«Cosa ci fai da sola da queste parti? Non è sicuro» mentre camminiamo, si mette la mani nelle tasche, guardando dritto davanti a se. Mi sento un po' a disagio con la sua presenza.
Si volta, rivolgendomi uno sguardo veloce.
«E'... complicato» rispondo, chiudendomi nelle spalle. Attorciglio le mani tra loro, giusto per tenermi occupata.
«Tendiamo a dire che è complicato, quando in realtà è più facile di quello che sembri» commenta, alzando l'angolo sinistro della bocca, apparentemente divertito dalla mia risposta così vaga.
Rimango un attimo spiazzata dalla sua frase e ci ragiono su, dandogli ragione... ma non glielo dico comunque.
Arriviamo di nuovo all'incrocio di prima e attraversiamo dall'altra parte della strada dove è parcheggiata una macchina scura, sportiva, davvero tenuta bene.
Estrae le chiavi dalla tasca posteriore dei jeans scuri e, con un suono, le portiere si sbloccano. Il suo sguardo penetrante mi mette più a disagio, rispetto all'espressione dolce e semplice del ragazzo che mi aveva accompagnata prima. Perciò decido di salire dietro, non sentendomi pronta a sedermi al fianco del guidatore. Appena prende posto guarda attraverso lo specchietto retrovisore e con un ghigno divertito mi domanda: «Che cosa fai?»
«Niente» cerco di rispondere con leggerezza, nascondendo la mia timidezza.
«Ti rendo nervosa?» chiede, prima di azionare il motore.
«N-no» la mia voce vacillante dice tutto il contrario. Come al solito...
Sorride, mettendo in evidenza due fossette agli angoli della bocca, così graziose che avrei l'istinto di toccarle con un dito.
I miei occhi vengono catturati dal suo labbro ancora ferito e ricordo perché sono qua. So perfettamente di non conoscerlo, ma ispira fiducia. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio... ma sento di poterlo fare.
«Potresti darmi un passaggio? Da una mia amica» sussurro. Non mi risponde, ma credo lo faccia solo per il gusto di farmi irritare. Si immette nella strada e qualche volta gli passo le indicazioni, ricordando ora perfettamente la strada.
Mi accorgo qualche volta di ricevere delle occhiate attraverso lo specchietto e appena si accorge dei miei occhi, fa finta di niente, guardando da tutt'altra parte.
«Come ti chiami?» rompo il silenzio che si è creato già da un po'. Perciò riprovo con la solita domanda, la cui risposta mi interessa davvero tanto.
«Mi spiace, ma ribadisco che non te lo dico» si limita a dire, continuando a guardare la strada. Mi accascio sul sedile, arrendendomi all'idea di saperlo.
«Ora svolta a destra» gli dico una volta arrivati.
Muoio anche dalla curiosità di sapere cosa ci facesse quel giorno nel guardino, ma so che tanto non me lo direbbe. Parcheggia l'auto di fronte al cancello. Apro la portiera e scendo.
«Attenta» mi ammonisce, abbassando il finestrino in modo che possa sentire.
«A cosa?» mi volto.
«A non sbattere la portiera» ghigna, allungandosi meglio sul sedile.
Sono tutti così i ragazzi, credono di avere delle persone al posto di una semplice e stupidissima macchina.
«D'accordo» lo prendo in giro, chiudendo a rallentatore la porta. In risposta alza gli occhi al cielo, spettinandosi i capelli con una mano tatuata lungo le nocche.
Indugio un attimo.
«Potresti... uhm, aspettarmi qui un attimo?»
Mi guarda oltre il finestrino abbassato, con i suoi occhi smeraldo che sembrano diventati neri a causa del buio. Non vedrei niente se non fosse per i fari del veicolo e di due lampioni che precedono il cancello della villa di Scarlett. Sfila le mani dal volante, con un'eespressione confusa.
«Perché? Ti prego, non dirmi che hai paura del buio» le fossette compaiono dandogli l'aria di un bambino, anche se sembra una barzelletta visto il suo aspetto con tanto di inchiostro e metallo.
«Certo che no!» mi affretto ad esclamare.
«Okay... allora perché? Non ho tutto il tempo» sbuffa, appoggiandosi allo schienale, per poi portare le braccia dietro la testa. Ora guarda davanti a sé, senza degnarmi della sua attenzione.
Sospiro, recuperando l'ultimo briciolo di pazienza, non voglio avere niente in sospeso con lui.
«Solo un momento» ritento.
«1... 2... 3... 4...» comincia a contare, socchiudendo le palpebre.
Ridacchio per questo gesto stupido ed infantile, affrettandomi verso l'entrata, dal citofono.
Dopo circa un minuto, una voce assonnata risponde.
«Scar, scusa l'ora, sono io... Hazel»
«Hazel?! Ma... ma cosa ci fai a quest'ora della notte?» sento il suo tono che mi rimprovera ma che allo stesso tempo è incredulo.
«E'... una lunga storia» mi limito a rispondere.
«Va bene, però poi domani mi racconti... aspetta che ti apro il cancello» e riattacca. Il silenzio viene rimpiazzato dal ronzio metallico.Mentre cammino non mi volto, sentendo il suo sguardo penetrarmi fin sotto la pelle, i suoi occhi verdi che vagano sicuramente lungo il mio corpo per fare un'analisi scientifica e dettagliata della ragazza che ha appena portato qua.
Suono e mi viene ad aprire una Scarlett in pigiama, che sbadiglia, con i capelli arruffati e in disordine come se si fosse direttamente buttata sul materasso, cambiandosi solo il vestito evidentemente per dormire più comodamente.
«Hai per caso un kit di pronto soccorso?» le chiedo subito, appena chiude la blindata alle nostre spalle.
«Che è successo?!» alza il tono della voce, allarmandosi.
«Tranquilla... uhm... niente di... di preoccupante. Mi serve... ora» la supplico, non volendole dare di proposito altre informazioni.
Non voglio che sappia che oltre il cancello c'è un ragazzo e, come se non bastasse, lo stesso che avevo visto nel suo giardino tempo fa.
«Va bene -lo sguardo indagatore e curioso- arrivo»
Riappare poco dopo con una scatolina bianca in mano.
«Domani però mi spieghi cosa cavolo è successo»
«Si, sicuramente» annuisco, evitando il suo sguardo.
«Ti preparo qualcosa di caldo, tipo una camomilla...» e si dirige in cucina con le sue pantofole azzurre, tutte pelose.
Esco velocemente e, appena varco l'uscita, noto il suo braccio che sporge dal finestrino.
«Venti minuti!» mi fa notare, saccente.
«Divertente» faccio una smorfia.
«Potresti uscire dalla macchina, per favore?» gli chiedo, col tono più gentile che riesco a fare.
«Perché dovrei?» mi guarda attentamente, divenendo più serio.
«Un momento soltanto» dico, accorgendomi di star ripetendo sempre le stesse parole.
«Vorrai dire venti minuti?» si prende gioco di me. Gli rivolgo un'occhiataccia per poi prevalere sulla sua arroganza. Sbuffando se ne esce, ritrovandosi in piedi, fronteggiandomi con la sua altezza. Comincio ad essere nervosa ora che è vicino a me.
Mi scruta attentamente e faccio lo stesso, non stancandomi mai, osservando sempre nuovi particolari e aspetti di lui. Rilascio un respiro di frustrazione e apro la scatola. Sono abituata ad usare il contenuto, dato che quando vado al parco con mia sorella è inevitabile che si sbucci un ginocchio o che si faccia male nel mentre che gioca.
Bagno il cotone del liquido rosato, nella bottiglietta in plastica opaca.
«Perché?» chiede semplicemente, osservandomi bene, sprofondando il suo smeraldo nella corteccia dei miei occhi.
«Perché... si» rispondo decisa, facendo spallucce.
«Mi hai aiutato e ti sei ferito, perciò tocca me ad aiutare te... adesso» sussurro, dopo attimi di silenzio. Non risponde, continuando ad alternare lo sguardo tra le mie mani e i miei occhi.
Appoggio il cotone imbevuto sulla ferita al labbro e fa una smorfia, dato che brucia. Lo applico delicatamente, facendo attenzione, cercando di non rovinare la sua espressione... come se non volessi cambiare niente, nonostante la ferita. Gli dona, per davvero. Inevitabilmente tocco il piercing, l'anellino metallico. Solo ora mi accorgo di aver trattenuto il respiro. Termino e in filo il batuffolo di cotone in un sacchettino all'interno del piccolo box.
Ritorno a guardarlo e vedo che serra la mascella, per poi deglutire. Prima ancora che pronunci qualsiasi suono o parola, si volta dandomi l'occasione di vedere le ampie spalle ricoperte dalla felpa nera. Si tira su il cappuccio, come se si volesse coprire ulteriormente, ottenendo un effetto ancora più misterioso e curioso ai miei occhi che non smettono di osservarlo in ogni minimo movimento.
Sale in macchina, senza più permettere ai miei occhi di incontrare i suoi, facendo una retromarcia velocemente e dirigendosi, con una sgommata, verso la strada... scomparendo nel buio.
Il silenzio, in questo momento mi avvolge, non sentendo più il suo respiro caldo vicino al mio viso. Alzo il volto verso il cielo stellato."Le stelle sono nel cielo come le lettere dentro un libro"
San MassimoLe lucine sopra le nostre teste, sopra i tetti, i grattacieli e gli alberi ci indicano un cammino, che direzione prendere e quale no, le scelte giuste o sbagliate e cercare le risposte alle domande che ci tormentano. Bisogna capirle, le stelle, ma prima di tutto... bisogna comprendere noi stessi; credo sia la cosa fondamentale.
Capitolo revisionato.
// spazio autrice //
Hei bella gente!!!😍
Ho aggiornato prima su richiesta di molti😂❤️
Aggiornerò però anche sabato!
Quindi due aggiornamenti in una settimana!!!😍
Se vi va bene così scrivetemelo giù nei commenti!
Allora... Questo capitolo mi piace molto😍 spero anche a voi!!!
Perché il ragazzo dagli occhi verde smeraldo se n'è andato senza dire una parola?❤️
E niente... Ci vediamo al prossimo aggiornamento... Cioè a sabato!P.s dinarepetto ti volevo ringraziare per aver votato tutti i miei capitoli!!😍😍😍 mi manchi tanto❤️
Volevo anche ringraziare tre nuove lettrici alessandra_branca miriamdelucad sibillastelle ... Grazie per i commenti!😍
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Resta come inchiostro
RomanceCOMPLETA. Il cappuccio nero sempre sulla testa, quelle iridi smeraldo nascoste nell'ombra e quei tatuaggi che si intravedono sulle nocche. Inchiostro che va sotto pelle, disegni che si intersecano in un labirinto da cui gli occhi di Hazel non riesco...