7.

5.9K 285 17
                                    

Sebbene prima mi sentissi solo disorientata,  la situazione è peggiorata dall'arrivo di Daniel. Quest'ultimo è fermo sulla soglia, mentre Evan gli impedisce di entrare rimanendo immobile davanti all'ingresso. Io cerco di capire cosa stia succedendo, perché il fatto che il mio coinquilino sia piombato qui, evidentemente furioso, è surreale e per quanto tenti di trovare un motivo valido per il suo comportamento, la confusione la fa da padrone. Insieme all'imbarazzo, ovviamente. Non rimane alcuna traccia della calma che ha caratterizzato questa serata, il mio cuore ormai è impazzito e per un attimo, un solo momento, la speranza torna a presentarsi: è da almeno un anno che non mi sento così viva.

« Fammi passare, Evan. » sibila Daniel a denti stretti. La sua voce mi dà la spinta necessaria ad alzarmi dal divano, ma non quella utile a farmi muovere un solo passo.

« Te lo puoi scordare, che diavolo ci fai qui?»

« Sono venuto a prende Jasmine. »

« E Jasmine lo sa?» domanda Evan retorico.
Cala il silenzio, fino a quando Daniel non si introduce in casa a forza, limitandosi a scansare Evan con una sola mano e coprendo la distanza che lo separa da me con un paio di falcate.

La sua espressione è seria, le sue iridi scure sono fisse nelle mie ed io non vedo nient'altro a parte i suoi occhi, non sento nient'altro a parte il battito del mio cuore.
« Stai bene?» mi chiede una volta di fronte a me, annuisco quasi di riflesso. « Cristo, sei pallidissima, Jas. Cosa ti ha fatto quell'idiota?»

« Non le ho fatto niente.» sbotta Evan piombando di fianco a lui. Daniel si volta nella sua direzione incenerendolo con lo sguardo, ma il padrone di casa non si fa intimidire.
I muscoli del mio coinquilino sono tesi, i pugni stretti all'estremo, la mascella serrata per una rabbia la cui fonte mi è ancora ignota.

Tuttavia, per quanto sia attonita, so bene di dover intervenire per mettere fine alla tensione che regna tra i due ragazzi di fronte a me.
« Sto bene, Daniel. » lo rassicuro, eppure la mia voce è tanto flebile da farmi paura da sola e non sortisce l'effetto sperato.

Il suo viso scatta subito nella mia direzione.
« Non dirmi cazzate. » mi intima, sempre più nervoso.

« Lasciala stare. » interviene Evan parandosi fra me e Daniel; non posso fare a meno di pensare che si beccherà un pugno in faccia se non la smette di intromettersi.

Senza pensarci due volte, supero Evan e afferro il braccio di Daniel, il quale impercettibilmente si è avvicinato al mio amico per reagire alle sue parole con la violenza, sembra che sia completamente impazzito.
« Daniel, va tutto bene. » ripeto in tono fermo. « Ora andiamo a casa, per favore.».
Lentamente la tensione abbandona le sue spalle ed i suoi muscoli, Daniel indietreggia di qualche passo e concentra lo sguardo su di me.

Ancora una volta, Evan ha la malaugurata idea di intromettersi. « Jasmine, puoi rimanere qui per stanotte.» afferma sicuro di sé. Entrambi lo guardiamo, io stringo la presa sul braccio di Daniel, anche se lui sembra essersi decisamente placato.

« Evan, non penso sia una buona idea. » rispondo imbarazzata.

« Parlerò con i miei genitori, avrai una stanza al campus, ma per ora puoi restare qui. » replica serio.

Non faccio in tempo a rispondergli. « Sì, Jasmine. » esordisce Daniel, liberando il braccio dalla mia presa e ponendolo intorno alla mia vita mentre io lo fisso confusa. « Avrai una stanza al campus, dovrai solo andare a letto con lui. » mormora infastidito.

« Ma di cosa cazzo stai parlando?» sbotta Evan, ormai al limite della pazienza.

