18.

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Ammetto di aver viaggiato parecchio con la fantasia, da quando il professor Douval mi ha messa al corrente del fatto che sarei stata il primo violino. Ho immaginato gli altri componenti dell'orchestra guardarmi ammirati. Ho immaginato il direttore sorridermi compiaciuto, dire a tutti di fare silenzio di modo che il mio violino fosse l'unico suono a riecheggiare nell'auditorium. Ho immaginato di diventare una sorta di beniamina alla Juilliard, di tornare a casa felice e soddisfatta delle mie prime prove d'orchestra. Ma la convinzione, come al solito, mi ha giocato un brutto scherzo.
Non c'è bagno d'umiltà migliore di una prima prova d'orchestra, quando si scopre che invece di essere speciali si diventa improvvisamente incapaci ed ignoranti in tutto ciò che riguarda il mondo della musica. Essere elevata al ruolo di primo violino non comporta necessariamente l'avere talento, sono convinta di aver semplicemente avuto la fortuna che mi sia stato assegnato Douval come insegnante privato. Fine, la mia fortuna si esaurisce qui.
Non ho mai suonato in un'orchestra prima d'ora, e dopo questa esperienza non sono sicura di volerlo rifare presto. Avrei dovuto immaginare che gli altri componenti della suddetta orchestra non fossero stati messi lì per caso, dovevano avere talento per entrare a farne parte. Infatti ne hanno, hanno molto più talento di me. I legni sono straordinari, I violoncellisti sono fenomenali e persino le percussioni sono state grandiose. L'unica pecca, durante le prove, è stato il primo violino: io.
Il problema principale nasce dal fatto che abbia imparato il brano a memoria, l'ho suonato centinaia di volte dacché Douval mi ha consegnato lo spartito, ma non ho mai pensato che riprodurlo insieme ad altri venti strumenti sarebbe stato tutto un altro affare. Suonare in un'orchestra non è come suonare accompagnati da un pianoforte o da un semplice quartetto d'archi: entrano in gioco altri elementi di cui tener conto.
Primo, sono le percussioni a dettare il tempo, non il primo violino, come il direttore d'orchestra si è premurato di farmi notare.
Secondo, non sto suonando da sola, non devo essere l'unico strumento udibile, sono il primo violino ma non devo oscurare tutti gli altri con la mia parte.
Terzo, essere bravi non significa solo saper suonare bene. Essere bravi significa sapersi armonizzare con gli altri componenti dell'orchestra. Essere bravi significa saper illuminare, con il proprio strumento, anche le qualità di tutti gli altri. Io non sono brava, questo l'ho capito alla terza ripresa.

Quando il direttore d'orchestra, evidentemente affranto, ci informa della fine delle prove, sospiro sollevata e allo stesso tempo frustrata e malinconica. Non ho idea del perché il confronto con gli altri dia improvvisamente un tale colpo basso alla mia autostima.
Velocemente ripongo il violino e l'archetto nella custodia, recupero gli spartiti dal mio leggìo per poi buttarli a caso nella borsa ed alzarmi dalla sedia, pronta a scappare da questo inferno. Non appena raggiungo la platea però, mi rendo conto che poteva andarmi peggio e mi è andata peggio: Daniel è qui, in piedi vicino ad una delle prime file, intento a fissarmi con un mezzo sorriso che a me pare impietosito.
« Che cosa ci fai qui?» domando spaventata.

Il suo sorriso lascia il posto ad un'espressione seria. « Avevo lezione di composizione pratica. » spiega con una scrollata di spalle. « Ho sentito la musica passando qui davanti ed ho deciso di entrare, spero non sia un problema.»

« Nessun problema. » rispondo in tono piatto, intenta a celare il panico che provo in realtà, subito dopo lo supero alla velocità della luce.

« Jas.» mi chiama lui stando al mio passo. « Stai bene?»

« Benissimo, mai stata meglio. Sono il primo violino e sono alla Juilliard, è tutto meraviglioso.» replico, parlando in fretta e continuando a camminare.
Daniel sospira, ma fortunatamente decide di lasciar perdere. Il tragitto fino a casa si svolge in un silenzio tombale, durante il quale lui si preoccupa che io non venga investita dalle macchine e non sia sul punto di svenire a causa del mio evidente fiato corto. Non so se sto scappando più dall'auditorium e dall'imbarazzo che il pensiero delle prove mi procura, o da Daniel.
Fortunatamente è lui ad aprire il portone del palazzo ed in seguito la porta dell'appartamento; non appena ne varco la soglia però, sento l'adrenalina che mi ha spinta a marciare fino a qui abbandonare il mio corpo, lasciando spazio allo sconforto.
Sospiro tentando di mandare giù il groppo che sento in gola, dopodiché mi avvicino al divano e mi siedo, abbandonando la custodia del violino al mio fianco prima di togliermi le scarpe e portare le gambe al petto.

« Jas.»

