prodotto dal mio violino risuona per tutto il teatro, seguito subito dopo da una scala acuta. L'arpa mi accompagna per brevi momenti con dolcezza, mentre il mio archetto, accarezzando le corde, si sposta su una scala decisamente più bassa, torna in alto ed infine si ferma.
Subentrano gli oboei, uno alla volta si aggiungono gli altri fiati. L'arpa torna a riecheggiare, i violoncellisti cominciano a pizzicare le corde dei loro strumenti e poi, d'improvviso, tutta l'orchestra si unisce alla scena, me compresa. Prima piano, in sordina, finché crescendo lentamente la melodia prende un ritmo più serrato, un volume più alto e poi esplode. Si lascia dietro la malinconia dell'incipit iniziale, la calma del tempo dettato dagli oboei, optando invece per la velocità e l'adrenalina.
Le prove che abbiamo portato avanti per più di un mese vengono completamente dimenticate. Gli spartiti e gli appunti scritti in matita sui pentagrammi sono ormai spariti.
Non c'è più niente a parte il nostro ritmo, niente a parte il cuore che mi batte all'impazzata, il suono del mio violino, le note che ne escono fuori come se lo strumento e l'archetto avessero vita propria.
Ed è magia, pura e semplice magia.
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Penso di star sorridendo da almeno venti minuti, non riesco a smettere; non ricordo l'ultima volta che sono stata così felice, senza sensi di colpa, orgogliosa di me stessa. Quello che è successo stasera, quello che ho provato suonando, è stato mistico: mi sono sentita parte di qualcosa di più grande, mi sono sentita al sicuro, esattamente nel posto in cui avrei dovuto essere.
« Complimenti, Jasmine, sei stata fantastica!» si congratula Brandon, uno dei violoncelli.
« Tu non sei stato da meno.» rispondo non riuscendo a contenere la mia felicità. Brandon mi guarda sorridendo a sua volta, finché qualcosa alle mie spalle non lo fa sbiancare. Non ho davvero bisogno di girarmi per capire di chi si tratta, ma non appena Brandon sparisce senza dire una parola, mi volto verso Daniel. Ancora incredula per il fatto che sia davvero venuto a sentirmi e si sia addirittura avventurato qui dietro la quinte, faccio fatica a rimanere impassibile. Come se volesse darmi il colpo di grazia, invece dei soliti jeans e t-shirt, questa sera ha deciso di indossare una camicia bianca e dei pantaloni eleganti. Non mi sorprende che tutte le musiciste, e alcuni musicisti, non riescano a levargli gli occhi di dosso.
« Sei stata eccezionale, Jas.» si complimenta regalandomi un magnifico sorriso. Rispondo, con sua e mia grande sorpresa, accorciando la distanza che ci separa per gettargli le braccia al collo ed affondare il viso contro la sua spalla. All'istante le sue braccia mi stringono la vita in maniera delicata e leggermente possessiva.
« Sono felice che tu sia venuto qui.» sussurro, ispirando il suo profumo che pervade il tessuto fresco della camicia.
Daniel allenta la presa per permettermi di allontanarmi e di guardarlo negli occhi. Sento il mio stomaco stringersi in una morsa, quando Daniel posa la sua fronte contro la mia, poi, facendomi sentire il suo respiro sulla pelle e soprattutto sulle labbra, il mio cervello si spegne. « Non me lo sarei perso per niente al mondo.» mormora, adagiando una mano sulla parte bassa della mia schiena ed avvicinando il mio corpo al suo. Rimango interdetta, in balia delle sensazioni familiari e spaventose che prendono a scombussolarmi il corpo. Le labbra di Daniel bramano le mie, le sue mani scivolano intorno ai miei fianchi. Sono calde, lo percepisco attraverso il tessuto leggero del mio vestito nero.
« Jasmine!» esclama una terza voce dall'ingresso del retroscena. Mi allontano subito da Daniel, il quale tuttavia non mi lascia andare. Immediatamente noto tre persone, decisamente fuori luogo, farsi largo tra gli artisti per raggiungerci: Claire, Jordan e Peggy.
« Mi dispiace.» esordisce Daniel in tono cauto, sussurrando al mio orecchio. « Hanno insistito, ma ti assicuro che ho fatto di tutto per farli desistere.»
« Non fa niente.» rispondo guardandolo in viso e sorridendo. Sono contenta che siano qui: a New York loro tre sono ciò che più si avvicina ad una famiglia ormai. Se non fossi stata tanto presa dalle prove e dai pensieri in merito al ragazzo al mio fianco, li avrei invitato io.
« Sei stata bravissima!» esclama Claire, saltandomi addosso e facendo mollare la presa a Daniel.
Non appena mi lascia andare è il turno di Jordan. « Hai spaccato il culo a tutti!» esulta abbracciandomi a sua volta. Sento Daniel brontolare qualcosa al mio fianco, mentre prego che nessuno abbia sentito le espressioni colorite del mio coinquilino.