« Non fare finta di non saperlo. »

« Ok, basta.» sospiro esasperata, parlando sopra alla voce di Daniel. Non so quali siano i rapporti tra questi due, ma non mi piace essere messa in mezzo e questa situazione è ridicola. « Evan, ti ringrazio per il tuo invito, però non credo sia il caso. E per quanto riguarda Daniel e il fatto che sia piombato qui, sono convinta che si scuserebbe a mente lucida.»

« No, non lo farei. » ribatte Daniel stringendo la presa intorno alla mia vita.

Prendo un respiro profondo, la rabbia cerca di invadere anche me, l'unica persona evidentemente ancora calma. « Aspettami fuori, per favore. » prego il mio coinquilino, seria in volto. Lui rimane in silenzio, preso a riflettere se esaudire o meno la mia richiesta, infine annuisce e poco dopo esce dall'appartamento in cui non è stato invitato. Non appena il mio battito torna ad un ritmo normale mi concentro su Evan, il quale mi fissa preoccupato « Mi dispiace infinitamente. » ripeto mortificata.

« Jasmine, non devi andare per forza, te lo assicuro.»

« Per quanto non mi piaccia, quella è casa mia. » cerco di farlo ragionare.

Evan sospira, dopodiché abbassa gli occhi.
« Hai ragione, è solo... » si blocca, subito dopo alza nuovamente lo sguardo sul mio viso. « Stai attenta a quel tipo, ok?».

Lo fisso basita e ora decisamente preoccupata. Non conosco bene Evan, ma mi sembra una brava persona e il fatto che stia tentando in tutti i modi di mettermi in guardia da Daniel e di tenermi lontana da lui, mi fa riflettere non poco. Forse è solo una stupida rivalità tra ragazzi, ma chi mi assicura che Daniel in qualche modo non sia davvero pericoloso?
Rispondo da sola alla mia domanda: non si sarebbe preoccupato tanto nel vedermi così pallida al suo arrivo, se avesse avuto cattive intenzioni nei miei confronti.
Mi limito ad annuire, mentre nell'open space cala il silenzio ed io non mi prendo il disturbo di interromperlo. Quando esco dall'appartamento, i miei occhi individuano subito Daniel intendo ad aspettarmi sul pianerottolo, vicino all'ascensore.
Non so esattamente cosa dirgli, sono ancora infastidita ed oltremodo confusa, per cui lo ignoro e mi avvicino alle porte scorrevoli, per poi premere il tasto di richiamo e vederle aprirsi di fronte a me. Senza dire una parola entro all'interno del piccolo spazio, sentendo i passi di Daniel seguire i miei.

Quando l'ascensore parte, il silenzio non dura ancora molto. « Sei arrabbiata?» domanda cauto, per tutta risposta incrocio le braccia. « Ok, forse sono stato un po' maleducato. »

« Un po'?» ribatto guardandolo in faccia, spazientita.

Lui è impassibile. « Se tu fossi tornata a mezzanotte... »

« Che diavolo di diritto hai di darmi il coprifuoco?» sbotto, sorprendendomene all'istante. Io non faccio scenate, non litigo con le persone, non discuto, non alzo la voce, mai. Che diavolo mi sta succedendo? E perché non riesco a fermarmi? « Chi ti autorizza a chiamarmi? A venirmi a cercare e a fare quasi a botte con uno dei pochi amici che ho qui a New York?»

« Ero preoccupato!» risponde Daniel,  alzando a sua volta i toni.

« Non sono una bambina!»

« Ma Evan è un coglione!»

« Non è vero! Non ha provato nemmeno a sfiorarmi! Mi ha fatto passare una serata tranquilla! Serata che tu hai rovinato!»

