3.

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L'archetto si muove dolcemente sulle corde ben tirate, una alla volta riproduco le note scritte sullo spartito davanti a me: Sol, Fa, Sol.
Pausa. Fa, Sol, Fa. Pausa. Fa, Mi. Pausa. Pausa.

Sbuffo ed abbasso il violino, posando l'archetto al mio fianco sul letto ed abbandonando lo strumento sul lato opposto. Monsieur Douval mi ha assegnato questo brano, "Comptine d'un autre été, l'après-midi", e per quanto la melodia sia piacevole, l'esecuzione è di una semplicità senza precedenti. Ricordo di averlo suonato un paio di volte al pianoforte, ad undici anni circa, ma non credevo ne esistesse un arrangiamento per violino. Sono un po' delusa del fatto che, invece di assegnarmi un classico, il professor Douval abbia optato per un brano di musica contemporanea.
Non capisco quale sia il suo gioco o il suo obiettivo, sembra che invece di farmi lavorare su qualcosa che dovrebbe rappresentare una sfida, abbia preferito affidarmi un brano che un bambino di sette anni potrebbe eseguire senza problemi.
Sospiro di nuovo, più rumorosamente di prima. È l'inizio della mia seconda settimana qui a New York, sorprendentemente sono sopravvissuta alla prima. Tra le lezioni, il weekend passato a girare Central Park insieme a Claire e il fatto che i miei coinquilini puntualmente spariscano ogni sera, sembra che il tempo sia volato.
Mi sono sentita soddisfatta e distratta come non succedeva da mesi, almeno fino ad ora.
Mi fermo prima di ricadere in una spirale di pensieri e, per tentare di distrarmi, decido di mettere da parte la pratica e di prepararmi qualcosa da mangiare. Dopo aver abbandonato il mio rifugio mi dirigo in sala, dove quello che vedo mi lascia spiazzata: ci sono almeno due grandi scatoloni vicino al divano e Peggy ne sta esaminando il contenuto come se niente fosse. Però quella è la mia roba.

« Cosa stai facendo?» domando con voce tremante mentre mi avvicino.

Lei non mi degna di uno sguardo. « Li ha portati un tipo della Fedex mentre tu strimpellavi quella cosa. » risponde noncurante, subito dopo afferra la cornice blu in vetro soffiato che, avvolta da della carta bianca, troneggia su tutti gli altri oggetti « A quanto pare qualcuno ha un ragazzo da cui tornare. » commenta esaminando la foto al suo interno.

« Ora basta, ridammela. » replico. Sento un'insolita ondata di rabbia crescermi in petto, tanto che prima di rendermene conto muovo un passo avanti cercando di riprendermi la cornice.

Lei scoppia a ridere e l'allontana da me. « Sei un po' suscettibile, piccola Jasmine?»

« Ridammela, ho detto.»

« Altrimenti?» mi sfida con un sopracciglio alzato. Non abbasso lo sguardo, per quanto normalmente un confronto del genere mi spaventerebbe sono troppo irritata per dargliela vinta e per un solo istante, un breve flash, immagino di tirarle uno schiaffo in pieno volto.

« Peggy, ridalle la foto. » le ordina all'improvviso una voce alle mie spalle. Una voce roca ma gentile: Daniel.
Neanche fosse stata colpita da un fulmine a ciel sereno, Peggy la smette di scherzare e mi porge la foto come se niente fosse. Io la afferro strappandogliela dalle mani, dopodiché la ripongo in cima agli oggetti contenuti nello scatolone aperto.
Decido di togliere di mezzo la mia roba, quindi mi accovaccio per spingere il tutto verso la mia stanza, ma accidenti se é pesante.
« Lascia, faccio io. » si offre Daniel cogliendomi di sorpresa. Alzo lo sguardo su di lui: è serio, troppo, e per qualche motivo io sono ancora eccessivamente arrabbiata ed orgogliosa per fidarmi di lui.

« No, grazie. » rispondo ricominciando a spingere lo scatolone: dopo nemmeno mezzo metro ho il fiatone, tanto che sono costretta a fermarmi qualche secondo per riprendermi. Daniel ne approfitta per afferrare lo scatolone e sollevarlo come se niente fosse; sorpresa lo guardo a bocca aperta, Peggy non sembra essere meno stupita su me.

Senza chiedermi niente lui si dirige verso la mia camera, tornando poi a mani vuote.
« Anche quello è tuo?» domanda facendo un cenno in direzione dell'altro scatolone. Incapace di parlare annuisco.
Una volta tolta di mezzo la mia roba, mi avvicino alla porta della camera. Daniel é ancora fermo sulla soglia: sta esaminando l'interno della stanza, non so se la cosa mi va a genio. « Peggy. » la chiama poi, voltandosi di scatto ma preoccupandosi di non incrociare i miei occhi. « Fra venti minuti usciamo. » le ricorda. Lei annuisce e ci supera per recarsi in camera sua.

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