« Ho fatto schifo!» sbotto, coprendomi il viso con le mani. Non voglio piangere, so per certo che ci sono cose peggiori al mondo, ma l'orchestra della Juilliard era la mia via di fuga: un modo per dimenticare tutti i pensieri e le preoccupazioni, un modo per evadere dal costante ricordo di Jake. Ora mi cacceranno.

Sento la presenza di Daniel di fronte a me, il suo profumo invadere lo spazio che mi circonda. « Smettila, non hai fatto schifo. Ti ho sentita... »

« Mi hai sentita mentre facevo schifo!» lo interrompo sempre più sconsolata. Il peso della delusione e dell'umiliazione mi sta spingendo verso l'orlo di una crisi; avevo bisogno della mia rivincita, avevo bisogno di dimostrare a me stessa che anche senza Jake riesco a costruire qualcosa. Mi sembra di aver scoperto tutto il contrario.

« Basta. » mi intima Daniel sedendosi al mio fianco, per poi obbligarmi a togliere le mani dal viso stringendole fra le sue e a guardarlo in faccia. Negli occhi scuri leggo tutta la sua preoccupazione, tanto che comincio a sentirmi in colpa per il fatto di star reagendo in modo spropositato. « Quei ragazzi, Jas, suonano insieme dall'inizio dell'anno scolastico. È chiaro che siano più abituati di te, non devi sentirti in difetto. Per aver fatto una prima prova nell'orchestra della Juilliard sei stata grandiosa.»

« Non mentire.» lo rimprovero scettica.

Daniel sbuffa, subito dopo abbassa le nostre mani intrecciate e ne solleva una per posarla sulla mia guancia. La accarezza in modo dolce, sento il cuore rimbombarmi nelle orecchie e per un attimo mi dimentico persino di cosa stessimo parlando. « Sei fantastica, Jasmine, non sto scherzando. Alla prossima prova li metterai tutti in imbarazzo, ma per ora devi accettare il fatto che nessuno può cominciare a suonare in un'orchestra dal giorno alla notte.» detto ciò, con il pollice traccia la linea del mio labbro inferiore, concentrandosi su di esso solo per un secondo prima di tornare con gli occhi nei miei. Deglutisco, mentre le nostre fronti si posano l'una contro l'altra, permettendo alle nostre pelli bollenti di entrare a contatto.

« Daniel.» sussurro preoccupata.

I suoi occhi, più scuri del solito, si serrano.
Daniel stringe le palpebre, portando poi la mano libera intorno al mio fianco destro. « Mi manchi.» mormora in risposta. Sento il suo respiro sfiorarmi le labbra, il mio venir meno, mentre con un autocontrollo degno di nota mi costringo a non dirgli che anche lui mi manca, più di quanto immagini. Sebbene la mia testa sia razionale, però, il corpo è un folle: porto i palmi sul suo petto, per poi stringere la maglietta che indossa ed accorciare le distanze. Lo sento tremare, o forse sono io che sto tremando, ma rimaniamo così, mentre io combatto contro me stessa e lui fa altrettanto con se stesso.

« Mi era sembrato di sentire la porta aprirsi.» la voce di Peggy mi fa saltare sul posto e scattare via dalla presa di Daniel.
Prima di rendermene conto ho abbandonato il divano, ancora scombussolata ed in balia di sensazioni riecheggianti. Daniel è immobile, i capelli scompigliati dalle sue stesse mani e la mascella serrata per la rabbia ed il nervoso.
Ricordando che non siamo da soli, mi volto verso Peggy, la quale ci osserva confusa ed incuriosita. Infine decide di concentrarsi sulla sottoscritta. «Prime prove d'orchestra, eh? Non preoccuparti, sconvolgono chiunque.».

Incapace di parlare annuisco, subito dopo mi ritiro nella mia stanza abbandonando il violino in sala. Poco male, lì non ci torno.

-

Dopo altri quattro giorni di ansia, senso di inadeguatezza ed autocommiserazione, finalmente le cose hanno cominciato ad andare meglio. Gli altri membri dell'orchestra ora mi salutano, il che è un passo da giganti; come se non bastasse mi sono presa la mia rivincita: durante le ultime prove sono riuscita ad armonizzare la mia parte con quella di tutti gli altri, a non strafare, ad adeguarmi al loro tempo e, soprattutto, a non fare schifo. Alla fine della seconda ripresa il direttore d'orchestra ha cominciato a guardarmi con gli occhi che gli brillavano, mentre anche gli sguardi di tutti gli altri erano puntati sulla sottoscritta. Credo di averli messi in imbarazzo, proprio come Daniel aveva predetto.
Con lui però, la situazione è sempre più tesa. Mi capita raramente di incontrarlo, visto che passo la maggior parte del mio tempo a lezione e Daniel le salta come se niente fosse, ma nelle poche occasioni in cui ci scontriamo nell'appartamento è evidente che delle strane sensazioni aleggino fra di noi, sensazioni che non so se assecondare o combattere.
Eppure, nonostante evitarlo sembri la soluzione, non è ciò che voglio, né ciò che penso sia giusto fare: se non fosse stato per le sue parole dell'altro giorno, probabilmente avrei mollato l'orchestra e mi sarei chiusa in camera per cinque o sei anni. Invece lui mi ha spronata a tirare fuori la testa dalla sabbia e ad affrontare la mia paura, mi ha spronata a combattere e gliene sono estremamente grata.
Per questo motivo, una volta tornata dalla Juilliard, abbandono la custodia del violino e la borsa in camera, prima di avvicinarmi alla porta della stanza di Daniel. Non la varco subito, rimango ferma, ben nascosta dallo stipite e dal muro: Daniel sta suonando la chitarra, mentre accompagna gli accordi con la voce e con le parole. Non so che canzone sia, non la conosco, ma non posso fare a meno di rimanere incantata, ancora una volta, di fronte al suo talento. Completamente coinvolta dalla musica, provo un'improvvisa nota di malinconia non appena lascia il posto al silenzio. All'istante decido di smetterla di spiare il mio coinquilino, prendo un bel respiro, busso allo stipite della porta e mi faccio avanti. Noto subito che Daniel è seduto sul suo letto, imbraccia ancora la chitarra, ma invece di suonarla sta annotando qualcosa sullo spartito che ha davanti. Non appena alza lo sguardo su di me rimane immobile, quasi spaventato.

Dopo una piccola lotta interiore decido di non fargli sapere che l'ho sentito. « Posso entrare?» domando titubante. Daniel annuisce, subito dopo si preoccupa di far sparire lo spartito e di spostare la chitarra a lato del letto. Mi accomodo sul bordo di quest'ultimo, guardandomi intorno ed esaminando per l'ennesima volta i particolari della stanza. Il ricordo della prima volta in cui vi sono entrata è ancora vivido nella mia mente: è stata la prima volta che mi sono concessa a qualcuno che non fosse Jake, la prima volta che ho permesso a me stessa di mostrarmi tanto vulnerabile.

« Tutto bene?» chiede Daniel riportandomi al presente.

Poso lo sguardo sul suo viso. « Sto bene.» rispondo con un sorriso appena accennato. « Stavi provando per stasera?»

Arrossisce impercettibilmente. « È una cover, niente di speciale.».

Trattenendo un sorriso di fronte al suo evidente imbarazzo, mi limito ad annuire. « Le prove di oggi sono andate alla grande alla Juilliard.» racconto, estremamente compiaciuta.

Alle mie parole un sorriso si fa largo sul suo volto, mentre i suoi occhi scuri rimangono fissi nei miei mandandomi momentaneamente su di giri. « È magnifico, Jas.»

« Ed è un sollievo.» sospiro.

« Sapevo che era solo questione di tempo.»

« Questione di tempo...» lo interrompo imbarazzata. « Ma soprattutto merito tuo, Daniel.»

Alle mie parole si blocca, improvvisamente serio in volto. Vedo il suo petto alzarsi ed abbassarsi freneticamente a causa del respiro irregolare, le mani stringersi a pugno come se stesse combattendo, probabilmente contro se stesso. Alla fine vince ed abbassa gli occhi sulla sua chitarra. « Non ho fatto niente.»

« Mi hai regalato il miglior discorso di incoraggiamento che potessi desiderare.» gli faccio notare grata.

« Ed è per questo che subito dopo sei scappata e sei sparita per giorni?» sbotta lui, ora improvvisamente infastidito. Quando i suoi occhi tornano nei miei, il mio cuore fa un salto di almeno un metro.

« Mi dispiace.» farfuglio con voce tremante. « Mi sono concentrata sulla musica per non pensare.»

« E mi hai chiuso fuori, è chiaro.»

« Daniel, non è così, te lo assicuro. È solo che quando siamo insieme è tutto intenso e complicato e non so come gestirla.» affermo, la voce mi viene a mancare. So per certo di star tremando, questo è il modo che ha il mio corpo di sfogarsi dato che non mi concedo di piangere.

In un battito di ciglia Daniel avanza verso di me e mi stringe tra le sue braccia, permettendomi di posare la testa sul suo petto. Inspiro il suo profumo prima di portare una mano sulla sua t-shirt, all'altezza del cuore, e di sentirlo battere quasi più forte del mio. « Mi dispiace, Jas.» mormora con voce roca. « Io ci sto provando, te lo giuro, ma è una tortura.»

« Scusa.» sussurro sentendolo stringermi ancora di più. Prendo coraggio. « Sono venuta a ringraziarti, Daniel.»

« Non ce n'è bisogno.»

« Voglio che tu venga a sentirmi suonare.» replico decisa.

Per un attimo mi sembra che il suo cuore si fermi, per poi riprendere la sua folle corsa.
« Non chiedo altro.» sussurra in risposta.

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