« E allora perchè quando sono arrivato eri tanto pallida?» inquisisce infine. Le sue ultime parole riecheggiano all'interno dell'ascensore, io non riesco a rispondergli. Non ho la minima intenzione di dirgli che un semplice ricordo mi ha quasi causato una crisi di panico, di confessargli ciò che mi porto dentro, il macigno di pensieri che mi grava sul petto. Non voglio raccontargli di Jake.
Le porte scorrevoli si aprono facendomi sussultare; non perdo tempo ed esco subito dall'ascensore e dal palazzo: voglio andare a casa, mettere a tacere il mio cuore, calmare il respiro. Voglio il silenzio.
« Jasmine.» mi chiama Daniel, arrivando di corsa al mio fianco ed afferrando la mia mano sinistra costringendomi a fermarmi. « Mi dispiace. » continua evidentemente nervoso, i suoi occhi non si staccano dai miei nemmeno per un secondo. « È che sono praticamente saltato su un taxi e l'ho fatto correre fino a qui, e quando ti ho visto tanto pallida non... non sono riuscito a controllarmi. »

« Perchè?»  chiedo esausta. « Perché sei venuto qui?»

« Perchè ero preoccupato per te. » afferma come se fosse ovvio, ma non lo è: non è né ovvio né scontato. Ho passato talmente tanto tempo a cavarmela da sola, da essermi dimenticata come dev'essere sentirsi al sicuro, protetti da un'altra persona. Sono incapace di reagire di fronte ad una confessione del genere, di fronte all'armonia tra il suono dei nostri respiri accelerati o al sottofondo del mio cuore impazzito. Vorrei combatterlo ancora, vorrei mettere tutto a tacere per tornare alla sicurezza che il silenzio mi dà, ma sono stanca di lottare e per la prima volta da mesi voglio arrendermi.
« Torniamo a casa. » mormora Daniel, mentre si avvia continuando a stringere la mia mano.
Per tutto il percorso, l'unica cosa a cui riesco a pensare è che forse so cosa c'è nel mio cuore, e voglio suonare.

-

Sono uscita di casa talmente presto che le strade di New York erano ancora mezze vuote, mentre il freddo di metà ottobre le invadeva.
La mia destinazione era ben precisa, perciò ho camminato a passo deciso fino ad arrivarvi, brandendo la custodia del violino in una mano e la cartelletta contenente gli spartiti nell'altra.
Una volta all'università ho notato solo una decina di studenti intenti a girare per i corridoi dell'ateneo ed io ho continuato la mia marcia, sino ad arrivare di fronte alla porta dell'aula 319. Quando ho bussato non ho ricevuto risposta, quindi ho deliberatamente deciso di entrare. Sentendo l'eco dei miei passi ho raggiunto il pianoforte, dove sono tutt'ora, mentre stringo l'estremità superiore del violino e sfioro con le dita la crine dell'archetto; adesso che mi sono fermata mi rendo conto di essere nervosa.

Non ho tempo di tirarmi indietro però, perché il professor Douval entra nella sua aula, aprendo la porta con delicatezza ma bloccandosi sui suoi passi non appena mi vede. « Signorina Lil, pensavo che le nostre lezioni fossero sospese. »

« Non più. » rispondo a testa alta, fingendo una determinazione che non possiedo.

Monsieur Douval accenna un sorriso, dopodiché raggiunge il pianoforte per sedersi sullo sgabello. Mi affretto ad imbracciare il violino. « "L'après-midi", signorina Lil. Ha... »

« Non ho bisogno del metronomo. » lo interrompo, ormai impaziente di suonare e di liberarmi di questo blocco.
Contro ogni aspettativa lo vedo trattenere una risata, poi comincia a suonare: lo seguo a ruota. La prima nota dopo un tale periodo di pausa è un sollievo, Evan aveva ragione: è come respirare dopo aver trattenuto il fiato, prendere una boccata d'aria dopo essere rimasti sott'acqua tanto tempo. Il resto della musica è prodotto dall'archetto e dal violino, io non c'entro niente con l'esecuzione.
Le mie dita ed il mio braccio si muovono da soli, come se non mi fossi mai fermata, come se avessi ripetuto questo brano per ore e la memoria muscolare lo avesse immagazzinato. L'unico elemento di cui riesco davvero a rendermi conto, ció che mi tiene ancorata alla realtà, è il battito accelerato del mio cuore: proprio come quando ieri sera Daniel mi ha detto che era preoccupato per me stringendomi la mano, proprio come la notte in cui ci siamo baciati.
È questo ciò che ha riempito il silenzio, che riecheggia anche quando ormai la musica cessa e monsieur Douval mi fissa stupito.
È questo che mi mancava.