Infine è Peggy a comparire nel mio campo visivo, mi sorride imbarazzata. « Da urlo.» si limita a commentare. Presa dalla felicità mi avvicino e la abbraccio, notando immediatamente che, come l'ultima volta, lei sembra un po' impacciata nel ricevere e restituire il mio gesto.
Subito dopo Jordan e Claire si preoccupano di mettermi in imbarazzo, intonando un coro degno dei peggiori stadi americani e sicuramente non adatto al Lincoln Center.
« Jasmine!» urlano battendo le mani a ritmo. « Il primo violino vi ha fatto sembrare tutti degli idioti!» continuano attirando sin troppa attenzione, senza contare che non si tratta in alcun modo di una competizione. Peggy trattiene una risata, mentre io arrossisco a dismisura. Il braccio di Daniel, ben saldo intorno alla mia vita, mi permette di mantenere la calma nonostante la vergogna.
Nel giro di qualche secondo, però, una nuova figura emerge dietro le quinte: il direttore d'orchestra. Alla vista dei miei coinquilini impallidisce e punta loro il dito contro. « Non voi!» esclama inorridito. « Non ancora!»
« Sloggiare.» sussurra Jordan, trascinando via Peggy e Claire.
« Di cosa sta parlando?» chiedo confusa a Daniel.
Per tutta risposta lui mi prende per mano e mi trascina via a sua volta, preoccupandosi di recuperare il mio violino nel processo, io prendo la borsa. « Noi tre non siamo degli alunni modello come te, Jas.» spiega Daniel, portandomi fuori senza guardarsi indietro. « E il poveretto ha avuto la sfortuna di trovarsi sulla nostra strada.»
« Ma che...»
« Un altro giorno.» mi interrompe sbrigativo. Subito dopo si ferma, per poi voltarsi verso di me e farmi l'occhiolino. « Ora andiamo a festeggiare.»
-
Mi gira la testa mentre Daniel mi porta in braccio su per le scale. Forse ho un po' esagerato, ma non è davvero colpa mia: Jordan continuava a portarmi drink, Claire e Peggy bevevano ed io non sono riuscita dire di no; mi hanno convinta ripetendomi che era la mia serata.
« Ho spaccato il culo a tutti.» sussurro divertita, mentre osservo la mia mano posata sul petto di Daniel.
Lui sorride. « Su questo non c'è dubbio.».
I suoi passi si fermano, il che porta il mio stomaco a muoversi. Poco dopo la porta dell'appartamento si apre mostrando Jordan, divertito e stanco allo stesso tempo. « Ce l'avete fatta!» ci saluta compiaciuto.
Daniel gli lancia un'occhiataccia, dopodiché lo supera e si avventura per l'appartamento buio. Immagino che Claire e Peggy siano già a letto: erano messe molto peggio di me.
« Devi vomitare o vuoi andare a dormire?» mi domanda Daniel, in tono leggermente divertito.
« Dormire.» rispondo sbadigliando. Nell'oscurità lui si avvicina alla porta della mia camera, ma senza riuscire a controllare il mio corpo io comincio ad agitarmi. « Non voglio che Jake mi veda così.» piagnucolo in modo irrazionale.
All'improvviso Daniel si blocca, ci mette quelle che sembrano ore per riprendersi. « Bene.» mormora infine a denti stretti. Corregge la sua traiettoria, finché non mi ritrovo adagiata sul suo letto. Stringo il cuscino mentre lui mi sfila le scarpe, sento distintamente il suo respiro irregolare riecheggiare nella stanza.
« Daniel?» lo chiamo chiudendo gli occhi e sospirando. « Dov'è il mio violino?»
« L'ha riportato a casa Jordan.» risponde lui evidentemente nervoso. Subito dopo sento i suoi passi allontanarsi.
« Daniel?» lo chiamo, improvvisamente spaventata.
Lui si ferma all'istante. « Stai bene?» domanda preoccupato.
« Non te ne vai, vero?» sussurro, ormai per metà incosciente. Dopo quella che sembra un'eternità, durante la quale lotto per restare lucida, sento il peso di un altro corpo posarsi sul materasso e poco dopo le braccia di Daniel stringermi la vita ed avvicinarmi a sé.
« Grazie.» bisbiglio, stringendo i lembi della sua camicia e posando la fronte contro il suo petto.
Daniel sospira. « È questione di tempo, Jas. Sono bravo ad aspettare, ma tu mi stai rendendo il compito difficile.»
« Aspettare cosa?» chiedo confusa.
Ci mette un po' a rispondere, ma quando lo fa è come se sganciasse una bomba. « Che tu capisca quello che ci lega l'un l'altro.».
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How to Love
Teen FictionUn cuore ormai danneggiato, può davvero essere riparato? Il passato si può davvero dimenticare? Si può tornare ad amare? Dal capitolo 6. "Cosa c'è nel suo cuore, signorina Lil?" Senza rendermene conto volto la testa, fino a poter vedere la foto post...