I miei occhi sono sbarrati sul soffitto da quelle che sembrano ore, la mia testa sembra essere vuota mentre al suo interno riecheggia solo una frase, un pensiero: non è successo veramente.
Cerco di convincermene, di prendere il ricordo delle labbra di Daniel sulle mie e di chiuderlo a chiave in un cassetto. Voglio spazzare via tutte le sensazioni che ho provato ieri sera, cancellare in modo irreversibile le sue mani che mi stringono i fianchi ed il mio corpo che reagisce in maniera esagitata a quel semplice contatto.
Eppure, per quanto ci provi, non ci riesco: i pensieri sono ancorati al loro posto senza la minima intenzione di togliere il disturbo.
Decido per lo meno di fare uno sforzo e di prepararmi per la giornata: dopo aver camminato in punta di piedi verso il bagno per farmi una doccia e lavarmi i denti, con lo stesso passo silenzioso mi rifugio nuovamente in camera mia per vestirmi e spazzolarmi i capelli. Una volta pronta recupero la mia borsa, lancio solo un breve sguardo titubante alla custodia del mio violino, prima di decidere di lasciarla esattamente dov'è: in un angolo della stanza appena al di sotto della finestra. Velocemente apro la porta ed esco, pronta a scappare fuori da questo appartamento; è un piano che non vedrà la luce del sole.Daniel dà le spalle alla porta del bagno per fronteggiare quella della mia stanza, ha le braccia conserte ed un'espressione seria e preoccupata in volto. « Buongiorno, Jas. » mi saluta tenendo il corpo in tensione. Vorrei rispondergli, davvero, mi sembra il minimo dopo il modo in cui sono scappata questa notte. Tuttavia, l'unico gesto che il mio corpo riesce a produrre è un cenno della testa.
Non c'è niente in armonia ormai, i pensieri si sovrappongono in un coro di dissonanze che non mi permette di ragionare, di parlare, o semplicemente di decidere di abbandonare il campo. Daniel ne approfitta per continuare.
« Dobbiamo parlare.» la sua voce è bassa e roca, mentre il mio battito accelera all'istante e le mie iridi blu incontrano le sue di un nero profondo.Decido di prendere coraggio e, con voce tremante ed estremamente bassa, cerco di formare una frase di senso compiuto. « Quello che è successo ieri è stato un errore.»
« Un errore?» ripete Daniel corrugando la fronte, al che annuisco. La luce nei suoi occhi cambia, da preoccupata e seria passa ad essere scettica. « Se è stato un errore, perché ci hai messo tanto ad allontanarmi?» chiede lasciandomi di stucco. Se potessi rispondergli lo farei, ma la realtà è che non so nemmeno io perché non l'abbia fermato all'istante.
« Senti, Daniel, non voglio che tu ti faccia delle idee sbagliate. Non so bene cosa sia successo questa notte, davvero, ma non sono come le ragazze che c'erano qui alla festa.»
« Lo so.» ribatte prontamente, un mezzo sorriso sul volto che potrebbe essere tanto benevolo quando dispregiativo. Tra di noi torna il silenzio, il suo sguardo mi brucia addosso mentre io mi costringo a non abbassare il mio per non mostrare debolezza. Ho come la sensazione di non essere la sola che fa fatica a pensare lucidamente.
D'improvviso una delle porte del corridoio si apre, entrambi sussultiamo brutalmente disincantati. Voltando la testa verso la fonte del rumore, rimango di sasso nel vedere Peggy ferma sulla soglia della sua camera: ha una spalla posata sullo stipite, le braccia incrociate e il suo sguardo mi brucia addosso.
« Devo andare. » mormora Daniel di punto in bianco. Mi giro verso di lui, giusto in tempo per vedergli dare le spalle ad entrambe ed uscire dall'appartamento sbattendo la porta. Rimango immobile a fissare il punto dove è appena sparito, ancora una volta incapace di muovermi o di parlare.« Per il tuo ed il suo bene...» comincia Peggy, evidentemente infastidita. « È meglio che mettiate subito fine a questa cosa. ».
-
Non è una novità che io sia distratta durante storia della musica inglese, la novità é ciò che mi distrae: Daniel.
Questa mattina, quando mi ha chiesto perché ci abbia messo tanto a fermare quel bacio, mi ha presa totalmente in contropiede. Eppure dopo ore di introspezione e riflessione sono arrivata a una risposta: quello che ho provato, il batticuore, la morsa allo stomaco, il respiro corto e la testa leggera, era speranza.
Speranza nel futuro, nel fatto che tutto potrebbe andare meglio, che presto ritornerò ad essere la Jasmine di sempre, che la tristezza sia pronta a levare le tende, speranza di non essere irrimediabilmente rovinata.
Quella speranza, però, fa paura, mette in discussione l'apatia che mi sono costretta a provare e con essa tutti i i miei meccanismi di difesa. Il silenzio mi dà sicurezza, ma le sensazioni che quel bacio con Daniel ha provocato stanno facendo sgretolare tutti i miei muri. E non mi piace.