-


Incredibilmente felice per il fatto di essere finalmente guarita, mi dirigo a Storia della musica inglese con un sorriso luminoso in volto ed un passo sicuramente più deciso del solito.
Oggi è una bella giornata.
Appena entrata nell'aula, occupo un banco in fondo; sono brava con il violino, ma non sono mai stata la migliore della classe e Storia della musica inglese di certo non mi fa sentire tale.
Poso un gomito sul banco, reggendomi il viso con una mano e fissando la lavagna con aria sognante: non sono abituata ad essere tanto felice, mi sembra di non essere abbastanza calma per rimanere seduta a questo banco per la prossima ora.
D'improvviso, però, l'ingresso di una persona nell'aula mi fa tornare sull'attenti: seduta composta, immobile come una statua e con gli occhi sgranati, osservo Daniel varcare la soglia e puntarmi subito con lo sguardo. All'istante gli altri studenti presenti cominciano a bisbigliare tra di loro e a lanciare palesi occhiate di ammirazione al mio coinquilino, il quale, apparentemente ignaro di ciò che sta succedendo, si accomoda al banco vuoto di fianco al mio. « Sei uscita all'alba. » mi fa notare come se niente fosse. La sua voce sembra più roca del solito, probabilmente non è abituato a svegliarsi così presto.

« Cosa ci fai qui?» domando, prima di collegare il cervello alla bocca.

Lui corruga la fronte, per poi fissarmi confuso. « Ho lezione, credo. »

« Credi?»

« È un po' che non frequento. » spiega con un'alzata di spalle. « Ma ho visto il libro di Storia della musica inglese sul bancone della cucina e sono venuto qui. » mormora. Non mi preoccupo per il fatto che mi abbia palesemente seguita solo perché è evidentemente in imbarazzo, per quanto cerchi di nasconderlo.

« Tu sei al quarto anno, sicuramente non frequenti questo corso. » gli faccio notare, tentando di capire perché sia qui.

Daniel, ovviamente, ignora ciò che ho detto e rimane seduto al suo posto. « Perchè sei uscita così presto?» inquisisce con malcelata curiosità.

« Ho avuto lezione con monsieur Douval.».

Lui alza un sopracciglio. « Non erano sospese per quella roba del cuore e delle emozioni e...? »

« Sono guarita. » lo interrompo decisa. Se fossi una persona più coraggiosa forse gli direi anche cosa mi ha fatto stare meglio, gli direi che, nonostante ancora non capisca bene la dinamica del nostro rapporto, e abbia tantissime domande in sospeso, non mi sentivo così viva ed emozionata per il futuro da mesi.
Ma non sono una persona coraggiosa.

Daniel corruga nuovamente la fronte.
« Vuoi dire che... » si blocca per schiarirsi la voce. « Vuoi dire che hai capito cosa c'è nel tuo cuore?» domanda in tono preoccupato.

« Sì. » sussurro in imbarazzo.

« E l'hai capito proprio dopo il tuo appuntamento con Evan testa di cazzo?»

« Non chiamarlo così. » replico, confusa e leggermente infastidita dalla piega presa dalla conversazione. Lui lo sembra più di me.
I bisbigli degli altri studenti riempiono il silenzio calato tra di noi, mentre Daniel continua a guardarmi negli occhi senza accennare a sorridere, ora improvvisamente teso.

« Hai ragione. » esordisce infine, alzandosi dalla sedia ed evitando accuratamente di guardarmi. « Io non c'entro niente con questo corso. » conclude a denti stretti. Nel giro di qualche secondo mi dà le spalle ed esce dall'aula, lasciandomi raggelata.
Avverto un groppo in gola e gli occhi che mi bruciano mentre lo vedo allontanarsi, la confusione per quello che è appena successo la fa da padrone, ma non è da sola.
Mi rendo conto che, nel momento in cui ho deciso di darmi la possibilità di provare qualcosa, ho fatto un grave errore, perché l'apatia non teneva lontane solo la felicità e la speranza, ma anche la tristezza e la delusione.

E ora sono entrambe qui.

How to Love  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora