10.

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Ho passato il sabato in un totale stato di catalessi, riprendermi da una sbronza del genere non è qualcosa che avevo messo in programma, non lo è nemmeno il fatto che Daniel sia rimasto con me quasi tutto il giorno. Quando la mia testa, seppur per brevi momenti, smetteva di pulsare, mille domande e dubbi prendevano il sopravvento. Daniel non è come me lo sono sempre immaginato, so che non bisogna giudicare un libro dalla copertina, ma è stato esattamente quello che ho fatto con lui dal momento in cui ho messo piede in questa casa. Mi sono sbagliata, mi sono sbagliata alla grande.
Per tutto il giorno Daniel è stato di una dolcezza disarmante, protettivo e premuroso oltre ogni dire nei confronti di una piccola sbronza di cui io sono la sola colpevole. Per non parlare di quanto sia stato rispettoso: non ha più nemmeno provato a baciarmi dopo il mio semi attacco di panico, si è limitato a dormire al mio fianco e ad assicurarsi che stessi bene, nient'altro. Il pensiero di come si sia preso cura di me fa battere il mio cuore a velocità folli, quasi mai raggiunte. Sono pienamente consapevole del fatto che sia innegabile che mi piaccia Daniel, ma quello che è successo ieri, che mi sia quasi messa a piangere solo guardando la foto di Jake, dimostra che non sono ancora pronta. Eppure voglio cercare di pensare in positivo, evitare di precludermi ancora di provare le emozioni che stanno tentando in tutti i modi di scavalcare le mie barriere, forse voglio arrendermi. Se dovesse andare male, saprò con certezza che non c'è nessuna via migliore dell'apatia, nessuna cura, e me ne farei una ragione.

Passo la domenica ad esercitarmi al violino, pronta a tentare di mettere a bada, anche solo per qualche minuto, i mille pensieri che mi affollano la mente. Nei brevi momenti in cui mi concedo una pausa, noto che in casa risuona la musica che Peggy sta ascoltando in camera sua: i "Three Days Of Grace", ad un volume esagerato, devono starle lesionando i timpani. Il fatto che sia un'arpista è sempre più sorprendente per me.
Nonostante sia spaventata all'idea di incontrarla, decido di avventurarmi fuori dalla mia stanza per recuperare qualcosa da mangiare. Non appena apro la porta il chiasso rischia di farmi fare dietro front, ma quando sono in corridoio è qualcos'altro a bloccarmi. Oltre la musica riesco a sentire distintamente due voci che discutono: una è di Peggy, l'altra è di Daniel. So che non dovrei origliare, so che non sono affari miei, ma d'improvviso sembro essere più curiosa di quanto sia mai stata in vita mia e per questo motivo, prima di rendermene conto, mi ritrovo di fronte alla porta chiusa della camera di Peggy, intenta ad ascoltare una conversazione privata fra il ragazzo che mi piace e la ragazza che per motivi non ben precisati mi odia.
« Devi darti una svegliata, Daniel!» urla Peggy furiosa.

« 'Fanculo.» risponde lui, se possibile ancora più arrabbiato. « Non ne sai assolutamente niente.»

« Ah, no? Io non ero qui, forse, l'anno scorso?»

« È diverso. » risponde Daniel a denti stretti. «Jasmine è diversa.».
Non appena sento pronunciare il mio nome, la vaga voglia di lasciar perdere e di tornare al sicuro in camera mia mi passa per la mente come un'ombra, eppure non mi muovo.

« Vorrei davvero che provassi a ragionare, per una volta.» sbotta Peggy derisoria. « Jasmine non è diversa! L'hai vista! Lo sappiamo da quando ha messo piede qui dentro!»

« Stai delirando » ribatte Daniel, evidentemente adirato.

Dall'altra parte della porta cala il silenzio, interrotto solo dalle note dei "Three Days Of Grace". Poi Peggy lo interrompe, leggermente più calma di prima. « Devi allontanarti da lei, Daniel.».

« E tu devi imparare a farti gli affari tuoi. » la liquida lui. Poco dopo sento dei passi risuonare e all'istante capisco che Daniel sta per uscire dalla porta. Velocemente torno in camera mia, la mente in subbuglio e lo stomaco stretto in una morsa. Ho talmente tante domande da non riuscire a formularne nemmeno una, milioni di ipotesi prendono forma nella mia testa mentre mi maledico per aver deciso di ascoltare una conversazione privata. Non posso chiedere chiarimenti, non dovrei saperne niente e ho come la sensazione di essermi persa l'informazione chiave, ciò per cui la discussione ha davvero preso piede: da chi dovrei essere diversa?

-

A lezione di composizione pratica sono completamente distratta. Il professor Douval ovviamente lo nota, ma decide di tacere e di non dirmi niente su come sto tenendo l'archetto o sul fatto che a metà brano sia andata lievemente fuori tempo. La mia coscienza rimarca tutto ciò che il professore ha deciso di ignorare, so di non essere concentrata e ne so anche il motivo. La discussione che ho sentito accidentalmente tra Peggy e Daniel continua a rivivere nella mia testa, analizzo in modo insistente ogni parola, ogni sfumatura della voce, qualsiasi elemento possa costituire un indizio, ma non arrivo ad una soluzione e, per quanto voglia lasciar perdere, non ci riesco.
A fine lezione, con il morale a terra ed il senso di colpa e di delusione che mi attanaglia, ripongo il violino e l'archetto nella custodia, mentre il professor Douval è impegnato ad esaminare uno spartito che tiene tra le mani. Vedendolo in controluce noto subito che ci sono due pentagrammi: uno per la chiave di violino ed uno per la chiave di basso. È un pezzo per pianoforte, al che mi chiedo vagamente se sia per Evan e, ancora imbarazzata per quello che è accaduto dopo il concerto alla Juilliard, prego con tutta me stessa che il professor Douval non lo stia aspettando. Come se fosse stato chiamato, la porta dell'aula 319 viene aperta con delicatezza e poco dopo Evan fa il suo ingresso. Non appena mi vede si blocca, mentre un sorriso spontaneo si apre sul suo volto. Vorrei reagire allo stesso modo, mostrare calma che non provo e felicità che non sento, ma tutto quello che riesco a fare è chiudere la cerniera della custodia del violino e fingermi impassibile.
Mentre Douval accoglie il nuovo arrivato, io mi preoccupo di congedarmi silenziosamente e di camminare a passo veloce verso l'uscita dell'aula. Per quanto cerchi di ignorare Evan, però, lui non sembra dello stesso avviso: sento chiamare il mio nome non appena mi ritrovo in corridoio, la sua voce sovrasta il vociare della folla di studenti. Non voglio scappare e aggiungere altro imbarazzo a quello già esistente, per cui prendo un bel respiro e mi volto verso di lui. Noto subito che non sta più sorridendo, probabilmente a causa del fatto che lo stia palesemente ignorando. « Hai ripreso le lezioni con Douval. » constata guardandomi negli occhi, al che annuisco impassibile.

« Credo di essere guarita. » riesco a replicare.

Alle mie parole, un piccolo sorriso spunta nuovamente sulle labbra di Evan e neanche un secondo dopo lo vedo avvicinarsi di qualche passo. Non mi piace che la distanza ora sia tanto ridotta, non mi piace come l'atmosfera sia improvvisamente cambiata « Sono felice di averti aiutata.» risponde mantenendo il contatto visivo, una luce quasi euforica negli occhi. In un secondo capisco che, come Daniel era convinto che fosse stato l'appuntamento con Evan ad aiutarmi a superare il mio blocco, lo stesso Evan ha tratto le medesime conclusioni. Il merito però non è stato suo, e nella mia testa cerco le parole giuste per spiegarglielo, sebbene io stessa non sappia veramente cosa sia successo.

Vengo sollevata del peso di trovare qualcosa da dire per rompere il silenzio, quando è qualcun altro a parlare per me. « Giù le mani, Evan. » mormora Daniel avvicinandosi a noi.

Sussulto sorpresa nell'avvertire il mio coinquilino avvicinarsi alle mie spalle, mentre il ragazzo di fronte a me impallidisce. « Come?» chiede perplesso.

« Ho detto, giù le mani.» ripete Daniel con calma ostentata, fulminandolo con i suoi occhi scuri. Prima di rendermene conto, indietreggio di qualche passo rimettendo la necessaria distanza tra me ed Evan, mentre Daniel senza perdere tempo mi stringe la mano non appena sono al suo fianco. Per un attimo mi pare che il corridoio ammutolisca, sento gli occhi puntati addosso mentre il disagio cresce a dismisura.

« State insieme?» sbotta Evan estremamente confuso.

« No.» rispondo in un riflesso incondizionato. La stretta di Daniel si rinsalda sulla mia mano e, prima che possa allontanarmi anche da lui, mi tira verso di sé costringendomi a voltarmi. Ritrovo le sue labbra sulle mie, le sue braccia che mi avvolgono la vita. So che non dovrei farlo, è pura rivendicazione territoriale ed è ridicola, ma comincio ad assecondare il suo bacio e, mentre il respiro mi viene meno, per poco non lascio andare la custodia del violino facendola cadere rovinosamente al suolo.
Così come ha cominciato, è Daniel a mettere la parola fine a quel breve contatto, lasciandomi frastornata ed in balia degli ormoni di fronte ad un Evan paonazzo e furioso.
« Mi dispiace. » riesco a sussurrare, imbarazzata e decisamente poco sincera.

D'improvviso sento il respiro di Daniel solleticarmi la guancia, le sue labbra a contatto con la mia tempia. « Andiamo, Jas. Lasciamolo sbollire in pace.» sussurra al mio orecchio. Annuisco e, un po' incerta, mi lascio guidare da lui lontano da Evan.
La sua mano torna a stringere la mia, mentre ora è evidente che tutti gli occhi siano puntati su di noi.

« Daniel, che diavolo stai facendo?» domando, confusa dalla scena che abbiamo appena messo in atto. Voltandosi leggermente verso di me lui fa un mezzo sorriso, tuttavia non accenna a lasciarmi andare e, finché non punto i piedi per costringerlo a darmi una risposta, nemmeno fermarsi sembra essere nei suoi programmi.

Ormai costretto ad arrestare la sua corsa, mi fronteggia ancora sorridente. Osserva la mia espressione perplessa solo per qualche secondo, prima di avvicinarsi di un passo e posare un bacio delicato sulla mia fronte. « Voglio uscire con te, Jas. » spiega in un sussurro.

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