A lezione finita abbandono il mio banco, per poi ritrovarmi nel bel mezzo del corridoio gremito di studenti. Sicuramente il mio senso dell'orientamento è migliorato rispetto ai primi giorni, tuttavia la calca mi fa sempre sentire come se avessi perso i miei punti di riferimento.« Se stai cercando l'aula 319, non è da quella parte. » esordisce una voce alle mie spalle. Mi volto all'istante, trovando di fronte a me degli occhi azzurro chiaro ed un sorriso luminoso: Evan.
« Ciao.» lo saluto sorpresa. Dopo la mia prima lezione pratica con monsieur Douval, Evan è completamente sparito dalla scena e, non sapendo nemmeno che cosa ci facesse in aula quel primo giorno, non mi sono mai aspettata una spiegazione dal mio professore.
Evan mi fronteggia con uno sguardo allegro, tiene degli spartiti tra le mani ed è vestito in modo sin troppo elegante per un normale giorno di lezioni, esattamente come l'ultima volta in cui l'ho visto.« Sono stato impegnato all'estero. » risponde alla mia domanda inespressa. Dovrei chiedergli dov'è stato, tentare di intavolare una conversazione, ma lui non me lo permette. « Mio zio mi ha detto cos'è successo. » ammette, facendosi improvvisamente serio.
« Douval è tuo zio?» domando non poco sorpresa.
Lui non si lascia distrarre. « Non è mai capitato che interrompesse le lezioni con uno studente, cos'hai combinato?».
So che le sue intenzioni sono buone, ma la scelta di parole mi lascia un sapore amaro in bocca. Per quanto sia eccentrico, il professor Douval non ha mai ripudiato o allontanato nessuno dei suoi studenti, a parte Jasmine Lil. « Niente. » rispondo sincera, per poi cominciare ad incamminarmi verso la lezione successiva.
Evan mi segue. « Continui ad esercitarti, vero?» domanda apprensivo.
« Non sfioro il violino da giorni. » replico a bassa voce, quasi fosse un segreto. All'istante Evan si blocca sui suoi passi, per non lasciarlo in mezzo al corridoio sono costretta a fare lo stesso.
« Jasmine, non va bene. »
« Non va bene il fatto che io sappia solo strimpellare senza alcun sentimento e nessuno, a parte tuo zio, mi abbia mai detto niente.» replico improvvisamente infastidita. Non mi ero resa conto di provare una tale rabbia nei confronti di questa situazione: tristezza e rassegnazione forse, ma non fastidio.
Evan alza un sopracciglio. « Tu? Tu non strimpelli, Jasmine.» ribatte confuso. Lo fisso immobile, mentre la folla di studenti mi passa di fianco come se niente fosse. « Hai talento, devi credermi. Douval non può averti detto che non sai suonare, dev'essere impazzito.» riflette poi ad alta voce, mentre lancia brevi occhiate alle persone che affollano il corridoio.
« Be', non sono state le sue esatte parole.» cerco di rimediare. Evan riporta gli occhi su di me, come ad incitarmi a continuare. « Ha parlato di cuore e di sentimenti. » racconto mentre lui sembra bloccarsi di nuovo. Io no, sono un fiume in piena. « New York è grigia. » continuo incrociando le braccia. « Le persone qui non sorridono, la musica non... » mi blocco, indecisa se continuare o meno. « Ultimamente mi sembra di essere tanto impegnata a sopravvivere e a cercare un equilibrio, da non trovare posto per la musica.».
Per quelli che sembrano dei minuti interminabili, nessuno dei due parla o accenna a spostare gli occhi dall'altro, ma pian piano il corridoio si svuota, finché non rimaniamo solo lui ed io.
« Questa sera ci sarà un concerto, qui al Lincoln Center. » inizia Evan. « Teoricamente sarebbe solo per professori, benefattori e possibili investitori, ma io sono stato invitato e voglio andarci con te, Jasmine.».Lo guardo spiazzata. « Evan, non cercavo la tua pietà quando ti ho raccontato cos'è successo.»
« Lo so, ma ti aiuterà a superare il tuo blocco. » replica sicuro. « Fidati di me.».
Vorrei dirgli di no. Per quanto un concerto potrebbe risultare davvero d'aiuto, l'idea di essere costretta a socializzare mi terrorizza, soprattutto ora che sembro più disorientata del solito. Poi, però, mi rendo conto del fatto che significherebbe passare ancora più tempo fuori dall'appartamento, lontano da pensieri indesiderati e notti insonni. Basta questo a farmi cedere ed accettare.
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How to Love
Teen FictionUn cuore ormai danneggiato, può davvero essere riparato? Il passato si può davvero dimenticare? Si può tornare ad amare? Dal capitolo 6. "Cosa c'è nel suo cuore, signorina Lil?" Senza rendermene conto volto la testa, fino a poter vedere la foto post...